REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno III n° 7 LUGLIO 2007 vol II° MISCELLANEA


Camminando...
Un tratto dell’alzaia dell’Adda
Di Cricio



L’Adda, un fiume che per secoli è stato il confine di stato. Ad est la Repubblica Veneta ad ovest il milanese di influenza spagnola. Ancora oggi l’Adda è confine, ma non più fra due stati, ma tra due province: Bergamo e Milano e scorre in un territorio densamente abitato, con fabbriche che lavorano a pieno ritmo, ma quando si cammina lungo le sue sponde sembra di essere in un altro mondo.
La prima volta ho fatto questo percorso, molti anni fa, in bicicletta da Caloziocorte fino a Trezzo d’Adda; oggi invece lo voglio fare a piedi e parto da Brivio, salto cosi il primo pezzo di strada, e proseguirò fino a quando sarà arrivato mezzogiorno, (per circa tre ore), perché poi devo tornare sui miei passi per riprendere l’auto e tornare a casa.

Il paesaggio inizia con l’Adda che scorre maestosa e tranquilla nella valle, le rive non sono ripide e con il bosco ceduo che le affianca; qua e là vi sono delle case con campi coltivati. l'ambiente si presenta molto diverso dalla pianura circostante: una angolo che sembra un sogno.
L’acqua dell’Adda scorre quasi senza increspature tra le rive e riflette i colori circostanti: il verde dei parti, le varie tonalità del verde degli alberi, il bianco delle facciate delle case.
Dall’acqua ricevo la luce e la serenità dei colori delle montagne attorno che sfumano e si confondono con il cielo azzurro.
Camminando lungo l’alzaia si possono incontrare cose inattese, come un piccolo stagno con le ninfee, contrasti di colore fatti da fiori ed inflorescenze, anatre e cigni che nuotano tranquilli nell’acqua o che fanno le pulizia su una ramo semi-sommerso di un albero, e magari vi può anche capitare di vedere i cigni volare.

Quando iniziano il volo si sente un rumore forte, come se ci fosse un fuoribordo sull’acqua, poi si vedono correre sull’acqua ed infine si alzano in volo. Ed è un volo disteso che segue la direzione del fiume a qualche metro dal pelo dell’acqua.


Le rive ora si alzano e la boscaglia risulta più fitta, fatta dai tonchi dritti che vanno verso l’alto e da un sottobosco denso, ma non intricato,e dall’alto la luce filtra tra le foglie in movimento, creando sensazione e ricordi di sogni. Più avanti appare un canoista. È come un lancia gialla che sfreccia sicuro sull’acqua, lasciando una traccia che lentamente scompare sulla superficie a specchio del fiume. Al bordo, tra i sassi si sorge nell’acqua una miriade di pesciolini minuscoli, che cercano il cibo e che ad ogni nostro movimento si nascondono nell’acqua più profonda per poi tornare a guizzare affamati alla ricerca di alghe o altro con cui saziarsi.

Ora la valle si allarga un poco, e appare il Traghetto di Leonardo; è molto interessante, non è ovviamente quello originale, ma è stato ricostruito sui progetti di quel “genio” che per anni ha lavorato per il Duca di Milano, anche in questi posti. Il traghetto si muove scivolando su di un cavo di acciaio teso tra le due rive e sfrutta la corrente del fiume; una chiglia mobile, a secondo della posizione, dà la direzione del movimento fra le due rive. Se la corrente è debole, come ora che siamo in periodo di magra, il barcaiolo aiuta il movimento con un apposito gancio, ma nei periodi in cui il fiume ha tanta acqua e la corrente è forte lo stesso gancio deve essere usato per rallentare il movimento. Leonardo, di questi traghetti, ne aveva costruiti cinque e ne incassava i pedaggi.



Il traghetto si sposta tra le due sponde silenziosamente con un movimento regolare e si fa strada tra i cigni e gli altri palmipedi che si affollano in questo braccio di fiume, attendendo il cibo che i viaggiatori gli buttano in abbondanza.

Proseguiamo lungo l’alzaia, la via è meglio temuta, più larga con le sponde ben curate. Le rive si fanno ripide e completamente boscose, solo qua e là una piccola radura dove qualche gruppo di persone prende il sole o fa colazione. I colori si incupiscono e le cime verdi degli alberi soleggiati si staccano dal verde della macchia.

Qui la tranquillità è rotta solo dai richiami dei germani. Ogni tanto un anatroccolo che riposava al margine del percorso, spaventato si tuffa nell’acqua, creando un po’ di agitazione ed il fiume continua a stupire per la sua pace e l’armonia che vi regna.

Percorsi alcuni chilometri si entra nell’area detta “Il Museo di Leonardo”, una parte attrezzata del percorso, con cartelloni di spiegazione delle “cose” che si vedono, cose che sono una sovrapposizione di tecnologie e di natura. Sovrapposizione che mostra come le tecnologie si ambientino e diventino parte integrante dell’ambiente naturale.

Il primo manufatto che appare evidente opera dell’uomo (anche l’alzaia lo è, ma non appare così in modo evidente) è uno sbarramento per alimentare una centrale idroelettrica, la “Semenza”.


Lo sbarramento lascia aperte due uscite una che rifornisce un canale e l’atra che alimenta la centrale. Lungo il bordo degli sfioratori, delle arcate sorreggono la strada che conduce alla centrale. Appaiono come occhi entro cui si rivede questo paesaggio composti da tutti i verdi immaginabili.


La centrale la si vede superato appena superato lo sbarramento ed appare come un prolungamento del fiume, come una fabbrica “fantastica” con l’acqua che scorre lungo i muri in una immersione totale.
 




La strada prosegue costeggiano un isolotto rigoglioso; dopo un poco guardando alle spalle, si vede la centrale che ha cambiato aspetto, ora sembra quasi una villa dell’inizio novecento, sull’acqua del fiume che qui sembra un piccolo lago in cui la “villa” si specchia

Ora il fiume fa un ampia curva ed ecco che appare un manufatto filiforme che ci sovrasta e raccorda la pianura spaccata ed erosa del fiume.


Un ponte, il ponte di Paderno dedicato a san Michele e chiamato dai pendolari amorevolmente “Cassandra Crossing”.


È un ponte particolare. È stato realizzato tra Calusco e Paderno all’epoca dell’unità d’Italia.

Costruito totalmente in ferro, fu usata la tecnica navale dei chiodi ribattuti e per la sua realizzazione furono usati ben 100.000 chiodi. Il progetto fu dell'ingegnere svizzero Jules Röthlisberger.

La modalità con cui venne costruito lo rende molto elastico e i treni quando passano oggi devono viaggiare togliendo la trazione per evitare di avere eccessive oscillazioni e correre il rischio di deragliamento.
Chi è sul treno sente queste oscillazioni e scricchioli paurosi delle travi che si muovono e, se non è un pendolare che sa benissimo che si tratta di cose normali, sicuramente si spaventa temendo un crollo.

Forse per questo è nata la leggenda che il giorno del collaudo l’ingegnere si spaventò per la forte oscillazione e si butto dal suo ponte, ma è solo una leggenda, perché l’ingegnere visse felice e contento, come il suo ponte che ancora oggi permette il transito di moltissimi treni che trasportano poco meno di 10.000 persone al giorno tra Bergamo e Milano.

Passo sotto questa ardita struttura reticolare e il mio sguardo si alza a scrutarla per scoprirne i segreti di quasi un secolo e mezzo di vita; due guerre sono passate su di lui e nella seconda l’aviazione alleata ha tentato invano di abbatterlo, ma lui è ancora lì che sfida il tempo, come quelle persone malaticce che mettono nella fossa tutti.

Procedendo, poco più avanti, ci sono le rapide e inizia il canale navigabile costruito da Leonardo da Vinci per superarle.
I
l punto di inizio del canale è stato completamente rifatto con paratie motorizzate e comandate a distanza, infatti l’acqua del canale navigabile, alla fine dell’800, è stata dirottata per far funzionare alcune centrali elettriche.
Il paesaggio è suggestivo quanto mai e prima di aggredire questa parte del percorso non posso non girarmi per ammirare ancora una volta quella struttura sottile e forte che è il ponte di Paderno.

Tra questi manufatti recenti c’è la cinquecentesca chiesetta dell’Addolorata, ma a vederla non sembra addolorata di essere tra i giovani d’acciaio. In questo posto il nuovo e l’antico vengono equalizzati e mescolati dalla natura stupenda.
La chiesetta sembra essere più addolorata della cattiva manutenzione, dell’umidità e da una cancellata che ci impedisce di avvicinarci. Una visione triste, che mi richiama un vecchio su un letto sgangherato che cerca di attirare l’attenzione di chi gli passa vicino.


La strada alzaia qui si discosta dal percorso del fiume e segue ovviamente il tracciato del canale che passa in a un avvallamento parallelo separato da una collinetta dalle rapide del fiume.
Si cammina sulla riva alzaia con un calale a fianco ricco di acqua che scorre lentamente in modo possente e comunica un senso di grandezza; mi vengono in mente alcuni pezzi di musica di Haydin.

Più avanti troviamo una conca, da qui parte il canale in galleria che porta l’acqua alle centrali elettriche a valle.

Il vecchio canale navigabile invece è quasi asciutto. E subito troviamo la prima chiusa. È la più triste che abbia visto, forse perché visivamente si contrappone lo specchio d’acqua della conca. Non mi soffermo e proseguo a camminare sulla alzaia.

Il canale ha pochissima acqua e vi è una folta vegetazione che nasconde anche quel poco che scorre sul fondo, ma la vegetazione è lussureggiante. Imbocco un sentierino che si addentra nella collina verso il fiume, eccolo: specchi d’acqua quasi ferma tra massi rocciosi, l’acqua è di un verde smeraldo e la vegetazione attorno composta da faggi, piante cedue e erbe, a volte pieni di fiori, dà un senso di pace; pace che vorremo avere tutti i giorni, questo è riposo.
Qui la mente si perde nei sogni, quelli che facevamo da bambini leggendo Tom Sawyer o l’Isola misteriosa.



Con negli occhi queste visioni riprendo il cammino sulla alzaia.

Il canale e l’alzaia si inforrano tra ripe scoscese, il bosco ombreggia il percorso e ad un certo punto sulla destra appare una scalinata che risale al collina di separazione dall’Adda. È un invito irresistibile.
La scalinata sale dritta tra due siepi di bosso poi si separa in due braccia simmetriche e si arriva così al Santuario della Rocchetta.
Questo è costruito su uno sperone e attorno alla chiesa vi è un ampio spiazzo tra gli alberi. Un posto ombroso da cui si gode uno paesaggio stupendo.
Dicono che sia il paesaggio ripreso come sfondo da Leonardo per “La Gioconda”: è veramente un paesaggio straordinario per le sensazioni che riesce a trasmettere.

Ridiscendo le gradinate e mi ritrovo nel fresco verde del bosco ai margini del canale.
Poco più avanti l’alzaia supera il canale con un ponticello a valle di una chiusa, questo mi permette di studiare i meccanismi messi in opera in questo manufatto.

La conca ha due paratie composte da due ante ognuna, una a monte ed una a valle, una piccola cascata d’acqua scende dai gradini che raccordano i due livelli del canale, ritengo che i gradini servano a rompere il salto d’acqua ed evitare l’erosione, i portelloni superiori servono a rallentare il flusso dell’acqua quando si svuota la conca per far scendere il natante al livello inferiore.

La chiusura della paratia superiore, probabilmente, ha il solo scopo di risparmiare acqua e tempo e non è particolarmente sofisticata, quella dei portelloni inferiori è invece “strategica” e deve sopportare la forza di spinta della massa d’acqua che si accumula nella conca.
La fattura dei portelloni è quindi solida, con rinforzi in metallo e, malgrado il disuso da più di un secolo, i manufatti sembrano ancora funzionati.

Il movimento del portellone è comandato da una biella manovrata da un meccanismo ad ingranaggi e da un volante gestito manualmente. Il volante del meccanismo di comando è stato tolto evidentemente per evitare che qualcuno possa chiudere le ante causando danni.

Di questi meccanismi di ferro, possenti e che danno l’idea di una società industriale che sente il significato della ingegneria e della potenza delle macchine, ve ne sono moltissimi lungo il percorso.

È difficile avere il permesso di entrare nelle centrali elettriche, ma se lo si potesse fare si noterebbero macchine disegnate e realizzate con raffinatezza, edifici curati e decorati con finiture d’arte, cose ben lontane dalle strutture industriali comuni oggi, che badano solo alla riduzione del costo. Forse per questo questi impianti si adeguano così bene al paesaggio.

Passato questo punto la forra si allarga, e torna il sole a illuminare il paesaggio. Sembra che l’acqua nel canale aumenti, probabilmente raccoglie l’acqua dalla falda. Si incontrano ancora alcune conche con il loro casello ormai diroccato.


Poi si arriva alla centrale Bertini. La centrale Bertini è stata costruita nel 1898 e allora fu uno dei più importanti impianti in esercizio, secondo solo a quello delle cascate del Niagara negli USA,. La centrale, essenziale nelle forme, erogava una potenza elettrica che le permetteva di illuminare le strade pubbliche di Milano nonché di muovere i primi tram elettrici.



Qui scade il tempo che mi ero dato e devo iniziare il ritorno. So che oltre c’è la centrale Esterle dove termina il naviglio di Paderno e poi a Trezzo un’altra interessante centrale, la “Treccani Ponti”. Quest’ultima è costruita in un curioso stile monumentale, identico. perché dello stesso architetto Ernesto Pirovano, al Cimitero Unico di Bergamo. Quando la vidi nella mia escursione precedente rimasi impressionato da questa architettura proprio per questa stretta similitudine. 

La strada alzaia prosegue sempre tra questi paesaggi che sono un inno alla natura, fino a Cassano, da dove si stacca dall’Adda per procedere con il naviglio della Martesana verso Milano.

Sono percorsi che sono noti e frequentati quasi esclusivamente dalla gente del posto, ma hanno punti di interesse storico, naturalistico e di relax molto importanti e potrebbero essere un richiamo turistico di grandissimo valore, se... fossero fatti conoscere.


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