Una situazione di stallo quindi che fa pensare ad una sorta
di stand-by comodo ad entrambe le parti, in attesa di nuovi eventi che paiono
non arrivare; intanto la guerra civile irakena continua.
Terminavo
così nel giugno scorso una considerazione sui colloqui Iran – Usa; a distanza di
qualche mese la situazione non è mutata di molto sul fronte Iraniano, mentre
Bush deve fare i conti con un’agguerrita opposizione interna sull’Iraq.
Un attacco duro ed autorevole alla guerra in Iraq è venuto,
recentemente, dal generale di corpo d'armata Ricardo Sanchez, ex comandante
delle forze Usa in Iraq e alto responsabile del Pentagono. Un “incubo senza
fine” e un “catastrofico fallimento”, così ha definito la strategia
della Casa Bianca nella guerra che oramai dura da 4 anni e mezzo.
Sanchez ha dichiarato che fin dal momento in cui assunse il comando nel
giugno 2003 si convinse che l’azione americana in Iraq non sarebbe riuscita.
“Vi è stata una evidente e infelice dimostrazione d'incompetenza strategica
da parte dei leader nazionali”; ha dichiarato, le critiche del generale, a
riposo dal 2006, sono rivolte all'insieme dell'amministrazione americana, che a
suo parere avrebbe dovuto mobilitarsi più compatta per la stabilizzazione
dell'Iraq.
Il generale è stato per un anno comandante delle forze
americane in Iraq a partire dal giugno 2003. Il fatto che sotto il suo comando
sia avvenuto lo scandalo di Abu Ghraib, nota il New York Times, lo rende
vulnerabile; appare infatti che egli con queste accuse voglia addebitare ad
altri le sue responsabilità. Il generale Sanchez fu rimosso poco dopo lo
scandalo di Abu Ghraib e non ricevette la quarta stelletta.
In ogni
caso, può darsi che questo attacco da parte del generale Sanchez rappresenti un
segnale di stanchezza dei militari americani invischiati in Iraq e desiderosi di
cambiare quell’insidioso e poco glorioso palcoscenico con qualche altra più
gradita impresa in giro per il globo.
Una sensazione questa confermata
sempre dal New York Times che in un editoriale afferma che il presidente Bush
offre incentivi economici sempre più alti ai membri dell’esercito che scelgono
di restare in Iraq. Queste offerte appaiono come un chiaro segno di
disperazione.
Intanto, mentre Putin è andato a Teheran dove, come si è
detto, il discorso bilaterale con gli USA è a un punto morto, salvo la conferma
di un blando embargo commerciale, Bush ha ricevuto il Dalai Lama in quello che
la Casa Bianca ha definito un incontro “privato” ed ha presenziato una
pubblica cerimonia in onore del leader tibetano. Il Dalai Lama, al quale nel
1979 è stato assegnato il premio Nobel per la pace, chiede per il Tibet una
larga autonomia, ma Pechino lo accusa di voler promuovere l'indipendenza del
Tibet, in altre parole una secessione.
Un’occhiata alla cartina
geografica ci fa tornare alla mente i recenti avvenimenti birmani. Quella è una
delle zone calde del mondo che pare far buona compagnia al medio-oriente nelle
attenzioni dell’amministrazione Bush.
Con tutta questa carne al fuoco,
la sensazione è che si voglia distogliere l’attenzione dal piatto principale e
cioè la disastrosa avventura irakena i cui esiti saranno cattivo viatico per la
scadenza della presidenza repubblicana, ma il perfido Putin sta giocando in
questi giorni un ruolo d’attizzatoio che scombussola il piani dell’illusionista
Bush.
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