REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno IV n° 3 MARZO 2008 IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Una attenta analisi dei problemi dello sport oggi
Quando lo sport distrugge l’uomo: da Pantani a Ronaldo
Non c’è solo la chimica nel dooping, ma anche l’esagerazione in tecniche di allenamento a danno dell’equilibrio del fisico
Di Silvano Filippini


Da sempre l’uomo ha gareggiato per prevalere, affidandosi anche a mezzi illeciti. Esattamente come si verifica nella vita quotidiana.
Sin dalle olimpiadi antiche gli atleti studiavano, in base ad esperienze empiriche a volte controproducenti, diete che favorissero le prestazioni sportive.
Ma è con l’avvento delle Olimpiadi moderne che sono iniziati i problemi, nonostante il famoso motto di De Coubertin indicasse nella semplice partecipazione alle gare lo scopo fondante dello sport.
Allora si gareggiava esclusivamente per la gloria, eppure qualcuno tentò di truffare pur di raggiungere il successo e, con esso, la gloria imperitura da tramandare ai posteri.
Con lo sport professionistico il “morbo” è dilagato a macchia d’olio, coinvolgendo tutti gli sport. Pure quelli amatoriali che il “dio denaro” non è ancora riuscito a contaminare.
E’ necessario fare una netta distinzione tra metodi leciti e illeciti, pur se entrambi contribuiscono a distruggere quella macchina perfetta che si chiama “UOMO”.

Metodi leciti, ma non senza conseguenze
Sono tutti quelli consentiti dalle norme e che hanno lo scopo di potenziare l’atleta in quelle caratteristiche specifiche relative allo sport preso in considerazione.
Vanno dall’allenamento generale a quello specifico; dal miglioramento del gesto tecnico allo studio del gesto ergonomico attraverso i mezzi a disposizione; dall’uso dei pesi e delle macchine adatte a potenziare i singoli gruppi muscolari; dall’utilizzo di integratori alimentari e di flebo energetiche.
Del resto la recente condanna del dottor Agricola a seguito dei processi contro la Juventus, ha ampiamente evidenziato che l’uso sistematico di medicinali è comunque vietato.
Anche se tali metodologie prevedono un presupposto inderogabile che è la fatica (che è il senso dello sport), va detto che l’esasperazione dell’allenamento e delle pratiche farmacologiche consentite, porta necessariamente ad effetti collaterali che, a lungo termine, tendono a distruggere la macchina. Non è necessario giungere alla sindrome del superallenamento (che comporta gravi conseguenze sino all’astenia totale e al rischio di decesso) per riscontrare gravi carenze nei parametri fisiologici. Carenze che costringono ad un periodo di riposo forzato al fine di recuperare.

Se si considerano gli sport di potenza muscolare, l’esasperazione della cosi detta “muscolazione” crea gravi conseguenze a livello cardiaco in quanto il cuore si sviluppa in modo sbilanciato, favorendo l’incremento dello spessore miocardio a danno dell’aumento della cavità interna. Anche la “carrozzeria” può subire danni dato che l’eccessivo sviluppo muscolare tende a sollecitare troppo le inserzioni ossee.
E’ esattamente ciò che si è verificato più volte nel calciatore Ronaldo nel quale l’eccessiva potenza del quadricipite femorale non è adeguatamente supportata dal legamento rotuleo. Sarebbe come tentare di montare un motore da formula uno sulla carrozzeria di un’utilitaria. E’ innegabile che la vettura avrebbe enormi incrementi di velocità e di sprint da fermo, ma con l’andar del tempo la lamiera si deformerebbe sino alla rottura per eccesso di sollecitazioni. Del resto tutti gli sport dove l’apparato locomotore e il sistema cardio-circolatorio-respiratorio vengono particolarmente sollecitati, negli ultimi trent’anni hanno aumentato progressivamente le ore di allenamento generale e specifico e hanno incrementato i carichi di lavoro, grazie anche agli sviluppi della tecnologia elettronica di supporto.
Lo stesso calcio italiano che, inizialmente ne era rimasto esente, ha dovuto impinguare notevolmente le quantità di lavoro sul campo e in palestra, in modo da poter sopportare adeguatamente l’incremento di velocità del gioco. Così i rischi di incidenti sono decuplicati: vuoi per l’aumento di velocità e di massa degli atleti che favoriscono scontri di grande impatto; vuoi per l’eccessivo incremento di massa muscolare che rende le fibre più soggette a rischi di stiramento o strappo e sottopone legamenti e tendini a sollecitazioni superiori alle loro caratteristiche fisiologiche.

Proprio per via di queste pratiche illecite lo sport, nato per migliorare la macchina umana anche attraverso il potenziamento del sistema immunitario (quindi meno malattie), ha finito per capovolgere il concetto in quanto la ricerca esasperata del risultato ha fatto superare i limiti fisiologici, causando effetti collaterali deleteri che hanno diminuito la salute.

Metodi illeciti, sempre con conseguenze
L’escalation delle prestazioni viaggia, purtroppo, di pari passo con il doping che contamina lo sport ad ogni livello. Ci manca poco che anche in oratorio qualcuno pensi di impasticcarsi per fare bella figura; a questo punto dovremmo dichiararci completamente impotenti contro la “peste del ventunesimo secolo”.

Se i si dopano per ottenere più alti compensi, non si riesce a comprendere la necessità di rovinarsi la salute per vincere gare dove, al massimo, si porta a casa un piccolo premio in natura. Tanto più che nel mondo professionistico gli staff medici assistono da vicino ogni atleta e possono dosare perfettamente le sostanze illecite, oltre a compensare gli effetti nocivi del doping. I dilettanti, invece, il più delle volte lo fanno in modo empirico senza conoscere i rischi a cui vanno incontro e i casi di grave scompenso o di decesso aumentano in modo esponenziale.

Fatto sta che la morte di Pantani, indotta dalla depressione causata dall’esclusione dalle gare, è soltanto la punta dell’iceberg sommerso che coinvolge tutti gli sport di alto livello. Se l’Italia, da qualche hanno si è data una legge antidoping per cui doparsi è considerato un reato con riscontri penali, non altrettanto hanno fatto altri stati tra cui gli USA. Ma come al solito, tra il dire (legge) e il fare (controlli) c’è di mezzo l’impossibilità di controllare sistematicamente tutti gli atleti professionisti. Se poi ci si mettono pure medici incoscienti (lo spagnolo Fuentes su tutti) che mirano ad arricchirsi sulla pelle degli atleti, capite bene che il problema è di difficile soluzione. E’ vero che i controlli sono aumentati in modo progressivo, specialmente quelli a sorpresa, cioè lontani dal periodo agonistico; tuttavia l’omertà regna sovrana in questo ambiente barbaro e cinico dove lo scopo principale è quello di far soldi. Per cui, per raggiungere il successo, viene accettato con leggerezza anche il doping. Tanto più che il pubblico si diverte e il carrozzone va avanti alla grande. Chi se ne frega dei morti e dei feriti che lascia sul campo!

Un esempio dell’omertà che regna soprattutto nel mondo del ciclismo?
Tutti sapevano che Pantani faceva uso di Eritropoietina (e come lui, moltissimi altri); specialmente dopo il grave incidente a cui fece seguito il ricovero urgente durante il quale furono evidenziati parametri pericolosi di ematocrito. Eppure l’hanno lasciato correre ancora sino al momento dello storico stop durante il suo ultimo Giro d’Italia. Stop determinato più dalla gelosia dei colleghi che dalla necessità di fermare un atleta malato. Eppure è scientificamente dimostrato che i ciclisti, in quanto dediti ad uno sport di resistenza, dovrebbero essere potenzialmente anemici, almeno nel periodo di intensa attività. Altro che ematocrito vicino ai parametri del limite massimo consentito! Se i valori risultano quasi sempre medio-alti, ciò è dovuto all’assunzione di EPO e di coktail di sostenne varie, ancor più pericolosi che, però, hanno il vantaggio di eludere più facilmente i controlli antidoping.
L’ultima vittima del ciclismo italiano è Danilo Di Luca che si è sottoposto ad una flebo sospetta e, già fermato per sei mesi, ora rischia una sospensione sino a due anni. Lui si difende asserendo che certi parametri sballati sono dovuti ai ripetuti sforzi intensi. Si tratta della solita favoletta a cui più nessuno crede.

Vorrei proprio che qualcuno mi spiegasse cosa cambierebbe se tutti i ciclisti facessero a meno di sostanze illecite. L’unico effetto sarebbe la riduzione della velocità media delle gare. Un effetto che lo spettatore non riuscirebbe neppure a percepire. Anche perché la bellezza del ciclismo non è certamente la velocità, ma sono le lotte all’interno del gruppo per accaparrarsi le prime posizioni, le fughe e le contro fughe e le sfide all’ultima goccia di sudore su per quelle salite impossibili. Anche perché se tutti si dopano o nessuno lo fa il risultato resta immutato: vince comunque chi è stato maggiormente dotato da madre natura. Ma senza sostanze vietate tutti guadagnerebbero in salute!

Se andiamo ad esaminare il mondo del calcio italiano, per molti anni la commissione antidoping non aveva mai ritenuto di controllare le sostanze anabolizzanti, ritenendo che nel calcio non se ne facesse uso. Persino i non addetti ai lavori sanno che gli anabolizzanti vengono usati anche dagli atleti degli sport di resistenza in quanto favoriscono, tra gli altri effetti, un più rapido recupero dalla fatica. Figuriamoci se i calciatori non ne hanno approfittato: oltre ad aumentare le masse muscolari degli arti inferiori, hanno anche la necessità di ripresentarsi in campo in piena efficienza durante gli impegni sempre più ravvicinati! Questo è il chiaro sintomo di uno sport malato dove controllati e controllori, a volte, risultano collusi.
A proposito di anabolizzanti, non è da escludere che Ronaldo ne abbia fatto uso. Del resto gli indizi ci sono tutti: eccessiva fragilità di tendini, legamenti e muscoli oltre agli strani malori subiti in due occasioni durante le manifestazioni internazionali.
Del resto una persona sensata che conoscesse i gravi effetti collaterali generati dall’uso del doping, se ne guarderebbe bene dall’ ingerire queste schifezze; a costo di perdere vantaggiosi contratti! Tanto più che i farmaci sono costruiti per i malati e anche loro ne devono usare, comunque, il minimo indispensabile.

Finalmente anche gli Stati Uniti hanno iniziato ad intraprendere la guerra al doping dopo anni di lassismo, durante i quali si sono avute prestazioni eclatanti, decessi sospetti e abbandoni misteriosi. L’ultima retata nel Baseball professionistico ha scoperto ben 75 atleti dopati. Anzi, uno di questi rischia il carcere per spergiuro, in quanto aveva sempre dichiarato di non aver mai fatto uso di sostanze proibite. Esattamente come la Jones, regina della velocità, che (dopo anni di negazioni) ha dovuto capitolare, ammettendo di essersi dopata per ottenere tutte quelle medaglie. Medaglie che sono state prontamente ritirate. Anche per noi ci vorrebbe il carcere come deterrente ma, considerando che l’Italia ha grossi problemi con la giustizia ordinaria, i processi andrebbero alle calende greche, superando sistematicamente i limiti della prescrizione.

Il problema del doping non si risolve soltanto con la repressione che, tra l’altro, non può essere garantita a livello dilettantistico.
E’ indispensabile un drastico cambio di mentalità. Soprattutto in chi dirige o chi allena a livello giovanile. E’ attraverso la costruzione di una base sana che si può ottenere una elite carica di valori etici che mirano al rispetto del proprio corpo e di quello dell’avversario, garantendo così la piena lealtà. Ma un meccanismo perverso che assegna la costruzione degli atleti di domani esclusivamente alle società, anziché alla Scuola italiana, mina alla base la possibilità di garantire sempre un comportamento irreprensibile degli allenatori. E questo, nel paese dei furbetti di quartiere, non fornisce garanzie che lo sport non venga contaminato da interessi privati.

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