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 Anno III n° 5 MAGGIO 2007    -   PRIMA PAGINA



Petrolio nella Val di Noto, ma che problema è?

Di Concetta Bonini


Modica: paesaggio della città, al centro il Duomo di San Giorgio

Un dito puntato verso il cielo”: una lapidaria quanto brillante affermazione di Goethe, che torna alla mente trovandosi ai piedi dei 250 gradini della monumentale scalinata che segna un’ascesa, quasi un pellegrinaggio, faticoso ed emozionante, verso la maestosità barocca del Duomo di San Giorgio a Modica.

A secoli di distanza la piccola città siciliana è ancora così, con i suoi cinquantamila abitanti che continuano a salire e scendere, infaticabili, lungo lo stretto corso che dalla valle si inerpica verso le colline, verso la cattedrale. Ancora oggi questo autentico, irripetibile gioiello del Tardo Barocco svetta orgoglioso sul centro storico “in forma di melagrana spaccata” come lo definì Bufalino, e chi passeggia nel suo raggio ha modo di esaltare i propri sensi, con l’ottimo cioccolato di antica ricetta azteca, e il proprio intelletto, tra capolavori di storia e di arte d’ogni tempo.

Capolavori universalmente riconosciuti dalla iscrizione nella World Heritage List dell’Unesco che ha tributato a Modica, capitale morale del Val di Noto e capitale reale del Distretto Culturale del Sud Est Siciliano, il primato di più alta densità di beni considerati patrimonio dell’umanità. A guardarla oggi sembra che questa terra bella e maledetta si sia trovata suo malgrado a scontrarsi con lo scorrere del tempo e del mondo. E tra le mille minacce di mille invasioni, di mille occupazioni, di mille contaminazioni subite e assorbite, oggi ce n’è una nuova, una nera, che ha già fatto sentire il suo grido di guerra: questa minaccia si chiama petrolio.
Tutto inizia nel marzo 2004. L’assessorato regionale all’industria emana quattro decreti che danno carta bianca all'estrazione di petrolio e gas a quattro compagnie petrolifere (Eni, Sarcis, Edison, Panther Oil) in un territorio di 1.603 chilometri quadrati pari al 6,2% dell'intero territorio regionale.

Nel Val di Noto, che da appena due anni aveva iscritto WHL i comuni di Modica, Noto, Palazzolo Acreide, Ragusa, Scicli, Caltagirone, Militello in Val di Catania e Catania, il nemico è arrivato direttamente dal Texas con le trivelle marca Panther Oil e con tutte le intenzioni di iniziare a piazzare torri di estrazione e tubi per il trasporto delle sostanze grezze, accampando i propri diritti riconosciuti per l’estrazione degli idrocarburi gassosi e liquidi.

Ad opporre una resistenza tenace ed indefessa, che dura tuttora, ci ha pensato un improvvisato “Comitato No Triv” alle cui istanze ecologiste e ambientaliste, con le scontate e dovute sfumature di populismo e demagogia, si è presto congiunto il fronte dei Sindaci, già riunito nel Distretto Culturale del Sud Est. “Noi diciamo No sin dall’inizio alle ricerche petrolifere e manteniamo inalterata la nostra posizione senza infingimenti o tentennamenti nella consapevolezza che si tratta di una battaglia giusta e condivisa da gran parte dei cittadini” ha urlato più volte il presidente del Distretto e Sindaco di Modica Piero Torchi. Di più. Torchi ha preteso, o per meglio dire ha tentato di pretendere, un preciso impegno del governo e addirittura l’apposizione di un vincolo paesaggistico unico sul territorio oggetto del riconoscimento Unesco.

La polemica scoppiata, quasi a voler cambiare in un senso o nell’altro il corso delle vicende regionali, ha visto in prima linea anche l’ex assessore ai Beni Culturali della prima giunta Cuffaro nonché attuale vicesindaco di Siracusa Fabio Granata che non ha mai fatto mistero del suo sogno di fare della Sicilia un’Arcadia da sogno: niente industrie, niente autostrade, niente parchi eolici, niente trivelle, perché no niente pali della luce e del telefono, solo distese di arance e di templi. Uomini questi che, a dispetto del loro acume e della loro dialettica, in questa vicenda non si capisce bene se del Don Chisciotte abbiano ereditato più l’utopismo o più l’inclinazione al delirio.

Da un lato senza dubbio l’utopismo, dal momento che la Regione Siciliana (con buona pace degli interessi del governatore) ha continuato a rinnovare autorizzazioni di compatibilità ambientale a favore dell’avvio delle trivellazioni, anche a fronte di una raffica di ordini del giorno di senso opposto approvati dall’Assemblea Regionale Siciliana.

Dall’altro lato, il sospetto che ci sia lo zampino del delirio di demagogia sorge spontaneo. Ai diretti interessati bisognerebbe chiedere infatti come fanno a sostenere le loro tesi riguardo ai danni ambientali arrecati dai pozzi o dalle trivellazioni quando i ragusani da cinquant’anni convivono pacificamente con i pozzi di petrolio, accanto ai pozzi hanno costruito le loro case (a volte anche più brutte dei pozzi stessi), non hanno mai visto una goccia di petrolio fuoriuscire inavvertitamente e soprattutto non hanno mai visto una pompa sorgere sul sagrato di una chiesa barocca.

Proviamo infatti a guardare questa annosa vicenda da un altro punto di vista: se i pozzi di metano e i pozzi di petrolio sono dannosi per l’ambiente, se persino i parchi eolici rovinano i leziosi paesaggi della terra del mito, qual è l’energia di cui i siciliani possono liberamente fare uso? Non sarebbe piuttosto il caso che tutti gli sbandieratori del Comitato No Triv e tutti i Sindaci del Val di Noto si ribellassero una volta buona non perché in qualche landa desolata tra un centro storico e un altro sorge un innocuo metro quadrato di pozzo ma piuttosto perché la ricchezza ricavata da questo pozzo va a finire dritta dritta nelle tasche dei texani aprendo la strada ad una nuova drammatica ed improduttiva occupazione dello straniero?

In Sicilia non si possono chiudere gli occhi sul passato, non solo su quello mitico della Magna Grecia, ma anche su quello meno romantico, quello da cui pure questa terra proviene: checchè ne dicano molti siciliani stessi, ostinati ad ignorare i difetti delle proprie radici, quest’isola viene fuori da secoli di arretratezza, di devastante feudalesimo, di scandalose penalizzazioni storiche, di latente dittatura mafiosa. Nel momento del riscatto delle coscienze, prima ancora che delle risorse, ad essere ciechi si rischia di degradare quello storico ed innegabile fatalismo, il celeberrimo “sonno dei siciliani” di cui Giuseppe Tomasi di Lampedusa si fece teorico, in una vera e propria imprudente dimostrazione di incapacità amministrativa.

In nome di una tutela ambientale e patrimoniale che rischia di diventare deleteria quando portata alle estreme conseguenze e, in definitiva, di condurre ad un inevitabile distacco dalla lucida osservazione e programmazione della realtà attuale, non si può far sì che la Sicilia diventi un emporio di mare e di riserve, di archeologia e di barocco, di vino e di olio e di arance e di pane e di cioccolato da offrire in cambio delle briciole lasciate dai turisti mordi e fuggi.

Questo lembo estremo della Trinacria attende. Ha soltanto bisogno di rientrare nel pieno possesso delle proprie risorse ambientali e culturali, ma anche e soprattutto economiche: la Sicilia ha sete di strutture e di infrastrutture, ha sete di denaro per investire, rivuole indietro le sue intelligenze in fuga e pretende di riappropriarsi della propria energia. Perché no, la Sicilia reclama a gran voce il suo petrolio.



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