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Val di Scalve: emozioni tra le montagne Di Serena Bertogliatti
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Ospitalità in Valle di Scalve. ![]() Dicono che i nomi di questo luogo, dall’etimologia incerta e rivelatrice come spesso è per i nomi topografici, siano legati a uno di quei racconti allegorici a metà tra verità e leggenda, che narra di un trascinato di paese in paese per essere... Si racconta di un gruppo di valligiani che aveva un bue molto vecchio (B ![]() ![]() ![]() Dicono. Certi luoghi sono fatti così: si respirano per impressioni e sentori, tra edifici vecchi di qualche secolo e montagne vecchie millenni. Avrei voluto esplorarne una, dopo aver salutato Gianni lasciandolo all’appuntamento che lo attendeva in mattinata; nel mezzo di Colere, paese nato nella conca creata dai monti, ho alzato lo sguardo sulle macchie d’alberi sparsi come batuffoli di cotone, verde chiaro e verde scuro, tasselli morbidamente incastrati e poi adagiati sul vello erboso. È una bella giornata, e lo era quando mi sono inerpicata sul colle per catturare immagini. Distesa nell’erba vergine, i gomiti che sprofondavano ![]() Il nostro pranzo arriva, e mentre mi do ai consistenti sapori Gianni mi parla della caccia agli uccelli, necessaria alla famosa polenta e oséi. «Una caccia povera.» mi dice. Niente falconi e cavalli da stalla con paglia soffice, ma stutture – chiamate roccoli – con torrette su cui appostarsi, uccelli da richiamo con cui attirare i volatili e delle reti con cui intrappolarli. Ci sono diversi roccoli in Valle di Scalve, e Gianni me ne indicherà uno sul tragitto di ritorno. La torre è ricoperta da fogliame, poste a breve distanza da un semicerchio di alberi – fondamentali per tendere le reti che poi intrappoleranno le prede; sono costruzioni antiche, di quando si costruiva per la propria generazione e le seguenti, ed era la montagna a dare la materia prima. «Cucina povera.» mi dice; cucina povera per paesi modesti, tagliati fuori dalle grande manovre di edilizia, macchie di case e ogni tanto una villa storica, ricordo delle residenze estive dei furono nobili della città. ![]() ![]() Quando il pranzo e gli oneri terminano, e l’automobile fa dietro-front verso i lidi più edificati (ma meno edificanti) in cui rispettivamente viviamo, gli chiedo di fermarsi in quel punto della strada in cui avevo scorto un ruscello disegnare diapositive. Mi addentro nella boscaglia con quel desiderio di scoprire uno dei piccoli tasselli con cui dare forma al mio personale paradiso; ne ho rubati qui e là, da altri contesti bucolici e da città, da persone e da fragranze, attimi e ricordi impressi sulla retina. Imprimo, mezzo macchina fotografica, i sassi levigati dall’acqua dolce, i rami sottili, ragnatele tese come parure sulla superficie limpida. Vorrei salire ancora, scavalcare la sterpaglia o magari camminare tra i sassi umidi; spostare i rami bassi e inoltrarmi lì, dove non c’è più sentiero, lì dove la curiosità umana non si è spinta, lasciando lo scettro alla signoria della natura. Per il gusto di stendermi a terra, chiudere gli occhi, e svegliarmi solo quando la rugiada mi avrà ricoperto. (*)Per una informazione corretta dei toponomastici dell’Oltrepovo vi invitiamo a verificare http://www.scalve.it/contrade/contrade-1.htm Argomenti: #bergamo , #racconto , #turismo , #val di scalve Leggi tutti gli articoli di Serena Bertogliatti (n° articoli 43) il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo |
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