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Perché giocare?


Di Giovanni Gelmini

Quando parliamo di gioco il pensiero vola all’infanzia. Quello è sicuramente il momento in cui il gioco pervade tutto il tempo disponibile; in quel momento della vita il gioco diventa tramite per l’esperienza e per la formazione. Per il bambino il gioco è la vita stessa e deve giocare liberamente, altrimenti la sua personalità ne uscirà monca.
Troppe volte noi adulti interveniamo pesantemente nella propensione al gioco dei nostri figli dimenticando la funzione “educativa” che questo ha e invece troppo spesso insistiamo per giochi con una forma “educativa” che non è nella visione del bambino, ma solo nella nostra.
Certo è che dobbiamo controllare il gioco, almeno per due motivi: per evitare che diventi pericoloso e perché attraverso il gioco possiamo capire i problemi della psiche, ma non dobbiamo fare violenza sulle tendenze al gioco; solo, se possibile, partecipare cercando di tornare bambini anche noi, se ci riuscissimo sarebbe una cosa molto positiva. Altrimenti è meglio che ci si limiti a “tenere d’occhio” i bambini senza intervenire se non vi sono gravi necessità.

Zullinger chiarisce che il bambino, a differenza dell’adulto, ha, nella sua azione, uno stretto legame con l’inconscio, mentre noi lo releghiamo solo allo spazio del sogno. Ecco che nel gioco-sogno le cose e gli accadimenti assumono dimensioni e ruoli diversi, ma è attraverso ciò che il bambino cresce e matura.

Il gioco non ha solo il ruolo di “esperienza”, ma è anche un modo in cui lo spirito regna sulla materialità, inventando situazioni senza che queste si sovrappongano alla realtà diventando “illusioni”. Ecco perché il gioco è importante anche per gli adulti: è un modo per recuperare lo stress accumulato nel lavoro, ma troppo spesso questo elemento viene trascurato ed il gioco è visto come “una perdita di tempo”. Solo se il gioco diventa una mania è da mettere sotto controllo. Un esempio tipico è il gioco d’azzardo o quello sessuale, se questo tipo di giochi diventano necessità sistematiche.

Importante sarebbe vivere il lavoro come un gioco. Questo succede per gli artisti e per gli scienziati, infatti, per il loro lavoro è necessario uno stretto rapporto realtà–inconscio. È questo rapporto che supporta la creatività necessaria per svolgere quel tipo di lavoro. Ma anche se non si arriva al lavoro “creativo” e ci si ferma al lavoro “ordinario”, se si riesce in ogni caso a vivere il rapporto con il lavoro non come una gara, che ci impone il raggiungimento di obbiettivi sempre più grandi e difficili: fare carriera, fare soldi, ma come piccole sfide personali da risolvere e cose nuove da scoprire, senza mettere sempre in gara la propria credibilità il proprio “io”, il lavoro diventa meno stressante e più umano.
Vi chiedo solo di ricordare quelle volte in cui, magari per caso, siete rimasti coinvolti in un gioco con i bambini: sicuramente sarete usciti da quella esperienza fortemente gratificati, felici e mentalmente riposati. Per l’adulto riuscire a tornare un poco bambino sarebbe una gran cosa, se l’adulto cercasse di riscoprire il gioco, libero da schemi sovrastrutturali, vivrebbe meglio la sua vita.

Ed ecco a voi alcuni articoli che come al solito non hanno la pretesa di affrontare tutte le infinite possibilità di un argomento così avvincente, ma solo di mettere alla vostra attenzione alcuni argomenti e penso che andando verso le vacanze natalizie, questi possano magari indurvi a provare ad affrontarle in modo diverso dal solito.

Argomenti:   #adolescenza ,        #adulti ,        #gioco ,        #giovani ,        #vecchi



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