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Mafia e Sicilia La casta-cosca colpisce ancora Di Marina Minasola
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Siamo degli eletti. Siamo molti eletti, o forse molti incoscienti, che la mattina quando usciamo di casa non sentono il bisogno di fermarsi a vedere se sotto la macchina c’è qualcosa che non va. Eppure c’è gente, molta gente, che per coraggio, per dignità, per la voglia di raccontare o di fare giustizia deve curarsene ogni giorno, spaventata da un possibile ordigno collegato al motore della propria auto. Gente che ha investito la propria vita nella ricerca della verità, desiderando di poter cambiare il mondo per renderlo meno grigio agli occhi dei propri figli. Questi sono alcuni nomi sicuramente noti ma mai abbastanza, perché è importante non dimenticare:
Pietro Scaglione (5 maggio 1971), Procuratore capo di Palermo. Peppino Impastato (9 maggio 1978), speaker radiofonico e animatore culturale. Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980), presidente della regione Sicilia. Pio La Torre (30 aprile 1982), segretario del PC siciliano. Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto del capoluogo siciliano. Libero Grassi (29 agosto 1991), imprenditore attivo nella lotta contro le tangenti alle cosche e il racket. Strage di Capaci (23 maggio 1992): Giovanni Falcone, magistrato; Francesca Morvillo, magistrato, moglie di Giovanni Falcone; Antonio Montinaro, agente di polizia facente parte della scorta di Giovanni Falcone; Rocco Di Cillo, agente di polizia facente parte della scorta di Giovanni Falcone; Vito Schifani (23 maggio 1992), agente di polizia facente parte della scorta di Giovanni Falcone. Strage di via d'Amelio (19 luglio 1992): Paolo Borsellino, magistrato; Emanuela Loi, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino; Walter Cusina, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino; Vincenzo Li Muli, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino; Claudio Traina, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino; Agostino Catalano, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino. Beppe Alfano (8 gennaio 1993), giornalista. La lista è interminabile, impossibile da riportare per intero. Scorrendo il dito su questi nomi provo vergogna, come siciliana, come esponente di una nuova generazione che dovrebbe ribellarsi. Una ribellione che non può e non deve essere come quella che fanno in tanti, costituita dal girare gli occhi o dall’urlare parole al vento solo per farsi pubblicità. Mi vergogno come essere umano. Non fatevi ingannare dalle date. Dagli anni novanta ad oggi la mafia non ha smesso di uccidere, non è scomparsa. Agisce nell’ombra, si muove lentamente come una pantera che bracca la sua preda, la punta, drizza le orecchie. Pochi si ricordano che esiste e temono un suo attacco, perché è una pantera che ha imparato a mimetizzarsi come un camaleonte, materializzazione delle teorie darwiniane, e che adesso ha mandato molti dei suoi figli, membri appartenenti al branco, tra di noi, a governarci forse più che in passato. Lo sa bene Lirio Abbate, cronista dell’Ansa che con le sue inchieste ha fatto arrabbiare la mafia-pantera più e più volte. Giornalista valido e uomo onesto, ha sempre sostenuto che il suo mestiere andava fatto nel migliore dei modi, e se questo voleva dire trovare il coraggio di mettere i fatti nero su bianco e sfidare la mano nera avrebbe affrontato tutti gli ostacoli. Ne è testimonianza il suo ultimo libro, dal titolo “I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento”. Occupandosi anche di cronaca giudiziaria, attento osservatore dei fatti di mafia, e seguendo alcune piste che fanno pensare ad un legame tra mafiosi e sbarchi di clandestini in Sicilia, avrà di certo “pestato i piedi” a qualcuno, e questi individui hanno tentato di ucciderlo. Per fortuna, essendogli stata affiancata una scorta già da tempo, gli agenti a lui assegnati hanno notato lo strano movimento di due persone che piazzavano un involucro sotto la macchina di Abbate. Il coraggio di tanti uomini che per decenni hanno lanciato il cuore oltre l’ostacolo non è bastato. Questo ennesimo fatto di cronaca accende nuovamente i riflettori sulla Sicilia, sui suoi fantasmi e non solo sulla Sicilia. Quando smetterà tutto questo? Spronare la gente, ricordare eroi moderni che senza scudo ma con una grande forza di volontà avevano messo in gioco la loro vita per cambiare questo misero mondo non credo possa bastare. Le recenti iniziative di Confindustria e Confcommercio siciliana a sostegno di imprenditori e commercianti vessati, la creazione di associazioni di giovani come “addiopizzo” e la sempre più frequente presenza televisiva di imprenditori che hanno il coraggio di ribellarsi, anche se lasciano perplessi sulla reale efficacia, fanno sperare. La speranza e la fiducia soltanto potranno convincerci che un giorno forse, se non noi almeno i nostri figli, potremo per sempre eliminare dalla nostra società complice e corrotta questi “uomini del disonore”, come li chiama Lirio Abbate, avversari dello sviluppo di intere regioni oltre che assassini. Rispetto a tutti noi, colpevoli per il nostro silenzio, è vero, ma in minima parte, rimangono ancora la minoranza. Non potrà vincere sempre e solo la minoranza, non potremo sempre aspettare un intervento dallo Stato che non arriverà mai, perché i figli non pugnalerebbero mai mamma pantera. Questa casta-cosca, come l’ha definita Travaglio, ammorba la nostra vita da un tempo ormai insopportabile. Non possiamo più permetterci di stare solo a guardare e di lasciare soli i coraggiosi: cerchiamo di trovare anche noi coraggio o, quantomeno, di recuperare la dignità di esseri umani. Argomenti: #delitti , #lotta , #mafia , #scienza , #storia Leggi tutti gli articoli di Marina Minasola (n° articoli 39) il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo |
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