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La chiave a stella è una raccolta di racconti di Primo Levi
In essa si narrano le imprese di un operaio specializzato, Faussone, che le racconta a un amico scrittore. L'operaio lavora in proprio e viene chiamato in tutte le parti del mondo, dove fa esperienze e vive avventure, sempre con i suoi attrezzi da montatore. In quelle pagine Primo Levi celebra il lavoro vero, quello non di carta, con una frase significativa: "Se si escludono istanti prodigiosi [...] che il destino ci può donare, amare il proprio lavoro costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra".
Se cercate in internet e leggete questo sulla famosa enciclopedia libera ricordatevi è che semplicemente un nulla: “Una chiave a stella” è ben altro.
Al di là del fatto che questo libro vince il premio Strega nel 1979 e che Primo Levi lo definì: “Questa è un po' la mia opera prima: quando ho scritto gli altri libri, avevo un'altra professione, facevo il chimico. Ma da un anno e mezzo scrivo soltanto. 'La chiave a stella 'è il mio primo lavoro professionale”, l’ho trovato un piccolo capolavoro.
Sarà perché sono anche io un chimico, e ho anche io partecipato a montaggio di impianti, sarà perché parla di un periodo e di parti del mondo che per esperienza diretta, o indiretta attraverso i resoconti di colleghi, ho ben conosciuto, ma a leggere quei racconti mi sembrava di esserci anche io lì con Faussone; erano cose note per me, ma c’era una novità: Tino Faussone, che da montatore specializzato nella costruzione di carpenterie giganti fa rivivere l’umanità attraverso il suo lavoro tecnico.
Nei racconto infatti, tra flangie, bulloni e chiavi a stella, appare una umanità, quell’umanità che allora esisteva e che forse oggi dietro un video ed una tastiera si è persa.
Il vocabolario di Fassone è ridotto, da persona abituata a non arzigogolare, ma è proprio questo che rende “vera” la narrazione, proprio quella di chi è abituato a fare le cose con la testa e con le mani, non con le parole.
Ovviamente mi sono ritrovato a mio agio nel racconto “Clausura” la costruzione di un impianto di distillazione, ma quanta tenerezza in “La ragazza ardita”, quando questo uomo “meccanico” incontra una donna e la tenerezza vera, non romantica, esce proprio da quelle descrizioni scarne, quasi infantili del momento “più bello, quello che uno si dice ‘questo non me lo dimentico mai più...’ bene non è stato quando siamo andati a letto, ma prima. È stato alla mensa della fabbrica del commendatore... e ho tastato la panca alla mia destra, e c’era la sua mano, e io l’ho toccata con la mia, e la sua non se n’è andata e si lasciava carezzare come un gatto.”
La riproposta di questo libro fatta dalla rivista Focus è una grande opportunità per rileggere, o leggere per chi non lo aveva già fatto, un qualcosa che forse gli scrittori di oggi non sono più capaci di fare.