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Legàmi Presentazione della mostra di Luca Giovagnoli a Clusone Di Paola Artoni
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Il tempo che scorre è come un libro dalle pagine accartocciate, fianchi del dorso sdruciti, tratti delle immagini svaporati nelle macchioline d’umidità, suggestioni confuse, visi sfumati e identità sovrapposte… poi un dettaglio ed ecco che qualcosa si delinea. E tutto attorno è come se non ci fosse più nulla se non quel sapore, non si sente altro che quel profumo, negli occhi si fa strada quella sfumatura… come se fosse ancora qui, come se ne potesse afferrare ancora l’essenza o meglio la concretezza. Ciò che è stato e che non è più, il bambino che ha costruito castelli di sabbia e le gare dei ragazzini che correvano all’ora del tramonto, l’emozione della brezza che sollevava l’aquilone appena costruito e il pizzicore del sole sulla pelle… Ecco pronto l’agguato: un sacco di juta, grezzo al tatto e ruvido alla vista, le particelle della sabbia, i barattoli di colore liquido, i pennelli, ma anche i ritagli delle fotografie, i fumetti… Giovagnoli sa bene come tendere la trappola a quel tempo fuggito troppo in fretta e quel suo tocco lieve di memoria prende la forma di un assolo di una stagione andata. Sono storie private, affari di famiglia, legàmi di volti, storie e situazioni e le troviamo qui, adagiate sulle tele nelle vesti di fugaci immagini fissate, lasciate cadere dal setaccio della memoria. I “Legàmi” raccontati da Giovagnoli sono le relazioni che sfidano la solitudine esistenziale insita nell’essenza stessa dell’uomo e che hanno per teatro il suo luogo di nascita, quella Rimini di un tempo che pare lontano e che assume la dimensione di un mondo a parte. È la città interiore, è il luogo della melanconia e dei ricordi dove i protagonisti in scena sono i sorrisi delle famiglie al sole in posa davanti all’obiettivo, la tenerezza e l’audacia delle coppie, l’energia galvanizzante dei compagni di giochi, ma anche il cameratismo delle squadre di calcio in ritiro, i microcosmi delle classi scolastiche e delle colonie… Le estati romagnole sono sogni di mare che restituiscono il sapore delle fascinazioni di Giovagnoli bambino curioso al seguito del nonno bagnino, e poi l’aria frizzante della sera, le giovani donne dalla morbida sensualità con i vestiti a pois e il foulard che trattiene le chiome al vento. Ragazzini con le maglie a righe e cappellini con la visiera e coppie che si baciano sotto il riflesso della luna. A sorvegliare tutto le cupole del Grand Hotel, cattedrale laica, apparizione nel deserto, mescolanza di brillantina e di illusioni che svaniscono nell’aria silenziosa del mattino. Il mare piatto fa fluttuare dolcemente le barchette di carta mentre sotto gli ombrelloni sorridono le bambine con le trecce e le gonne a ruota. I bambini sbuffano alla vista delle bandierine rosse (mare mosso, niente bagno oggi) mentre i seduttori, da dietro gli occhiali scuri, seguono con lo sguardo le signore dal passo elegante che evocano le dive anni Cinquanta. Sono le istantanee di una Italia vacanziera colta nella vitalità del dopoguerra, con le utilitarie colme di valigie e l’ebbrezza dei primi week-end. Evocazione di suoni, colori e immagini trasmutate dal segno netto dei fumetti americani degli anni Sessanta. Quella di Giovagnoli è una sorta di Pop Art gentile che inserisce nelle stratigrafie materiche (tele di sacco, passaggi di colore inciso e graffiato) personaggi di foto seppiate ed evocazioni biografiche romantiche (l’artista ci racconta di questo suo desiderio di captare le vite e le vicende di amici e di conoscenti sino a farne storie da “incollare” sulla tela ma anche della sua passione per le foto in bianco e nero tratte dall’album di famiglia).
Un sognatore, senz’altro, legato alla sua terra e alle sue radici e, per sua stessa ammissione, vicino alle atmosfere d’altri tempi che animavano le tele di quel Maestro ironico e graffiante, eppure dolcissimo al tempo stesso, che è stato Franco Rognoni. E poi ancora le suggestioni riprese dalla sintesi picassiana, il gusto per il graffitismo mutuato da Basquiat ma distillato in forme e contenuti, la vibrazione di Barcelò e di Dufy, sino a giungere a un linguaggio personale e prontamente riconoscibile. Sono questi i “Legàmi” di Giovagnoli, un artista che mi piace definire un “marinaio di terra”. Sono reti da pescatore che si immergono nell’acqua sino a trattenere e a fare riemergere in superficie i colori depositati sui fondali. Ogni volta la pesca si traduce in un recupero delle nostre radici e dell’interiorità sino a diventare una commovente condivisione di malinconica poesia, dedicata a chi ci ha preceduto e a chi sarà dopo di noi. Testo di presentazione del catalogo della mostra Argomenti: #arte , #arte contemporanea , #clusone , #giovagnoli , #mostra Leggi tutti gli articoli di Paola Artoni (n° articoli 1) |
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