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Parliamo di AIDS

Non ci basta più S. Pellegrino Laziosi


Di Marina Minasola

Un ragazzo e una ragazza in aereoporto, corrono, rischiano di perdere l’aereo se fanno tardi. Veloci, entrano di corsa a comprare le ultime cose prima di partire: due confezioni di preservativi. “Usa il preservativo, nell'amore non rischiare. Un piccolo gesto di responsabilità evitare una malattia terribile” dice la voce di Ambra Angiolini mentre scorrono le ultime immagini dello spot nello schermo. Dall’88 ad oggi nelle campagne della TV nazionale contro l’Aids questa è la prima volta che si adopera il termine “preservativo”. Un termine legato a pregiudizi di carattere etico-religioso, uno stupido tabù che se smettesse davvero di essere tale potrebbe salvare molte vite.

Saliva, lacrime e urina di soggetti infetti sono uno degli elementi di trasmissione certe volte, ma si tratta di casi talmente rari da essere considerati assolutamente trascurabili dalla comunità scientifica. La trasmissione madre-figlio è possibile nel 20% dei casi ma ove vi sia un trattamento medico opportuno e si effettui il parto-cesareo è possibile ridurre il rischio all’1%. Sangue e suoi derivati sono una causa frequente specialmente per chi fa abituale uso di droghe introvenose o per chi riceve trasfusioni.

La trasmissione sessuale resta, in ogni caso, la causa numero uno di diffusione del virus dell’HIV.

Vero è che alcuni scienziati hanno contestato l’esistenza stessa di una qualsiasi connessione tra HIV ed AIDS ma si tratta di tesi a dir poco minoritarie e tacciate d’ignorare l’evidenza. La maggioranza degli studiosi sostiene senza mezzi termini che l’HIV porta all'AIDS e da questo, quindi, si giunge al decesso. Premettendo che il decorso è estremamente variabile da individuo a individuo e che in parte deriva da fattori genetici, possiamo dire che senza cure per passare dall’HIV all’AIDS trascorrono mediamente 9-10 anni, e dall’Aids alla morte solo 9,2 mesi. Solo nei Paesi Occidentali, come sempre dato che per la legge del darwinismo sociale solo i più ricchi hanno più speranze, la cosiddetta terapia antiretrovirale ad elevata attività (Highly Active Antiretroviral Therapy, HAART in sigla) ha consentito, grazie alla capacità di rigenerare linfociti, un innalzamento dei tempi di sopravvivenza. Oltre ad essere costosissime tuttavia, numerosi sono gli effetti collaterali di queste terapie retrovirali: l’assunzione di pillole numerose volte al giorno può anche creare resistenza al farmaco. Ancora non si conosce un vaccino. Non esiste neppure una cura che consenta l’eliminazione del virus dall’organismo ospitante. La medicina alternativa non ha mostrato alcun effetto positivo.

Lo Human Immunodeficiency Virus e l’Acquired Immune Deficiency Syndrome comportano per l’appunto un’immunodeficienza che rende l’organismo umano facilmente soggetto ad infezioni causate da batteri, virus, funghi, parassiti e altri organismi ma che a lungo andare comportano l’aumento di rischio di insorgenze tumorali tra cui in particolare il Sarcoma di Kaposi, tumori del cervello e linfomi.

Dalla scoperta della sindrome ad oggi si stimano 25 milioni di morti. Nel solo 2005 3,1 milioni di cui 570.000 bambini. Sempre nel 2005 4,3 e 6,6 milioni di persone sono state infettate: attualmente lo sono tra 36,7 e 45,3 milioni. Nell’Africa Sub Sahariana 25-28 milioni di persone sono infette, più del 60% della popolazione. Numeri da capogiro si possono elencare anche per America latina, Caraibi, medio-oriente e Nord Africa oltre che Europa dell’Est e Asia Centrale. E il trend complessivo pare volto all’aumento. In Italia nell’anno in corso la stima è di 200 morti, netta diminuzione se si considerano i quasi 4.600 del 1995, ma ancora troppi. Circa 4 mila nuovi sieropositivi all’anno si contano nel nostro Paese ed il 65% delle infezioni avviene per via sessuale.

L’Aids non è l’unica malattia la cui diffusione è dovuta alla noncuranza sessuale. Sebbene non se ne parli, è ancora diffusa e tende all’aumento anche la sifilide: malattia antica, la cui prima epidemia di cui si conservi memoria storica risale alla Napoli del 1495, dopo la calata del re francese Carlo VIII e nota per questo come “mal francese” in tutta Europa tranne che in Francia, dove è conosciuta come “mal napoletano”. Le modalità di trasmissione sono esattamente le stesse dell’HIV.

Quest’1 dicembre si è nuovamente celebrata in tutto il mondo la giornata mondiale per la lotta contro l'Aids. Fiocchi Rossi ovunque, iniziative in tutta Italia e a Roma concerti senza posa gratuiti dalle 16 a mezzanotte. Il giorno dopo, come sempre, come se nulla fosse.

Cosa ce ne facciamo di tutto questo? Bastano a sconfiggere l’Aids pochi dj che suonano, qualche spot pubblicitario o trasmissione TV? No.

Bisogna diffondere i test per la diagnosi precoce della sieropositività, bisogna far capire che essere malati non è un crimine. Bisogna che gli Stati occidentali non curino solo se stessi ma diffondano strumenti sanitari efficienti nei Paesi in via di sviluppo. Bisogna trovare cure e vaccini, e per far questo bisogna sostenere la ricerca. Ma soprattutto bisogna fare la cosa più semplice: fare prevenzione, senza aver paura di pronunciare la parola magica “preservativo”. Questo anticoncezionale semplicissimo può potenzialmente debellare l’epidemia più tragica della storia dell’Uomo e proprio per questo appare quanto mai ridicolo negare la sua utilità ed essergli avversi adducendo futili ragioni quali la “scomodità” o peggio la presunta mancata etica. È antietico non usarlo se si è malati. È necessaria una svolta di mentalità e parte integrante di questo percorso non può non essere la chiesa: ecco perché non ci basta più Pellegrino Laziosi, Santo protettore degli ammalati di AIDS.

Argomenti:   #aids ,        #chiesa ,        #chiesa cattolica ,        #contagio ,        #prevenzione ,        #sanità ,        #sesso ,        #trasmissione malatie



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