Tutti gli appassionati di medicina e genetica e anche tutti
coloro che ne capiscono anche solo qualcosina hanno sentito nominare almeno una
volta nella vita i nomi dei due celeberrimi scienziati americani Watson e Crick,
premi Nobel nel 1962 per gli studi sulla struttura del Dna.
Uno degli
esponenti di questa mitica diade, tuttora alla guida di uno dei principali
centri di ricerca scientifici mondiali, il settantanovenne James Watson, è
ritornato in questi giorni ai “disonori della cronaca” per aver dimostrato a
tutto il mondo come anche i geni con l’età possono diventare imbecilli e di come
l’alzheimer e la demenza senile non guardino in faccia nessuno.
Pessimista “Per le prospettive del continente africano, dal momento
che tutte le nostre politiche sociali si basano sul fatto che la loro
intelligenza sia pari alla nostra, mentre tutti i test lo smentiscono”,
“le persone che hanno avuto a che fare con dipendenti neri sostengono che non
è vero”, “non c’è un valido motivo per prevedere che le capacità
intellettive delle persone divise geograficamente al momento della loro
evoluzione si siano esplicate in maniera identica. Il nostro desiderio di
attribuire uguali capacità razionali come una sorta di patrimonio universale
dell’umanità non è sufficiente per renderlo reale”. Entro dieci anni si
scopriranno i geni che causano questa diversità.
Queste tre proposizioni
deliranti riportate dal “The Indipendent” riproducono il pensiero espresso da
Watson in una delle conferenze che era in programma tenesse in Gran Bretagna. E
non è la prima volta che il genetista si lascia andare a riflessioni
sconcertanti e prive di fondamento scientifico: non soltanto queste tesi
sull’inferiorità intellettive dei neri si ritrovano nel libro dello scienziato
che uscirà nel Regno unito la prossima settimana ma anche quando era di dieci
anni più giovane, nell’ormai lontano 1997, il papà del Dna aveva fatto discutere
blaterando sul diritto della donna all’aborto qualora avesse scoperto di essere
in attesa di un figlio omosessuale. Tempo dopo sostenne l’esistenza di un
legame fra colore della pelle e comportamento sessuale, manifestata dalla
maggiore libidine dei neri. Parlò, come se non bastasse quanto detto prima,
anche della possibilità di manipolare la bellezza femminile attraverso
modificazioni genetiche affermando che “la gente dice che sarebbe terribile
se rendessimo belle tutte le ragazze. Io penso che sarebbe grandioso”.
Nonostante i suoi “precedenti” il mondo scientifico si è dimostrato incredulo di
fronte all’incredibile serie di affermazioni agghiaccianti dei giorni scorsi.
Rita Levi Montalcini, una grande donna e scienziata la cui mente invece non è
stata ancora scalfita dall’età, ha commentato: “Davvero lo ha detto? Non ci
credo. Watson è una grande personalità, un genio. Forse lo ha detto
Storace.” Neanche Watson sembra credere a se stesso, stando a quanto a
dichiarato pochi giorni dopo lo scandalo evidenziato da tutti i giornali del
mondo: “Sono mortificato per ciò che è accaduto e ancor più grave è che non
riesco a comprendere come ho potuto dire questo. Posso certamente comprendere
perché la gente, leggendo quelle parole, ha reagito come ha fatto. [...]Non
posso che presentare le mie scuse senza riserve. Non è quello che volevo dire. E
soprattutto non vi sono basi scientifiche per sostenere tali tesi”.
Ma cosa ce ne facciamo delle scuse? Può tollerarsi una simile
leggerezza? Ci rendiamo conto di quanto possano essere pericolose delle parole
razziste pronunciate da una bocca tanto autorevole? I mitra probabilmente lo
sono meno. Perché sono così in tanti nel mondo che non capiscono quando è giunto
il momento di andare in pensione e ritirarsi a vita privata?
Le
conseguenze delle frasi di Watson da un punto di vista strettamente disciplinare
sono state limitate: il museo della Scienza di Londra ha cancellato una prevista
conferenza, la Commissione per i diritti umani inglese ha annunciato che sta
studiando parola per parola le dichiarazioni del premio Nobel, il laboratorio di
Cold Spring Harbor (Stato di New York), in cui si svolsero gli esperimenti
decisivi sulla struttura del Dna, ha dichiarato di considerare sospesa la
collaborazione con il genetista.
Troppo poco. Dai tempi del nazismo non
si sentivano tesi razziste tanto pericolose. Quando i pericoli di intolleranza e
discriminazione razziale sembravano diminuire e l’allarme mondiale verso
sconsiderati atti di ingiustificabile ignoranza sopito, un monumento della
cultura scientifica abbandona il metodo scientifico e si lascia andare a tesi
che Galileo avrebbe senza dubbio considerato infondate in quanto non
empiricamente dimostrabili. Speriamo che gli ignoranti della società, le menti
deboli del mondo, non si siano lasciate influenzare da una mente che un tempo
era stata tanto grande e tanto forte ma che oggi è soltanto vecchia.
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