Sempre più in effervescenza il mercato dei prodotti biologici per l’alimentazione.
È di qualche tempo fa la decisione della UE di ammettere come “biologico” anche il prodotto che per una questione accidentale, e quindi non voluta, abbia la presenza di prodotti ogm in quantità non superiore allo 0,9%. Questa scelta ha sollevato una forte reazione tra i produttori italiani, i quali però accettano che i prodotti messi in vendita possano contenere fino al 5% di prodotti non conformi alle caratteristiche “bio”.
Contraddizioni strane invero, perché la presenza di tracce accidentali di OGM garantisce la commerciabilità dei prodotti senza incidere significativamente sulla qualità, mentre la presenza di prodotti non bio ne invalida le caratteristiche in modo non marginale.
Forse il problema si lega alle difficoltà che il prodotto biologico incontra nei consumatori italiani.
L’Italia è il primo produttore europeo di prodotti agricoli biologici. Nel 2003 il mercato mondiale del bio era valutato a 25 miliardi di dollari. In termini di terreni dedicati al biologico, l'Australia guida la classifica con 11.3 mln di ettari, seguita dall'Argentina con 2.8 mln (in entrambi i paesi, gran parte dell'area è dedicata al pascolo a bassa intensità) e dall'Italia con più di 1 mln. Seguono USA con 930 mila, Brasile (803 mila), Uruguay (760 mila), Germania (734 mila), Spagna (725 mila), e Gran Bretagna (695 mila). Nello stesso anno in Italia l'agricoltura biologica copre il 6.86% dell'area agricola nazionale, a tutt’oggi, sempre in Italia, i consumi di prodotti biologi rappresentano una quota limitata, solo il 2% del totale.
Purtroppo la nostra agricoltura è spesso segnata da scompensi strutturali notevoli, forse addebitabili alla troppo piccola dimensione delle aziende che prevengono da una agricoltura contadina sovvenzionata per tutto il ‘900 e sostenuta per motivi politici di raccolta di voti e non certo per il vero sostegno dell’economia agricola nel quadro di uno sviluppo organico e compatibile.
La cosa è invero preoccupante perché sempre più studi mostrano come i prodotti biologici, oltre ad essere migliori come sapore, sono anche benefici e in effetti hanno quelle caratteristiche di apporto di prodotti utili che la tradizione gli assegna, cosa che invece i prodotti gonfiati dai concimi chimici sembrano non avere.
Già uno studio statunitense aveva dimostrato questo per i kiwi; ora l’Università di Hohenheim, in Germania, si appresta ad approfondire le differenze di contenuti per pomodori, pesche e mele, prodotti che sono molto comuni sulle nostre tavole.
I primi studi svolti sembrerebbero indicare che questi prodotti, quelli provenienti dalle coltivazioni bio, avrebbero maggiori qualità nutrizionali rispetto a quelle convenzionali.
Secondo gli studiosi tedeschi, i pomodori biologici contengono più materia secca, zuccheri totali e residui, vitamina C, betacarotene e flavonoidi. Però i pomodori convenzionali sarebbero più ricchi di licopene, un caroteneode antiossidante. Questo tipo di elementi nutritivi si trovano peraltro in molti prodotti disponibili sulle nostre tavole.
Quanto alle pesche, quelle biologiche presentano un maggior contenuto di polifenoli grazie alla particolare tecnica di coltivazione. Anche per le mele: gli studi hanno riscontrato nella purea di mele biologiche un maggior contenuto di sostanze bio-attive (fenoli, flavonoidi e vitamina C) rispetto a quella ottenuta da mele convenzionali.
Ebbene a questo punto sembrerebbe ovvio: spendiamo qualcosa di più ma mangiamo sano, ma non tutti la pensano così.
Infatti arriva da Israele quella che si può ben chiamare una “follia transegenica”: pomodoro al profumo "di rosa", "geranio" e "limone". Follia o non follia nel test fatto con 82 persone ben 49 hanno scelto il pomodoro transgenico e solo 29 hanno preferito il tradizionale (4 non hanno saputo scegliere).
Ma mi sorge un dubbio: al panel di questo test hanno sottoposto pomodori tradizionali bio? Perché il loro sapore è sicuramente migliore di molti dei pallidi pomodori che ci vengono venduti.
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