ATTENZIONE  CARICAMENTO LENTO



A play is play

La drammatizzazione un modo per giocare dei bambini ma anche dei meno giovani

Di Adriana Libretti

L’uomo sarebbe “Homo ludens”, se questa sua tendenza non venisse repressa con il passar del tempo. La vita quotidiana obbliga spesso, infatti, a dimenticare questa capacità, che potrebbe invece costituire una fonte costante di arricchimento. Il gioco precede la cultura, ma nello stesso tempo la crea: attraverso di esso avviene una trasmissione e rielaborazione continua di atteggiamenti e di concetti.

Il gioco è la prima delle attività espressive, la più antica; è un modo di vedere la realtà, un veicolo per imparare ad orientarsi e comportarsi. Le società di tipo arcaico conservano, almeno in parte, il carattere ludico nelle feste popolari; presso i cosiddetti primitivi se ne ha un’evidente manifestazione nella rappresentazione dei miti, o nei riti. La società occidentale contemporanea, diversamente da quella cosiddetta ‘primitiva’, ha snaturato il gioco commercializzandolo, relegandolo in spazi avulsi dal lavoro, che costituirebbe la vera essenza dell’essere umano adulto; gioco e lavoro, invece, non dovrebbero mai essere contrapposti.

A nessuno giova trascurare la propria sfera creativa: chi lo fa rischia di diventare infelice. Apprendere attraverso il gioco significa saper maneggiare strumenti che torneranno sempre utili: imparare la levità, e anche la bizzarria, aiuta ad ampliare gli spazi vitali ed ad affrontare meglio il contraddittorio e incantevole mistero del mondo.

La mia personale esperienza, il fatto cioè che spesso mi trovo a proporre il gioco del teatro, mi permette di fare alcune brevi considerazioni. I miei allievi sono in prevalenza adolescenti, ma conduco laboratori anche con gruppi di adulti che però non intendono necessariamente intraprendere la professione di attori: questa non finalizzazione specifica concede a me e a loro ampi spazi di libertà. Il gioco del teatro che sperimento con queste persone, e che potrei anche chiamare “gioco drammatico”, conserva i caratteri d’inventività del gioco, pur utilizzando forme espressive proprie all’arte drammatica. Ma nel gioco drammatico il processo di gioco in sé è molto più importante del prodotto finale. Il momento di rappresentazione pubblica, l’inevitabile “saggio di fine anno”, ha come scopo principale la verifica del grado di comunicabilità e di espressività raggiunto.

Durante le ore di “Teatro attraverso il movimento”, come lo chiamo spesso io, facciamo più o meno questo: riscopriamo l’importanza del linguaggio del corpo, rivisitiamo azioni che siamo abituati a compiere quotidianamente in maniera meccanica. Proviamo a sperimentare movimenti insoliti, esploriamo tutte le nostre possibilità, riempiendo i gesti di significato e di emozione. Ci rendiamo consapevoli delle reazioni che provochiamo, del complesso rimando delle relazioni. Attraverso le identificazioni con gli elementi (aria, acqua, terra, fuoco) e le materie, entriamo in diretto contatto con quella natura di cui troppo spesso ci dimentichiamo, soprattutto nelle grandi metropoli. Questo gioco ci piace e ci appassiona, e anche se qualcuno leggendo alzerà perplesso il sopracciglio, giocare al teatro non è affatto una perdita di tempo.

“Perdere tempo” è una frase che dovrebbe, a mio parere, scomparire, poiché sottende gravi pregiudizi. Adulti e bambini con una schema corporeo povero hanno difficoltà molto maggiori di coloro che hanno imparato a conoscersi attraverso il movimento, il teatro, il gioco. Con gli allievi del laboratorio, certo, utilizzo anche qualche tecnica, ma quello che più m’interessa e che loro riprendano possesso di capacità che troppo spesso si atrofizzano: quella di fidarsi di sé stessi e degli altri ad esempio, di lasciarsi andare, o di elaborare poeticamente la realtà trasformandola, dopo averla osservata con attenzione sotto una specie di lente d’ingrandimento. “Il teatro non è specchio che riflette, ma lente che ingrandisce”, afferma Mejerhold.

Visto che nel gioco drammatico si assumono diversi ruoli, la possibilità di esplorare situazioni nuove aumenta. Ogni nostro incontro si conclude con una “Improvvisazione”; io suggerisco un tema, che ciascuno avrà modo di sviluppare come vuole, usando soprattutto il corpo ma, se lo desidera, anche la parola, purché sia davvero essenziale e necessaria. E qui si potrebbe facilmente agganciare l’argomento “giochi di ruolo”, giochi che oggi, in rete, vanno per la maggiore. Non essendo però un’esperta in materia, evito di farlo e anzi invito tutti a cimentarsi nel gioco dal vivo, in spazi che accolgono e riuniscono, dove si può condividere un’esperienza unica, guardandosi negli occhi. Il gioco drammatico rappresenta, infatti, anche se il paragone può sembrare un po’ azzardato, un tentativo di recupero dell’unitarietà del Coro Greco, in cui era indispensabile che si stabilisse una profonda relazione simpatetica tra i coreuti. Nel laboratorio di gioco drammatico non viene mai posto l’accento sugli attori singoli: protagonista è il gruppo che accoglie, elabora e potenzia il linguaggio del singolo.

L’anno scorso, dopo aver scelto come tema portante “Le stagioni”, ci siamo divertiti a fare diverse improvvisazioni, poi abbiamo scelto come colonna sonora per il saggio finale un brano dei “Radio Dervish”. Il nostro viaggio immaginativo si è soffermato in particolare sull’estate: ricordi, odori, suoni e colori legati allo scorrere delle stagioni sono stati rievocati e trasformati creativamente attraverso il linguaggio verbale, ma soprattutto attraverso quello del corpo.
Stare ogni anno a contatto con persone che si entusiasmano a giocare insieme il gioco del teatro mi arricchisce, mi rigenera, mi commuove.

Per concludere con le parole di Anna Maria Ortese: “Creare è una forma di maternità; educa, rende felici e adulti in senso buono. Non creare è morire e, prima, irrimediabilmente invecchiare.”


Per chi vuole approfondire:

Peter Brook, “Il teatro e il suo spazio”, Feltrinelli.
Johan Huizinga, “Homo ludens”, Il Saggiatore.
Friedrich Nietzsche, “La nascita della tragedia”, Laterza.
Anna Maria Ortese, “Corpo celeste”, Adelphi.


Adriana Libretti è attrice, doppiatrice e autrice. Insegna “Improvvisazione, gioco drammatico e analisi del movimento” presso la Civica Scuola di Danza Classica diretta da Carolina Galia, Comune di Cologno Monzese (Milano).

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