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Il gecko e i capelli di Sansone Come la ricerca scientifica prende spunto dallo studio degli animali Di Anna Crestana
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Accade sovente che, quando la scienza scopre un segreto della natura e riesce a replicarlo, si apre una moltitudine di possibili applicazioni tecnologiche, più o meno avanzate, per l’oggetto di quella scoperta.
È senza dubbio questo il caso che riguarda un innocuo rettile della famiglia dei Gecconidi, la cui abilità più affascinante oggetto di interesse scientifico è quella di essere in grado di sostenersi e camminare su qualsiasi tipo di superficie, anche a testa in giù; abilità che gli consente, ad esempio, di appendersi con una sola zampa su una parete di vetro perfettamente pulita. Se ciò non dovesse sembrare sorprendente a sufficienza basti aggiungere che, secondo le valutazioni teoriche di diversi gruppi di ricercatori, il gecko possiede una forza attrattiva ben mille volte maggiore di quella che gli è necessaria per sostenere il proprio peso: possiede, quindi, quella che si direbbe “una forza da Sansone”! Questa associazione risulta particolarmente appropriata dato che proprio nei “capelli” sta il segreto, recentemente svelato, della capacità del gecko di camminare ed arrampicarsi su qualsiasi tipo di superficie: verticale od orizzontale, liscia o ruvida, con caratteristiche lipofile o idrofile, a pressione atmosferica o sottovuoto. Il tutto anche ad una velocità di 1 m/s, di tutto rispetto per un animale il cui rappresentante dalle dimensioni maggiori non supera i 62 cm di lunghezza (quello dalle dimensioni minori, invece, misura solo 18 mm ed è il rettile più piccolo del mondo). Secondo i recenti studi di K. Autumn, B. Full, A. Geim e di altri riceratori, infatti, le centinaia di migliaia di setae a base cheratinica da cui è ricoperta ogni zampa, e le centinaia di spatulae con cui termina ogni seta, costituiscono le pendici flessibili con cui l’animale aderisce alla superficie su cui si trova.
Capelli sulle zampe Più in dettaglio, ogni zampa di questo tipo di rettile possiede una struttura lamellare terminante in setae a base cheratinica, con una densità stimata di 5000 su mm2. Esse hanno una lunghezza compresa tra i 30 ed i 130 mm ed un diametro di 200-500 nm. Con la microscopia elettronica è stato possibile indagare più approfonditamente la morfologia di tali setae e scoprire che esse presentano una struttura ciliata. Inoltre, i ricercatori hanno constatato che ognuna di queste centinaia di ciglia di circa 0.2-0.5 mm di lunghezza ha una forma a spatola (da cui il nome spatulae, che le rende particolarmente adatte alla loro funzione di intima adesione a qualsiasi tipo di superficie). Data questa enorme disponibilità di spatulae, perciò di forza, su ogni zampa, come mai il gecko non si incolla ad ogni passo? A tal proposito, gli studiosi hanno verificato che il modo di camminare dell’animale è tale per cui si forma un angolo di circa 30° tra la superficie e le spatulae, che gli permette di non adoperare molta forza per staccarsi dalla parete e proseguire nel movimento.
Questo meccanismo è efficace su ogni tipo di superficie, eccezion fatta per quelle che non permettono l’instaurarsi di efficaci forze di Van der Waals, come ad esempio il Teflon. Che il segreto stia proprio nella formazione di milioni di forze di interazione intermolecolari deboli è provato dagli studi sopraccitati, che hanno escluso altri meccanismi come la secrezione di fluidi adesivi (il gecko non possiede ghiandole atte a questo scopo) e la suzione, come nel caso delle salamandre (il meccanismo in esame funziona anche sotto vuoto).
Proseguendo con lo studio sulla speciale struttura delle zampe del gecko, il gruppo di A. Geim del Manchester Centre for Mesoscience and Nanotechnology presso l’omonima Università, in collaborazione con l’Institute for Microelectronics Technology di Chernogolovka in Russia, è riuscito a replicare il meccanismo di adesione delle spatulae del gecko. Su un film a base di poli (dianidride-ossidianilina piromellitica) dello spessore di 5 mm posto su uno strato di silicio, i ricercatori hanno ricavato delle “ciglia” lunghe circa 2 mm con un diametro di circa 500 nm, utilizzando la litografia a raggio elettronico su un film di alluminio e trasferendo quindi il pattern al polimero, con un successivo dry etching in atmosfera di plasma di ossigeno.
Ad oggi, questa sorta di velcro ad un solo componente può essere usato solo 5-6 volte di seguito, diversamente da quanto accade con le setae del gecko che, tra le altre proprietà, sono autopulenti. Ciò sembra essere dovuto al fatto che le ciglia sintetiche tendono ad attaccarsi le une alle altre, come si può vedere confrontando con la foto di Figura, rendendosi perciò non più disponibili all’adesione alla superficie di interesse.
Sembra inoltre esserci una correlazione lineare tra la superficie di contatto e la forza di adesione sviluppata dalle setae sintetiche: tale correlazione permette di stimare che la superficie totale media dei palmi delle mani (maggiore di 200 cm2) coperta con queste setae, sia sufficiente per sostenere il peso di una persona di corporatura media.
Nel frattempo, prima che questa tecnologia venga resa economicamente accessibile su larga scala, i fans di Manolo e di Spiderman dovranno accontentarsi di assistere alle evoluzioni dei loro beniamini, senza poterli facilmente emulare. Articolo gentilmente concessoci da “AIM Magazine”, rivista della AIM (Associazione Italiana di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole) e recentemente riedito in portoghese sulla Rivista della ABPOL (Associazione Brasiliana dei Polimeri). Argomenti: #geco , #nuovi materiali , #ricerca , #scienza Leggi tutti gli articoli di Anna Crestana (n° articoli 1) |
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