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La politica: costa troppo e serve a poco Di Giacomo Nigro
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Voglio cominciare, come è di gran moda in questi giorni, citando Grillo che, nel maggio scorso, citava sul suo arcinoto blog il libro scritto da G. Antonio Stella e Sergio Rizzo “La Casta” pubblicato da Rizzoli.
“Ricordiamo, in breve, solo quattro punti. Il primo: tra i grandi Paesi occidentali l’Italia è quello con il numero più alto di parlamentari eletti. Senza contare i senatori a vita... abbiamo un parlamentare ogni 60.371 abitanti contro ogni 66.554 in Francia, ogni 91.824 in Gran Bretagna, ogni 112.502 in Germania, per non dire degli Stati Uniti: uno ogni 560.747. Il secondo: lo stipendio di un deputato è cresciuto dal 1948 ad oggi, in termini reali e cioè tolta l’inflazione, di quasi sei volte... ed è di 11.703 euro oggi. Terzo punto: nessuno si avvicina ai 149.215 euro di stipendio base dei nostri deputati europei. Non solo prendono oltre 44.000 euro più degli austriaci, ma incassano quasi il doppio dei tedeschi e degli inglesi, il triplo dei portoghesi, il quadruplo degli spagnoli... la lista non tiene conto delle integrazioni, a partire dal rimborso delle spese di viaggio per l’europarlamentare e i suoi collaboratori, 'calcolato a forfait sul biglietto aereo più costoso, senza vincolo di documentazione'. Più 'la rilevante indennità aggiuntiva per i collaboratori, di cui non solo non occorre documentare la retribuzione, ma neppure l’esistenza'... 'Il calcolo di 30-35.000 euro al mese è quindi probabilmente approssimato più per difetto che per eccesso'. Quarto punto: l’insofferenza di molti parlamentari verso chi calcola nel loro stipendio anche i soldi per il collaboratore è spesso ipocrita fino all’indecenza... pagano sottobanco i collaboratori (tra i 500 e i 1.500 euro) per i quali prendono al Senato 4.678 euro e alla Camera 4.190 al mese... Un servizio delle Iene smascherava il giochetto dimostrando che alla Camera su 629 collaboratori ufficiali quelli regolarmente assunti erano solo 54: tutti gli altri erano pagati in nero. Quanto? 'Il mio riccamente' rispondeva spigliata la margheritina Cinzia Dato... 'La politica ha dei grossi costi. Quindi ognuno s’arrangia' spiegava romanescamente il nazional-alleato Carlo Ciccioli. 'Quanto paga i portaborse?' 'Quattro o cinquecento euro ar mese pe’ fa ‘na cosa. Quattro o cinquecento pe’ fanne ‘natra...'.” Montezemolo, leader degli industriali, ci spiegò allora che i costi derivano anche dalla crescita delle cariche rappresentative remunerate: dai consigli di circoscrizione fino al parlamento europeo, passando per consigli comunali, provinciali, regionali, ed enti collegati. Serve semplificare la burocrazia: “Lasciateci lavorare e creare sviluppo. La politica ha dei costi eccessivi ed è ormai di gran lunga la prima azienda del paese”. ”Come persone di impresa sappiamo benissimo che le funzioni di governo meritano di essere adeguatamente remunerate – disse ancora Montezemolo - non ci sfugge neppure che la partecipazione democratica implica la creazione di organizzazioni permanenti. Ma è difficile accettare l'idea che la politica, nel senso della gente che vive di politica a tutti i livelli, sia ormai di gran lunga la prima azienda del paese”. Insomma un attacco a tenaglia! Il Paese in crisi economica e sociale deve fare i conti con un sistema politico, una classe dirigente incapace di rispondere all'urgenza del momento. È il nuovo affondo di Confindustria al Palazzo, alla sua efficienza discutibile, al suo funzionamento e soprattutto ai suoi costi e ai suoi sprechi. Spende parecchio, il Parlamento, più che nel resto d'Europa, denuncia l'associazione degli industriali presieduta da Montezemolo in un'analisi del suo centro studi che in 287 pagine passa ai raggi X l'intera macchina politico-istituzionale. Il documento si risolve in una critica impietosa e a tutto campo: "Vi è un chiaro problema di inadeguata governance del Paese che risiede nella legge elettorale, nelle regole di governo, nella forma di Stato". Gli imprenditori, neanche a dirlo, nutrono scarsa fiducia nella capacità della politica di rigenerarsi, tanto che "una riforma della legge elettorale resta improbabile" e solo l'iniziativa referendaria, è la loro tesi, "può essere una spinta salutare verso il cambiamento". Ma il bubbone sul quale il centro studi della Confindustria ha focalizzato l'attenzione è quello attualissimo dei costi. "Il fatto che la politica abbia dei costi non è messo in discussione. Ciò che invece è motivo di pesanti critiche è il fatto che ad una inevitabile livello di costi non corrisponda un funzionamento efficace". L'analisi mette a confronto i sistemi di cinque paesi occidentali: Stati Uniti, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. In Italia il meccanismo ruota attorno ai rimborsi elettorali, che in occasione del voto del 2006 sono ammontati a 200 milioni 819 mila euro. Fuori dai nostri confini l'asticella scende non di poco: 152 milioni di euro il finanziamento negli USA, 132 milioni in Germania, 73 milioni in Francia, 60 in Spagna, 9,23 (ai soli partiti di opposizione) nel Regno Unito. Dal raffronto emerge che "l'Italia è il Paese che spende di più" per mantenere le istituzioni. Anzi, il nostro Parlamento, da solo, assorbe il 41% dei costi complessivi, quanto Francia e Germania insieme. Di conseguenza, è piuttosto sostenuto il costo medio delle casse pubbliche per ciascun parlamentare: 1 milione 531 mila euro, "poco meno del doppio di quello complessivamente sostenuto da Francia e Germania e quasi sei volte superiore a quello sostenuto dalla Spagna". Ogni italiano infatti spende 16,3 euro per sostenere le Camere, contro i 2,1 della Spagna, l'8,1 della Francia, i 6,3 della Germania. E questo, incalza Confindustria nella sua disamina, "malgrado la situazione italiana sia contraddistinta da minore efficacia ed efficienza". L'Italia si piazza in testa alla classifica anche per gli stipendi dei suoi 78 europarlamentari. Quasi 150 mila euro di indennità base (alla quale aggiungere rimborsi spese, benefits, costi di soggiorno) a fronte dei 105 mila dell'Austria che segue lontana secondo, gli 84 mila della Germania e giù con gli altri. Per non dire dello stipendio dei parlamentari nazionali. Il centro studi mette maliziosamente a confronto l'indennità con il costo di 1 kg di pane, dal 1948 ai nostri giorni. Fino al 2006, quando lo stipendio ha superato quota 15.304 euro a fronte di una spesa per acquistare il pane che per il cittadino comune ammonta a 2,86 euro. E poi c'è l'indotto della politica, il popolo di consulenti, esperti, consiglieri, assessori, portaborse, che negli anni è cresciuto a dismisura. Gli industriali parlano di "ipertrofia degli apparati burocratici che soprattutto nelle due ultime legislature hanno proliferato indisturbati e senza controllo". Di più, di "permanenza di privilegi improntati a due pesi e due misure". "Un humus tutto italiano, storicamente allergico al rispetto delle regole e al controllo della legalità". È la Politopoli secondo Confindustria, destinata a essere travolta dalla "sfiducia dei cittadini verso le istituzioni, la più alta tra i paesi sviluppati". Le commissioni parlamentari ci costeranno nel 2007 un milione e 875 mila euro, di cui 300 mila l'Antimafia, 135 mila la Commissione di vigilanza sulla Rai, 75 mila quella sui rifiuti. È un Parlamento, il nostro, che ci tiene molto ai rapporti internazionali: per attività interparlamentari con paesi stranieri andremo a spendere tre milioni e 195 mila euro. Le missioni costano - viaggi, alberghi, interpreti - e le spese di rappresentanza pure. Passi per i quindici milioni e spiccioli che se ne vanno per il mantenimento degli immobili di proprietà della Camera. Sono un po' più ingiustificati i quasi due milioni spesi per "arredi, mezzi di trasporto, attrezzature d'ufficio". Dieci milioni sono spesi per software e hardware mentre solo 1.775.000 sono destinati al mantenimento del patrimonio artistico e bibliotecario. È una cifra da capogiro quella destinata al rimborso ai partiti per le spese elettorali, il famoso o famigerato "finanziamento pubblico ai partiti": 150 milioni di euro. Il meccanismo dei rimborsi elettorali prevede, per legge, un euro per ogni iscritto alle liste. Ai singoli partiti poi il rimborso viene retribuito in base ai voti ottenuti. Cinquanta milioni di euro sono stati distribuiti ai partiti per il rinnovo della Camera; altrettanti per il Parlamento Europeo; cifra analoga per i Consigli regionali. Il Senato grava su un altro bilancio, un altro capitolo delle spese della politica a cui va aggiunto quello di Palazzo Chigi. In tutto, euro più euro meno, il funzionamento della politica costa ai cittadini italiani qualcosa come quattro miliardi di euro ogni anno. Per controllare l'andamento del voto, nel 2007 spenderemo poco più di un milione di euro. È una delle poche voci che diminuisce: nel 2006 - l'annus horribilis dell'urna visto che il riconteggio è finito solo adesso con la conferma della vittoria dell'Unione - avevamo speso due milioni e rotti. Il quadro dei dati snocciolati è impressionante e per tentare di consolarci potremmo pensare, va bene i politici passano (e qui c’è da ridere), ma l’organizzazione dello Stato è un corpo stabile che infonde continuità ed allora diamo una sbirciatina a un’indagine dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre. Apprendiamo che la pubblica amministrazione costa a ciascun cittadino italiano 5.564 euro, collocando il nostro Paese al secondo posto tra i principali competitori economici europei. Solo la Francia, con 5.765 euro pro capite, registra una spesa superiore alla nostra, anche se in termini di efficienza e di performance il pubblico impiego transalpino è nettamente migliore del nostro. Analizzando i dati, dalla CGIA fanno sapere che la spesa di funzionamento totale è data dalla sommatoria dei costi per il personale, dai costi per l’amministrazione e la gestione e quelli per gli interessi da pagare sul debito pubblico. Il costo totale più consistente è quello francese, con un valore pro capite pari a 5.765 euro. Segue l’Italia con 5.564 €, il Regno Unito con 5.182 €, la Germania con 4.115 € e, all’ultimo posto tra i principali paesi dell’Europa dei 15, la Spagna con soli 3.247 € pro capite. "Di fronte a questi risultati – commentano dalla CGIA di Mestre – ciò che balza subito agli occhi non è tanto il costo del personale italiano, che con 2.660 € pro capite è ben al di sotto dei dati riferiti al Regno Unito o alla Francia, bensì i costi per il funzionamento della macchina pubblica, che è la più costosa tra i principali paesi UE nostri competitori." "Infatti - concludono dalla CGIA - se da noi il costo si attesta sui 1.763 € pro capite, in Francia è pari a 1.389 €, mentre tutti gli altri paesi sono ben al di sotto di questo importo. Infine, ma questo non rappresenta certo una novità, paghiamo ben 1.141 € pro capite di interessi sul debito pubblico contro i 752 € della Germania, i 739 € della Francia, i 638 € del Regno Unito e i 379 € della Spagna". Dalla padella alla brace. La sola lettura di queste analisi fa tremare le vene dei polsi e lascia pensare che mettere mano in un guazzabuglio così intricato sia così arduo che i nostri governanti girano intorno a questi temi come gli indiani d’America intorno ai loro totem ma con l’animo attribuito agli abitanti dell’India… insomma fanno gli indiani! Argomenti: #costo , #crisi economica , #critica , #critica politica , #grillo , #politica Leggi tutti gli articoli di Giacomo Nigro (n° articoli 139) il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo |
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