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La crisi in Libano rischia di far tornare la guerra civile


Di Giacomo Nigro

Per la quarta volta, in meno di due mesi, il parlamento di Beirut ha rinviato la votazione per il nuovo presidente della Repubblica, che dovrà comunque avvenire entro la mezzanotte di venerdì prossimo. A poche ore dalla scadenza del mandato del filo-siriano Emile Lahoud, maggioranza e opposizione restano divise su tutto. E il Paese si prepara al peggio. "Il Libano è sull'orlo dell'abisso": il segretario dell'Onu Ban Ki-Moon non ha usato mezzi termini per descrivere la situazione del paese. E in quell'abisso ci sono 2.400 soldati italiani.

Il livello d'allarme è decisamente passato sul rosso dopo l'assassinio, il 19 settembre, del deputato Antoine Ghanem. Tre mesi prima, un altro parlamentare, Walid Eido, era stato anche lui ucciso in un attentato. Allora buona parte dei suoi colleghi erano andati all'estero, in diversi Paesi. Anche Bassem Al-Shab, deputato di Beirut, ha passato tre mesi negli Stati Uniti. "Là - confida - mi dicevo che facevamo troppo, che eravamo caduti in un eccesso" di timore e di prudenza, "ma con l'uccisione di Antoine - che era tutt'altro che un deciso guerrafondaio - non vi è stato più spazio per i dubbi. È per questo che siamo qui!".

Tre giorni dopo aver ricevuto la lista dei possibili presidenti - che ha trasmesso loro il patriarca maronita Nasrallah Sfeir - il presidente del Parlamento, Nabih Berri, e il capo della Corrente del futuro, Saad Hariri, non erano ancora riusciti a individuare uno o due candidati relativamente condivisi da sottoporre alla scelta dei deputati.

Berri è incaricato dall'opposizione e Hariri dalla maggioranza per tentare di arrivare a un accordo. Il Parlamento deve riunirsi in seduta elettorale e decidere. Si tratta di una riunione cruciale, che potrebbe rimettere il Paese sulle rotaie o spingerlo verso l'ignoto.

Per contribuire al suo successo, in Libano affluiscono gli emissari stranieri. Meno di una settimana dopo la sua ultima visita a Beirut, Bernard Kouchner, ministro degli Esteri francese, vi è tornato domenica sera. Amr Moussa, segretario generale della Lega araba era atteso per la sera di lunedì scorso. Condoleezza Rice, segretario di Stato americano ha preso contatti telefonici con Berri, il primo ministro Fouad Siniora e il patriarca Sfeir.

Inoltre, il Libano è stato uno dei temi principali nel programma della visita a sorpresa del re di Giordania, Abdallah II, a Damasco, nel corso della quale ha tenuto dei colloqui con il presidente (siriano), Bashar Al Assad.
Il generale a riposo Michel Aoun, candidato dall'opposizione alla presidenza e leader del movimento cristiano dei "Liberi Patrioti", alleato di Hezbollah, ha condannato le pressioni statunitensi e minacciato di non riconoscere il nuovo capo dello stato. La tensione è altissima. Scontri tra attivisti di Hezbollah e di Mustaqbal, il principale partito di maggioranza guidato da Saad Hariri, sono esplosi nella cittadina di Bchamoun. Una scaramuccia con due feriti, che però ha fatto parlare con insistenza della ricostituzione di milizie armate, come ai tempi della guerra civile.

In questo clima infuocato è arrivato nelle ultime ore a Beirut il ministro degli esteri Massimo D'Alema, a meno di un mese dalla sua ultima missione in Libano, per svolgere, ha comunicato la Farnesina, "un ruolo politico forte".

Come si muoverà il contingente internazionale dell'Unifil (Onu), dislocato in Libano del sud e che include 2.400 soldati italiani, nel caso la crisi libanese sfociasse in scontri armati e violenze? Punterà le sue armi contro Hezbollah, come certo vorrebbero Washington e Israele? Il comandante della missione, il generale italiano, Claudio Graziano, si tiene a distanza e si limita a dichiarare che la situazione politica in Libano "è complessa, ma nel sud regna la calma". A distanza però non possono rimanere D'Alema e il governo italiano, sono costretti ad avere un ruolo deciso in una situazione scivolosa ai massimi termini.

Argomenti:   #dalema ,        #libano ,        #medio oriente ,        #onu



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