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W il Vino. W la chiarezza delle etichette. W lo zucchero nel vino!

Può sembrare una provocazione, ma lo zucchero nel vino “da tavola” non fa nessun danno se non agli interessi di qualcuno che ci annuncia imminenti sciagure che non ci saranno

Di Cricio

Finalmente l’UE ha deciso per un vino sano fregandosene delle barricate elevate dai viticultori di Italia e Spagna: lo zucchero nel vino è di nuovo ammesso anche da noi. Questa decisione è stata presa dal Parlamento Europeo, conto il parere della commissione, il 12 dicembre del 2007.

A sentire quello che dicono le associazioni, che rappresentano le lobby dello “status quo”, questo vuol dire la distruzione delle qualità del vino: balle! Al contrario questo vuol dire avere a disposizione un metodo poco costoso per avere quel tasso alcolico minimo per garantire la sanità del prodotto vino, senza alterarne le qualità organolettiche.

Ma di cosa stiamo parlando di vini pregiati? Di “Brunello di Montalcino” da tenere in cassaforte? No, signori, si sta parlando di vini comunissimi, quelli di basso costo, quelli che ognuno di noi tende ad usare tutti i giorni: il cosiddetto vino da tavola. Un prodotto che si vorrebbe sano, gustoso e di prezzo accessibile.

Ma vediamo un poco di storia. Lo zucchero nel vino è sempre stato usato in Francia e in Germania, in Italia è stato vietato durante la prima guerra mondiale perché mancava lo zucchero per l’alimentazione. Alla fine questo ha portato un bel vantaggio a due categorie di vini, quelli indecenti che venivano usati per fare il “mosto concentrato” e quelli da “taglio”. Vediamo cosa vogliono dire queste due tecniche usate legalmente per alzare il tasso alcolico del prodotto vino.

Il “taglio” si effettua a vinificazione completa e vuol dire aggiungere un vino ad alta gradazione, ma economico, al vino che si ha in cantina. Questi vini in genere sono del sud e una volta erano economici perché non avevano un mercato proprio. Oggi questo non è più così perché, migliorando i sistemi di vinificazione, sono diventati prodotti ottimi e ricercati. Chi non ha oggi apprezzato un “Nero d’Avola” o un rosso di “Castel del Monte” o un primitivo di Manduria? Ecco questi erano i vini da taglio usati. Oltretutto fare i tagli di un vino non è facile, far sposare vini con caratteristiche diverse è sicuramente un’arte complessa.

Molto più semplice ed economica è quella del “mosto concentrato”: si prende un mosto scadente, si toglie l’acqua in modo da aumentare la concentrazione zuccherina, lo si rettifica per eliminare il più possibile i difetti che si sono concentrati assieme allo zucchero di vino e lo si aggiunge, per la quantità che serve, nel mosto prima che inizi a fermentare. Il risultato è evidente: il processo ha un suo costo e oltre allo zucchero (sempre zucchero aggiunto è) si aggiungono così gli altri componenti, magari non buoni, quali i polifenoli, i tannini, gli aromi, insomma quelli che fanno un vino buono o un vino cattivo.

Se aggiungiamo zucchero di barbabietola (saccarosio) invece aggiungiamo solo alcol e il prodotto non si modifica per gli altri contenuti diversi dal vino che vogliamo rendere sufficientemente alcolico per garantirne la conservabilità.

Ma ancora una cosa c’è da dire: la possibilità di aggiungere zucchero di barbabietola ha dei limiti precisi e deve essere indicata in etichetta, cioè si sa cosa si compra. Le analisi sono in grado di sapere quanto saccarosio è stato aggiunto perché nella fermentazione si producono anche piccole quantità di alcoli superiori (propilico, butilico, ecc) ma il saccarosio produce un rapporto tra isomeri di alcoli superiori leggermente diverso, ma ben identificabile per via gas-cromatografica. Ciò non avviene per l’aggiunta di mosti concentrati, che non sono poi identificabili a posteriori.

Quindi l’aggiunta di saccarosio è identificabile, è limitata in quantità, deve essere indicata in etichetta, non modifica le qualità organolettiche del vino ed è decisamente la più economica. L’aggiunta di mosto concentrato non è quantificabile, non viene indicata in etichetta e peggiora in genere le qualità organolettiche del vino, è più costosa, ma fa comodo a chi produce mosti non altrimenti vendibili e non pone limiti alle quantità aggiunte dai produttori.

Non ho trovato riferimenti storici certi, ma mio padre, un enologo che ha iniziato a lavorare nei primi decenni del ‘900, mi diceva che lo zucchero nel vino in quantità modeste è sempre stato ammesso anche in Italia, veniva prodotto il cosiddetto “vinello”. Durante la prima Guerra mondiale, contando la scarsità di zucchero per l’alimentazione, lo zucchero per produrre vino venne vietato. Questo avvantaggiò appunto quei viticultori che prima erano al limite del mercato e finita la guerra questi non vollero più mollare l’osso prezioso caduto dal cielo e oggi sono ancora quelli che si agitano; non sono certo i produttori di vini di alta qualità a essere interessati alla questione, anche se secondo i produttori francesi un uso oculato dello zucchero permette di mantenere elevata la qualità del vino anche nelle annate pessime.

Concludendo: come al solito le associazioni dei produttori ci vogliono far bere quello che vogliono loro, senza che noi si sappia cosa ci propinano e ci fanno passare per “rovina dell’Italia” il fatto di dover estirpare, magari con l’aiuto della UE, delle vigne di pessima qualità.
Forse molta della agitazione delle associazioni è fatta più che altro per alzare il conto alla UE e chiedere elevate sovvenzioni alla viticultura italiana danneggiata dalla decisione del Parlamento Europeo: insomma la qualità del vino non centra per niente con la possibilità di usare lo zucchero per aumentare la gradazione, anzi...

Argomenti:   #agricoltura ,        #alimentari ,        #cucina ,        #frodi ,        #ricetta ,        #salute ,        #vino



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