I motivi sono molteplici. Alcuni risalgono alla preistoria del calcio, altri sono frutto di cattiva educazione, altri ancora sono legati alla scarsa sportività diffusa nell’ambiente. E da ultimo le regole: poco chiare e facilmente aggirabili.
La storia.
La nascita del gioco del calcio moderno viene fatta risalire al 1863 in Inghilterra, ma in realtà si tratta del momento in cui venne stesa una regolamentazione univoca di uno sport già diffuso da diversi anni in tutto il Regno Unito e attuato con regolamenti approssimativi o legati alle tradizioni locali.
Prima di quell’anno nel calcio si poteva vedere di tutto: calci, spintoni, placcaggi e persino l’uso delle mani per tentare di realizzare la rete. A tal proposito, la nascita del Rugby venne fatta risalire proprio in occasione di una partita di calcio durante la quale un giocatore, fuori dai gangheri per via di un regolamento del tutto aleatorio, si impossessò della sfera e corse fino alla porta per realizzare il goal, nonostante i tentativi di placcaggio degli avversari.
Soltanto più avanti (1890) nel gioco venne inserita la figura dell’arbitro dato che inizialmente le partite venivano giocate esclusivamente tra studenti dei college che non avevano bisogno del direttore di gara, trattandosi di gentlemen che non avrebbero potuto falsare la verità.
La diffusione ai ceti sociali più bassi che ignoravano i principi di equità e imparzialità propri degli strudenti, ha costretto gli organizzatori ad inserire la figura di un giudice che facesse rispettare le regole del gioco.
Educazione sportiva.
Fin che la maggior parte delle discipline sportive vennero praticate da gentlemen, la lealtà non venne mai messa in discussione, essendo la peculiarità specifica dello sport. La diffusione alle altre nazioni e ai ceti sociali più bassi contaminò lo spirito che stava alla base dello sport.
Se, inizialmente. il direttore di gara venne considerato una figura di riferimento, con il passare degli anni giocatori e tifosi sempre più sfegatati lo trasformarono nel capro espiatorio, soprattutto quando la squadra era costretta a soccombere. Anziché ricercare le colpe della sconfitta tra giocatori e allenatore, il tifoso ha finito per esaltare sino all’idolatria i propri beniamini e a denigrare l’opera della terna arbitrale, rea di far perdere la propria squadra.
Così in tutti questi anni, dallo sport inteso come attività ludica adatta a migliorare il benessere psico-fisico e attuata da contendenti che si impegnavano al massimo, ma nel pieno rispetto dell’avversario, si è passati allo sport equiparabile ad un autentica battaglia tra due fazioni dove tutto è permesso pur di raggiungere la vittoria; anche i mezzi illeciti, le furbizie illegali, la violenza, la provocazione e via discorrendo. Il businnes ha completato l’opera, minando alla base tutti i principi positivi che avevano generato lo sport.
La mancanza di obiettività tra i protagonisti, compreso il pubblico, ha fatto il resto, creando una diffusa mentalità nella quale l’avversario di turno deve essere “annientato”.
Persino i giornalisti, che dovrebbero essere per definizione non schierati, sono diventati più sfegatati degli stessi tifosi. E’ sufficiente sintonizzarsi il lunedì sera sul Processo di Biscardi per rendersene conto: tutti urlano contemporaneamente perché vogliono imporre il proprio pensiero a discapito degli altri e cercano di giustificare ogni malefatta dei giocatori per cui parteggiano. Per non parlare della dietrologia che regna sovrana e alimenta l’astio tra partecipanti e telespettatori.
Fatto sta che nell’ambiente si respira un’aria di antisportività diffusa.
Già dai primi passi, ai bambini viene inculcata (fatte rare eccezioni) una forma mentis contraria ai principi della lealtà. Due esempi su tutti: ai portieri viene subito insegnato ad uscire con il ginocchio avanti che si infila regolarmente tra le costole dell’avversario che tenta di colpire di testa. Agli attaccanti si insegna ad abbassare la gamba in caso di intervento in scivolata del difensore, in modo da condizionare l’arbitro, che spesso cade nel tranello. Così, anziché punire il portatore di palla per simulazione, fischierà punizione a suo favore (o rigore). Insomma, esattamente il contrario di quanto i dettami sportivi richiederebbero.
Sono ormai passati alla preistoria del calcio i gesti che vedevano l’attaccante “saltare” il difensore o il portiere per evitare il fallo e la possibilità di procurare infortuni.
Data l’attuale situazione italiana, non mi ha indignato più di tanto la trovata di quei tredicenni che, non contenti di aver surclassato gli avversari (8-1), al termine della partita, anziché procedere al famoso terzo tempo e salutare gli avversari, si sono schierati a centro campo ed hanno abbassato i pantaloncini per mostrare loro il fondo schiena.
Spesso cercavo di trattare l’argomento lealtà durante le lezioni di educazione fisica e i miei studenti provenienti dal mondo del calcio erano concordi sul fatto che gli atteggiamenti sleali, secondo il modo di pensare più diffuso, denotavano furbizia e, quindi, non dovevano venire puniti. Per non parlare di coloro ormai votati ad un credo ancora più esasperato: qualunque mezzo è valido pur di raggiungere l’obiettivo.
Se a tutto ciò si aggiunge che nell’ambiente calcistico giovanile e dilettantesco l’aspetto culturale risulta di basso profilo, appare sin troppo evidente la difficoltà di modificare una forma mentale impregnata di eccessivo antagonismo e di antisportività. In pratica l’aggressività si autoalimenta in continuazione all’interno dell’ambiente.
Per riuscire a dare una svolta sarebbe indispensabile togliere il calcio giovanile alle società e restituirlo alla scuola. Esattamente come alle origini del gioco stesso!
A tal proposito vorrei suggerire una modifica educativa: prevedere i campionati per i più giovani senza la presenza di un arbitro, ma soltanto una persona che presenzi e prenda decisioni in caso di contestazioni. Esattamente come avviene da molti anni per i campionati giovanili di tre contro tre di basket. In tal caso ognuno verrebbe maggiormente responsabilizzato a non commettere fallo volontariamente e a non tentare di ingannare l’arbitro. Infatti, siccome l’avversario sente il contatto e chiama il fallo, diventerebbe del tutto inutile fare il furbo!
Il regolamento. Come già evidenziato in precedenza il regolamento del calcio ha sempre avuto il torto di inseguire l’evoluzione del gioco anziché precederla e non ha quasi mai imposto regole chiare e inderogabili. Anche oggi è in ritardo di almeno vent’anni rispetto alle altre discipline sportive.
Innanzitutto l’organizzazione mondiale, in mano a soggetti anziani ed eccessivamente conservatori, ha sempre rifiutato di adottare la tecnologia che in altri sport è entrata da tempo a far parte integrante dell’aspetto tecnico.
Poi non ha mai cercato di limitare l’esasperazione tattica attraverso regole che imponessero una prevalenza tecnica e spettacolare del gioco. Un semplice esempio potrebbe chiarire le idee: perché tutti gli sport di squadra hanno adottato già da molti anni il cronometro a scalare e il tempo effettivo di gioco che tutti possono vedere chiaramente?
Semplice!
Per evitare comportamenti antisportivi atti a perdere tempo e per consentire a tutte le squadre del campionato di giocare lo stesso numero di minuti nell’arco dell’anno.
Invece nel Calcio le squadre che hanno adottato la filosofia di perdere tempo sistematicamente per motivi tattici o fisico atletici, alla fine della stagione avranno giocato effettivamente una buona porzione di tempo in meno valutabile intorno alle tre o quattro partite. Per non parlare dei vantaggi che si ottengono immediatamente: specialmente quando ci si trova a condurre e si fa di tutto per far uscire la palla o simulare infortuni in modo da togliere agli avversari, illegalmente, la possibilità di recuperare nel punteggio. Con il tempo effettivo tutti sarebbero messi alla pari e nessuno cercherebbe più di perdere tempo perché non avrebbe senso.
Per non citare le provocazioni sistematiche messe in atto per esasperare l’avversario e costringerlo a reazioni inconsulte che possano generare cartellino rosso ed ottenere, in tal modo, un vantaggio nel numero di giocatori.
Soltanto regole chiare e non aggirabili possono consentire di mantenere la disciplina in campo e contribuire a costruire una mentalità sportiva nel vero senso della parola. Ad esempio nel basket per molti anni risultava conveniente acchiappare per la maglia un giocatore che se ne andava solo in contropiede. Si riprendeva il gioco con una semplice rimessa laterale. E’ vero che si tratta di un fallo banale e senza pericoli di infortunio. Tuttavia era lesivo della sportività che deve sempre contraddistinguere un atleta. Fu sufficiente introdurre il fallo antisportivo che prevede, oltre ai due tiri liberi, anche il possesso di palla per la stessa squadra. Ora nessuno ha convenienza a fermare illegalmente il giocatore. Specialmente negli ultimi minuti, quando si cerca di bloccare il cronometro nel tentativo di colmare lo svantaggio.
Arbitri. Per quanto concerne gli arbitri, la FIFA si intestardisce a mantenerne uno soltanto, quando appare sin troppo evidente che il vasto spazio non può essere interamente coperto dal punto di vista visivo da un’unica persona. Oltretutto la prospettiva è univoca, mentre in un gioco così dinamico sono indispensabili più punti prospettici, sia per non rischiare di venire coperti dagli stessi giocatori, sia per poter valutare meglio il gesto tecnico e il comportamento falloso dei protagonisti.
E’ vero che ci sono due guardialinee che dovrebbero collaborare, ma le dimensioni del campo e la velocità degli spostamenti li costringono a concentrarsi più sul fuori gioco (senza per altro riuscire a valutarlo con certezza) che sui numerosi falli che avvengono in area, quasi sempre impuniti.
Oltretutto la terna arbitrale è costretta a viaggiare a livello del terreno, cioè nella posizione più sfavorevole, dove è molto difficile valutare. Specialmente il fuori gioco, che sarebbe assai più facile individuare attraverso una panoramica ben più ampia, possibilmente “a volo d’uccello” come avviene per le telecamere poste in alto.
Da almeno vent’anni vado suggerendo nei miei articoli l’adozione di arbitri fissi,quelli estromessi per limiti d’età, dietro le porte di gioco per individuare meglio i comportamenti dei giocatori tra cui le odiose tirate di maglie che sono divenute il passatempo più diffuso dei calciatori. Ora pare che il suggerimento possa venire adottato per via della pressione di Platini.
Per ciò che concerne la moviola istantanea dovremo aspettare “la morte” degli attuali dirigenti internazionali, nella speranza che coloro che li sostituiranno siano di vedute più ampie e in grado di svecchiare il gioco.
Del resto tutti gli altri sport di squadra hanno dato il buon esempio già da molti anni:
-ogni quadriennio olimpico cambiano alcune regole per migliorare il gioco e limitare il comportamento antisportivo (tra breve il rugby cambierà la maggior parte delle norme per renderlo più spettacolare e accessibile al pubblico);
-hanno introdotto supporti tecnologici atti a favorire una più equa decisione arbitrale;
-hanno aumentato il numero di arbitri e addetti al supporto tecnologico;
-hanno copiato dallo sport professionistico statunitense i play off per aumentare la spettacolarità del campionato e hanno inventato i play out, caratteristica peculiare dell’Italia, dato che negli USA non avrebbero senso, non essendo prevista la retrocessione.
Ad esempio nel basket, pur usufruendo di una superficie nettamente inferiore, gli arbitri sono tre ai quali si devono aggiungere un segnapunti, un cronometrista e un addetto ai 24”: ben sei persone per un campo lungo 28 metri, cioè esattamente un quarto della lunghezza del prato calcistico. Di recente in serie A è stato aggiunto anche l’addetto alla moviola la cui visione può essere richiesta dagli allenatori (una sola volta ciascuno per partita) o dagli arbitri ogni volta che hanno un dubbio.
Nel Volley, dove il campo è ancora più piccolo, sono previsti due arbitri (uno in alto e uno in basso sul lato opposto della rete), quattro guardialinee e un segnapunti, per un totale di sette persone.
Ma anche altri sport di origine statunitense prevedono molti più direttori di gara rispetto al calcio, che risulta la cenerentola in questo campo, nonostante i miliardi che muove. Per contro è in vetta alle classifiche in fatto di antisportività e aggressività illegale.
Del resto si tratta esclusivamente di una questione di mentalità e se nasci in un ambiente (sportivo o no) pervaso di illegalità non potrai che acquisire un atteggiamento illegale! Per cambiare il modo di pensare ormai diffuso ad ogni livello è indispensabile adottare norme più rigide e pene più severe che, assieme ai mezzi tecnici di controllo, funzionino da deterrente. Contemporaneamente si deve mettere in atto una strategia atta a modificare la forma mentis dei calciatori, agendo sulle nuove generazioni, sui loro istruttori e sui rispettivi genitori. Del resto chi si occupa di qualsiasi disciplina sportiva, prima di essere in grado di praticarla, dovrebbe essere disciplinato.
Per spiegare meglio il mondo del calcio sarebbe sufficiente citare la frase proferita da Oscar Wilde. La citazione è particolarmente sintomatica in quanto mette in evidenza l’antisportività del calcio rispetto al fair play del rugby: “Il calcio è uno sport da gentlemen giocato da bestie mentre il rugby è uno sport da bestie giocato da gentlemen.”
Meditata gente, meditate!
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