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La politica e le parole

La Lega ritorna alle vecchie abitudini


Di Giovanni Gelmini

Il discorso di Bossi fatto al passo di San Marco, confine della Repubblica Veneta, rimpianta dai bergamaschi, non mi sembra che contenga nulla di particolare se si tiene conto del lessico che la Lega usa da sempre; certo se questi passassero da “modi di dire” a fatti la cosa sarebbe grave, ma già anni fa Bossi è stato indagato per un discorso simile e l’unica cosa che è successa, tempo dopo, è stata la goliardata della presa del Campanile di San Marco, cosa che sinceramente fa ridere, rispetto a quello che commettono gli estremisti di destra e di sinistra di vario tipo.

Ma dietro il discorso di Bossi ci sono delle verità che stanno alla base del “disagio” del Nord. E che forse fanno male ai politici “classici”.

Proviamo a farne un’analisi della situazione.
Sappiamo che le “elezioni” sono un ciclo continuo nel mondo politico e la Lega soffre oggi di dubbi da parte della sua base e del suo elettorato.
Da dove nascono questi dubbi?
Per prima cosa dall’aver messo al centro del patto con Berlusconi il raggiungimento del federalismo, cosa che è stata vanificata proprio dalla volontà di Berlusconi di imporre un premierato dittatoriale, imposizione che ha portato la maggioranza dei cittadini a far cancellare la riforma attraverso il Referendum e quindi a vanificare le aspettative della Lega.

Ma non solo. La Lombardia e tutto il nord soffrono di una carenza di infrastrutture straordinaria, che rende l’economia difficile, il pendolarismo faticosissimo, l’aria che si respira fortemente inquinata. In risposta a tutto questo l’accoppiata Lunardi-Berlusconi è stata capace solo di “inventare il ponte di Messina”, con grande gioia dei Lumbard che invece hanno visto slittare in continuazione i progetti, anche quelli con i cantieri aperti. Solo Di Pietro, da quando è diventato ministro con il centro sinistra, ha sbloccato piccoli e grandi progetti, con grande smacco dei notabili leghisti, specialmente di Bergamo.

Ecco quindi la necessità di lanciare messaggi forti, tali da riaggregare e ridare forza a militanti ed elettorato. Cosa utilizzare per fare ciò? La risposta è facile: “i soldi”, quelli che i lombardi mandano a Roma, e sono tanti, e che non tornano in efficienza del territorio: infrastrutture, sicurezza, giustizia, scuole, burocrazia. Tutti sanno che queste sono molto al di sotto della sufficienza. La colpa non è solo di Roma, buona parte è anche di Milano con una Regione Lombardia in cui l’inefficienza e lo spreco sono ai massimi livelli, con buona pace del governatore Formigoni, ma l’elettorato di questo non si accorge e la colpa è sempre di “Roma ladrona”, non importa se a Roma ci sono anche i leghisti e i loro soci, non importa se il peggioramento dei conti pubblici è stato gigantesco nel quinquennio della “Casa delle Libertà”: quello che la gente sente è la difficoltà economica e il peso delle tasse e questo è reale.

Lo sentono in particolare molti piccoli imprenditori per cui l’evasione è una “buona abitudine”, a volte dovuta anche da piccoli ricatti; questi sotto Berlusconi si sono sentiti “liberi di evadere” e oggi con il fisco diventa molto più efficiente di prima, non sono più in grado di evadere con la stessa libertà.
Ma il disagio è sentito anche dai lavoratori che pagano fino all’ultima lira; infatti l’introduzione dell’euro, con una inflazione sommersa e molto pesante, ha decurtato fortemente i redditi reali. La cosa assurda è che quelli che hanno avuto vantaggi da questa inflazione sono proprio gran parte di quegli evasori che oggi si lamentano a gran voce e guidano la protesta.

Quindi non c’è da meravigliarsi se Bossi cavalca questa tigre e rilancia la Lega come movimento forte di rottura con le istituzioni: nulla di nuovo sotto il sole.

Il fatto grave invece è che gli altri politici non si accorgano di questo disagio forte. Ma anche questo non è un fatto strano, la classe politica è governata da uomini del Sud, che non sanno nulla di quanto succede qui, da Bertinotti a Buttiglione, da D’Alema a Storace, per non dimenticare il “re” De Mita.

Tutto questo crea nelle popolazioni del Nord un forte scontento e una mancanza di fiducia in una possibile soluzione, sia in chi vota destra, sia in chi vota sinistra. E questo “disagio” lo ha da sempre cavalcato la Lega Nord.

Ma la capacità di capire i momenti politici di Bossi viene quasi sempre vanificata dal grande Calderoli, l’altra colonna della Lega Nord, che invece non ha la stessa sensibilità.

Calderoli troppo spesso si lascia andare a inutili estremistiche prese di posizione che lasciano sconcertata la gente. L’ultima suona così: “Anatema. Se io fossi la Chiesa scomunicherei l'Unione europea e chi la sostiene da noi in Italia”. Ma si rende conto di quello che dice quando parla? Scomunica per questione di soldi? Ma sa cosa sia il Vangelo, il sig. Calderoli? Invece la gente è stufa delle prepotenze dei potenti, sia che siano laici, sia che vestano l’abito talare.

Proprio quella gente stanca di pagare tasse a cui si rivolge Bossi non vuole che vi siano privilegi per chi manovra soldi, anche se questo è un ecclesiastico. La Chiesa Cattolica non è più la “voce del paese”, anche se la CEI si ostina ad affermarlo. Questo è chiaramente dimostrato dal fatto che solo il 32% dell’8 per mille viene ad essa destinato, ma grazie al loro potere, quel 32% diventa miracolosamente l’80%.
Anche questa è una cosa che dà molto fastidio agli italiani e forse Bossi dovrebbe metterla nel carnet delle sue sparate, Calderoli permettendo.

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