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Il Bush tardivo


Di Giacomo Nigro

Riassumendo il senso del suo primo viaggio ufficiale in Israele e nei Territori Palestinesi, George, W. Bush si è detto certo che israeliani e palestinesi firmeranno un accordo di pace entro la fine del suo mandato, nel gennaio 2009. Se ciò avvenisse, ma soprattutto se avesse la conseguenza di una reale pacifica convivenza dei due popoli, ognuno nel suo proprio Stato indipendente, sarebbe di una portata storica tale da cancellare o comunque attenuare di molto il peso negativo che l'Amministrazione Bush ha rappresentato finora sulla bilancia della pacifica convivenza mondiale.

Un accordo di pace tra israeliani e palestinesi che sancisse la fine dell'occupazione dei territori palestinesi iniziata nel 1967 da Israele sarebbe veramente l'inizio di una nuova epoca storica per il mondo.

Ma vediamo se questo può veramente verificarsi. Intanto Bush ha dichiarato di non aspettarsi un ritiro israeliano da tutti i territori occupati, ma un accordo che comprenda alcuni aggiustamenti. Egli ha affermato che il territorio è una questione sulla quale devono decidere le due parti e che ogni accordo di pace richiederà aggiustamenti concordati lungo le linee dell'armistizio del 1949 che tengano conto delle realtà esistenti e della continuità territoriale per i palestinesi.

Entrambe le parti saranno costrette a fare concessioni dolorose per poter rispettare gli impegni presi con la road map. Da parte israeliana, ciò vuol dire la fine dell'espansione degli insediamenti e la rimozione degli avamposti illegali. Per la parte palestinese il rispetto della road map include combattere il terrorismo e smantellare le infrastrutture dei terroristi.

Bush, che è il secondo Presidente in carica a recarsi nei Territori, dopo la visita di Bill Clinton nel 1998, sarà costretto a ritornarvi almeno una volta per favorire il raggiungimento di un accordo di pace sperando che i paesi arabi si avvicinino a Israele e che la paventata minaccia nucleare iraniana sia scongiurata.
Sappiamo infatti che Bush è molto critico verso Teheran e che gli analisti di Washington non hanno dubbi, hanno riempito pagine e pagine di rapporti: "Teheran finanzia i terroristi, danneggia la pace in Libano, minaccia i Paesi vicini, invia armi ai Taliban, sfida le Nazioni Unite e destabilizza l'intera regione rifiutando l'apertura sul suo programma nucleare. Azioni che minacciano la sicurezza delle nazioni ovunque e dimostrano che l'Iran è il maggior patrocinatore del terrorismo". Questo è quanto affermano.

Bush, distinguendo fra governo e popolo, si è rivolto agli iraniani. Attacca il primo e cerca di ingraziarsi il secondo: "Il vostro governo è una minaccia ma voi, popolo iraniano, non siete così. Vi auguro più democrazia, più libertà, più apertura alla comunità internazionale. Voi iraniani non avete migliori amici che gli Stati Uniti d'America".
Secondo il nostro Ministro degli Esteri D'Alema "Sono toni inutilmente allarmanti... Non ho particolare simpatia per il regime iraniano - ha continuato - che non ha tenuto in nessun conto l'appello lanciato dall'Onu per la moratoria delle esecuzioni, cosa che mi spinge ad essere critico: però dire che l'Iran è una minaccia per tutto il mondo mi sembra una esasperazione".

D'Alema ha comunque elogiato l'apertura al dibattito politico degli Stati Uniti, che definisce "nazione indispensabile". Egli giudica, dati i precedenti, la promessa di pace di Bush in Medio Oriente molto impegnativa. Chiunque abbia dimestichezza con questo conflitto, anche chi è ottimista per natura, non può evitare di essere scettico: la pace più difficile della storia contemporanea in poco più di un anno pare veramente troppo, il lungo negoziato avviato da Rabin, Peres e Arafat all'inizio degli anni 90 aveva già definito che la pace si raggiungerà trovando una risposta alle questioni vere del conflitto: le frontiere, la spartizione di Gerusalemme, i profughi palestinesi e la sicurezza d'Israele.

Come già detto, ognuno di questi nodi può essere sciolto attraverso reciproche concessioni e Bush non è meno debole di Olmert e Abu Mazen: tutti i candidati repubblicani alle presidenziali sono contro la nascita di uno Stato palestinese. Ma l'ultimo anno alla Casa Bianca per la pace del più difficile dei conflitti vale la redenzione di una presidenza discussa. Non resta che sperare.

Argomenti:   #bush ,        #israele ,        #palestina ,        #politica ,        #politica estera ,        #usa



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