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 Anno IV n° 5 MAGGIO 2008    -   TERZA PAGINA



DESERTO OCCIDENTALE

Di Adriana Libretti



Mi trovo nell’area desertica egiziana prospiciente al Mediterraneo, nella zona del Matruh, che fa parte del grande deserto libico o deserto del Sahara. Il mare ha rare gradazioni di azzurro, turchese, pervinca, blu notte. Lambisce coste sabbiose, tanto candide da abbagliare. Sull’orizzonte piatto, attraversato da accenni di dune e da pietroni che potrebbero sembrare di marmo di Carrara se non si disgregassero sotto le dita, si stagliano qua e là alcune palme, sottili e lunghe, i rami agitati da un vento freddo.

Di notte, spesso, si alza la nebbia e di mattina può capitare di non distinguere la linea che separa il cielo dalla sabbia e dal mare: succede quando i granelli turbinano e l’aria si fa opaca, appena pigmentata dalle note dell’ocra. Il basilico piantato nelle oasi odora di paprika e mi sento una beduina felice mentre i miei piedi affondano, i muscoli delle gambe indolenziti nel raggiungere la striscia bianca a terra, tondeggiante di spuma. Mi accorgo di osservare, prima, quello che mi sta sotto, tutto quello che premo, per poi andare ad esplorare con gli occhi la vita acquatica, fino a dove può spingersi il mio sguardo. Neanche l’ombra di un pesce, si direbbe quasi; all’improvviso invece, colonie di pesciolini trasparenti nella pozza scavata dalle onde. Tutto è perfetto, dal sorgere del sole fino al tramonto che avvampa.

Dopo la mareggiata, tra gli ossi di seppia, un tappeto multicolore di tappi, cartoni di tetrapak, bicchieri, bottiglie, e persino qualche affusolata lampada al neon. Catrame ovunque tra i ciottoli, i frammenti di conchiglie e i filamenti delle alghe. Catrame che si appiccica alla pelle come i peggiori ricordi.

Mi sposto con la macchina, a est. Da El Alamein (sede di battaglia durante la seconda guerra mondiale, oggi sede di un sacrario italiano dedicato alla memoria dei numerosissimi soldati morti), fino ad Alessandria, è una distesa continua di case in costruzione, chilometri e chilometri di cemento, dalla strada costiera fino al mare. Seconde case degli egiziani ricchi.
Negli spazi ancora liberi, tra sterpi, alberi di fico e di olivo piantati dai nomadi, coltivazioni intensive di plastica, i neri ciuffi accarezzati dal vento.



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