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Il gioco e il bambino Mezzo insostituibile per la crescita intellettuale, fisica e morale, è oggi troppo trascurato o forse sconosciuto ai più. Proviamo a capirne l’importanza Di Natascia Zanon
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Il gioco è ormai da tutti ritenuto una fase fondamentale per lo sviluppo del bambino, ma troppo spesso i genitori lo trascurano, nel senso che non sanno come deve essere utilizzato in modo che sia utile.
Le varie teorie degli psicologi hanno considerato in vario modo il gioco, si parte da un semplice modo per “stancarsi” consumando il surplus di energie, ad un modo per attivare funzioni ataviche, al considerarlo come funzione e conservazione dello sviluppo, cioè questo svilupperebbe e conserverebbe le funzioni utili alla vita adulta e nello stesso tempo scaricherebbe l’energia delle tendenze antisociali che ogni individuo ha sempre con sé. Altre tendenze, più evolute, della psicologia infantile (Froebel, Claparède e Decroly) vedono invece nel gioco un modo per esercitare funzioni biologiche. Il gioco resta comunque il mezzo con cui il bambino si misura con la realtà esterna, impara a conoscerla, a controllare se stesso e il mondo esterno. Nel gioco il bambino costruisce il suo rapporto con gli altri e con le cose che lo circondano. I giochi infantili vengono generalmente suddivisi in fasce legate alla età in cui sono dominati. Nei primo mesi di vita lo abbiamo come esercizio senso-motorio. Il gioco fatto per il solo gusto di provare e verificare le proprie capacità; dapprima il bambino si concentra sul proprio corpo, poi si sposta verso gli oggetti. Quante volte abbiamo visto i bambini divertirsi a far cadere le cose dal seggiolone? Ecco questo è un modo in cui il bambino apprende, senza formule o studi di fisica, il fenomeno della gravità terrestre. Man mano l’esperienza diventa ampia e lo sviluppo mentale diventa più complesso, dai 18 mesi ai 6 anni, troviamo i giochi simbolici. Con questi il bambino, con l’uso della immaginazione che a questa età è molto vivace e non ancora bloccata dalla paura del giudizio altrui, può vivere dei rapporti oggetto – persona – situazione che non sono presenti in quel momento o addirittura sono solo parzialmente reali, ma che comunque fanno parte della sua esperienza. Con questo sistema il bambino drammatizza il mondo interiore della fantasia e riesce cosi a mantenere l'equilibrio psichico. Una caratteristica di questo periodo di gioco è che gli oggetti vengono usati, oltre che per le loro proprietà funzionali e materiali, anche per quelle simboliche, che il bambino attribuisce loro: questo sempre si lega ad un ricordo che il bambino vuole utilizzare. Ecco così che i peluche diventano compagni di gioco o che un pezzo di legno diventa una pistola o uno strumento musicale o altro. L’immaginazione, usata per la maggior parte attraverso il gioco, è “l’attore principale” nel bambino e gli dà l’opportunità di vivere in un mondo parallelo a quello reale. In questo mondo lui ha una percezione del tempo e dello spazio differente rispetto all’adulto, ha inoltre una flessibilità mentale che gli permette di avere una vera e propria abilità nell’affrontare le sfide per scoprire il mondo attorno a sé e crescere. Il bambino evoca e produce immagini e può arricchirlo con elementi fantastici, in questa dimensione ha la facoltà di scegliere se avere compagni nel suo mondo con cui condividere la sua esperienza o pure farne a meno. Ovviamente per il bambino sarà molto più facile accettare con sé i suoi coetanei, i quali riescono a vedere ciò che lui vede, invece l’adulto ha perso tale abilità e solo un grande sforzo da parte sua riesce ad avvicinarsi al bambino con complicità e sicurezza, ma se ci riesce questo può farlo nuovamente partecipe di tale meraviglioso mondo dove tutto può essere e vivere. Dai sei anni, dopo aver acquisito un certo grado di adattamento alla realtà e di tolleranza alle frustrazioni, i giochi si fanno più complessi, risentono della maggiore capacità a socializzare, sono regolamentati. Questi giochi servono al bambino per imparare ad accettare la sconfitta e non infierire sull'avversario in caso di vittoria. Le regole possono essere tradizionali, quelle che si tramandano da generazioni o frutto di accordi momentanei: l'importanza del loro rispetto è fondamentale per la riuscita di questi giochi e per la crescita del bambino. Sempre dopo i sei anni iniziano gli hobby. Questi vengono intrapresi per realizzare in modo consapevole uno scopo e vengono a fornire una via intermedia tra il piacere del gioco e l’impegno lavorativo. La capacità di giocare si trasforma così in capacità di lavorare, ma perché questo sia produttivo e non stressante è necessario che si sia sviluppata in modo adeguato la capacità di controllare o modificare gli impulsi, questi da aggressivi-distruttivi devono diventare costruttivi. Poi il bambino dovrà essere in grado di seguire piani prestabiliti concentrandosi sul risultato da raggiungere e superando così la ricerca del piacere immediato, le frustrazioni che si incontrano nel percorso intrapreso. Infine si deve superare il principio del puro piacere egocentrico per accettare la realtà complessa delle regole sociale e sentirsi gratificati dal loro rispetto. Questa è la fase che si sviluppa nel periodo della preadolescenza e della adolescenza ed è la base del successo scolastico e non solo di quello. In tutto il perido dell’infanzia e della pre-adolescenza è opportuno curare in modo particolare un giusto equilibrio tra attività manuale o fisica ed intellettuale, questo per avere uno sviluppo equilibrato della personalità psico-fisica e per impedire che si formino discriminazioni intellettuali tra il lavoro manuale, sempre necessario per tutti, rispetto a quello intellettuale. È facile a questo punto comprendere come si debba porre una particolare attenzione al modo in si sviluppa il gioco del bambino, senza porre accelerazioni inutili o freni esagerati. Evitare che il gioco diventi maniacale, ma che sia il più ricco possibile di diverse esperienze. Le esperienze possono anche essere “di subire un danno”, ovviamente si devono evitare situazioni di rischi fuori controllo, ma non si deve impedire l’esperienza del “farsi male”, perché anche questo fa parte di quello che si deve conoscere. Troppo spesso i bambini invece vivono quasi in “teche virtuali” protette, in questi spazi artificiosi a loro tutto deve essere permesso, i loro desideri devono essere sempre esauditi e loro hanno sempre ragione. Se avviene questo “isolamento”, il passaggio al gioco regolamentato, all’hobby ed alla capacità di soffrire per raggiungere un obbiettivo vengono a essere incomplete o a mancare totalmente. La capacità cognitiva è grandissima nell’infanzia e se non viene adeguatamente esercitata, con gli strumenti adatti all’età ovviamente, la mente non crescerà ricettiva e curiosa, ma pigra e disinteressata. L’immaginazione deve poter guidare il percorso del gioco, i rapporti tra il bambino e le altre persone, coetanei o adulti, deve poter sperimentare le regole nel gioco, la riprovazione se si sbaglia o il premio se il comportamento è corretto. Quando si parla di premio non deve necessariamente essere un “regalo”, ma anche solo una frase di elogio, come la punizione non necessariamente deve essere una “punizione”, ma può anche essere solo un sguardo parlante. La sensibilità del bambino è molto forte e quindi le azioni drastiche, sia nei premi che nelle punizioni, possono esserci, ma è meglio che siano legate a situazioni eccezionali; specialmente le “punizioni” devono essere improntate ad una necessità di interrompere una azione, non come contropartita giudiziaria. Se si limitano le possibilità di esperienza attraverso il gioco il risultato è una crescita squilibrata. Secondo gli psicologi infantili i fenomeni di bullismo, di disinibizione sessuale negli adolescenti, pur presentando compotamenti completamente diversi, possono essere entrambi legati anche a un mancato percorso di gioco nell’infanzia. I genitori troppo spesso sono distratti, impegnati nei problemi di lavoro o nella necessità di “apparire” nella società che li circonda. Usano i figli come elementi di confronto con le altre famiglie. Invece di preoccuparsi della loro crescita psicologica, si preoccupano di come sono vestiti, se hanno i giocattoli firmati, se partecipano ai corsi dove ci sono figli degli altri: sport, musica, danza, ecc. Non si preoccupano se i figli sono liberi di giocare con gli altri, se possono imbrattare dei fogli nella loro stanza, se possono trovare poi una madre o un padre che ascolta il racconto fantastico di quello che hanno fatto. Se non trovano una padre o una madre che gioca con loro e che li aiuta a interpretare giorno per giorno la loro realtà, certamente trovano difficoltà a imparare le regole basilari di convivenza che devono diventare un patrimonio interiore. Seguire i figli nel gioco non vuol dire interferire con la loro espressività, ma invece garantire ai bambini il tempo e lo spazio per dare libero sfogo a tutte le loro pulsioni interne, per fare raggiungere questo scopo si deve mantenere una certa complicità con loro senza svestirsi del ruolo di guide in modo da evitare che i giochi diventino pericolosi. Non possiamo dimenticare inoltre che nella psicoanalisi il gioco è il mezzo fondamentale per avvicinarsi al bambino. I fondamenti tradizionali della relazione analitica con il piccolo paziente sono il disegno, il gioco, il sogno, il dialogo, il rapporto con la famiglia. Il disegno, a esempio, può essere utilizzato in maniera più classica come insieme di elementi e concetti da decodificare con cui il bambino esprime la sua visione della vita e ciò che gli accade attorno. La stessa dinamica avviene anche per il gioco: attraverso espedienti come bambole, pupazzi, e altri semplici materiale ludici, lo psicoanalista cerca di ritrovare la trama affettiva sottostante, “blocchetti” affettivi che il bambino può avere, ma anche paure ed ansie, infatti giocare consente l'elaborazione delle angosce più profonde del bambino. La psicoanalisi è in continua evoluzione e ricerca mezzi nel gioco sempre più efficaci per entrare in contatto con la sfera del bambino. Negli ultimi anni ad esempio si sta avvalendo dello psicodramma analitico, una psicoterapia di gruppo che è una sorta di piccolo teatro dove il bambino come l’adulto può recitare e fingere una personaggio o rivivere in maniera meno dolorosa eventi drammatici che ha vissuto. Il gioco è importante anche all’interno della famiglia. I genitori possono comunicare e conoscere il proprio figlio attraverso il gioco ed instaurare, proprio tramite questa modalità, uno scambio emotivo e un dialogo. Se i genitori prestano attenzione al bambino nel momento del gioco potranno più facilmente capire i suoi problemi, anche remoti. Egli infatti, attraverso il gioco, come abbiamo già visto, non solo scopre la realtà circostante senza paure, ma anche elabora e cerca così di superare possibili traumi o angosce che vive quotidianamente. Atteggiamenti aggressivi e distruttivi troppo esagerati o la chiusura nei confronti di altri compagni sono evidenti sintomi di disagio. In questo articolo abbiamo fatto un percorso per capire l’importanza del gioco come elemento fondamentale per un sano sviluppo del bambino. Negli ultimi anni però sempre più i bambini non hanno tempo di “giocare”, sembra assurdo ma è così. Sono troppo oberati dagli impegni quotidiani che i genitori fissano, da sport che diventano già semi-agonistici nell’età pre-scolare e corsi di qualsiasi tipo perché devono diventare “più intelligenti” degli altri. Il tutto si aggiunge al normale impegno scolastico. La società si preoccupa perché i ragazzi a dodici anni sono già dei piccoli adulti ma non capisce che sono così perché non hanno avuto un’infanzia “da bambini” dove poter giocare in tutta libertà. Argomenti: #bambino , #fantasia , #gioco , #immaginazione , #infanzia , #psicologia Leggi tutti gli articoli di Natascia Zanon (n° articoli 21) |
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