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Una domanda strana, ma non oziosa

Styling o design?

Vi è una grande confusione dei termini, e non è solo un problema linguistico, ma spesso è una determinate differenza di contenuti. Una occasione anche per capire meglio come scegliere gli oggetti e perché si pagano poco o tanto per averli

Di Cricio

Quasi in continuazione troviamo un uso errato di questi termini: i mass media fanno una gran confusione fra di loro. Questo dimostra quanto spesso giornalisti impreparati sfornino notizie “al ciclostile” senza conoscere, senza capire, preoccupandosi solo di colpire. Ma sappiamo che questo è uno dei difetti congegnali della stampa, notevolmente acuitosi negli ultimi decenni.

L’idea di scrivere su questo argomento mi è venuta leggendo un Comunicato Stampa di un ente che ben dovrebbe conoscere queste differenze: "La Triennale di Milano”; ecco il pezzo incriminato:

Secondo Gaetano Pesce il design deve comunicare opinioni personali dell'autore, posizioni politiche, religiose, esistenziali e contenuti legati alla storia dell'arte. La riflessione sulla forma dell’armadio nasce dalla volontà di Gaetano Pesce di ripensare una tipologia che non si è più evoluta in termini di contenuti, di tecniche e di materiali. Lungo le pareti del Pink Pavillion saranno inoltre presentati i disegni preparatori e i modelli di questi progetti

Mi sembra evidente che qui la confusione sia totale, “comunicare” è una precisa funzione dello styling e quando uno cerca di comunicare attraverso un manufatto, che non usi sistemi di radio-video-fonia o cose similari, è uno stilista non un designer.

Cerchiamo di capirne di più, non tanto per una esigenza di correttezza linguistica, ma per capire meglio come scegliere gli oggetti e perché si pagano poco o tanto per averli.

Credo che l’esempio più semplice sia dato dall’ambito della moda, dove i termini sono vecchi e non masturbati da improvvidi giornalisti.
L’idea di un “modello” la produce lo “stilista” (non designer), che con figurini, opere pittoriche, crea appunto quell’idea che, se corrisponderà alle aspettative di immagine degli acquirenti, darà il via ad una “moda”.
Si tratta appunto di comunicazione, attraverso l’abito. Chi lo indosserrà vuol comunicare qualcosa: status, gusto, attrattività o serietà o libertà, colori preferiti, in definitiva vuol comunicare una immagine di sé, più o meno vera. Sicuramente alla base della “moda” c’è l’immagine che si vuol comunicare e non gli elementi ingegneristici che sono necessari a produrre quell’abito. Sì, perché per produrre quell’idea contenuta nel figurino si deve passare attraverso una fase da “ingegnere”, che magari una volta era solo realizzata da una sartina, ma oggi, per poter alimentare la produzione industriale, richiede una competenza appunto ingegneristica.

Si devono scegliere le stoffe e, nell’alta moda queste vengono studiate ad hoc per quel modello, si devono scegliere gli accessori: bottoni, rifiniture, ed altro. Questo sta “a monte” della preparazione dell’abito. Quando questo è fatto, non è però ancora venuto il momento di produrre, prima si deve passare attraverso la creazione del “modello” cioè si deve disegnare come la stoffa deve essere tagliata, dove vanno le cuciture e dove vanno gli accessori, questo non è più compito dello stilista, ma del modellista: il modellista è il designer, cioè quello che stende il progetto affinché il confezionatore, ovvero la produzione, possa realizzare finalmente l’idea dello stilista.

Ecco chiari i ruoli: lo stilista produce lo styling, “l’idea comunicativa”, l’immagine e il designer è l’ingegnere che sviluppa il design cioè il progetto per realizzare l’idea. Non è che i due ruoli siano scollegati perché chi sviluppa l’idea deve sapere quali possono essere i problemi che sorgono nella fase successiva e molto spesso lo stilista lavora in stretta relazione con chi ha le conoscenze specifiche sui modi per realizzare l’idea, questo sia per ridurre i costi di progettazione sia per evitare i possibili fallimenti, ma anche per avere la massima aderenza tra l’idea ispiratrice ed il prodotto finale.

Questo legame intenso è sicuramente alla base dei successi di mercato.
Uscendo dal esempio “moda” e passando ai tantissimi prodotti tecnologici, questo legame diventa ancora più intenso e un risultato duraturo di un prodotto è certamente legato all’idea emotiva e immaginifica dello stilista, ma, per poter rimanere sul mercato nel tempo, deve avere solidissime basi ingegneristiche.
L’idea è quella che in genere si identifica con la “firma”, ma in effetti il prodotto è frutto del design e questo non è detto che sia lo stilista a realizzarlo, anzi molto spesso non lo è. Da qui forse nasce la confusione: sicuramente certi stilisti hanno saputo interagire intelligentemente con la loro equipe di sviluppatori del design e questo è da ascriversi alla loro intelligenza, però è corretto dire che il risultato è un risultato del design perché per il successo non effimero non basta certo lo styling.

Adesso è giusto approfondire i “motivi del successo”.
La teoria di sviluppo dei prodotti individua molteplici fattori che influiscono sul successo o sull’insuccesso, ma il loro peso sul futuro del prodotto dipende anche dal tipo di prodotto. Vi sono infatti prodotti futili o di immagine (ad esempio un fiore da mettere tra i capelli), prodotti funzionali di breve durata o di lunga durata (es. un rotolo di carta igienica o una vasca da bagno), prodotti che rispondono ad una funzionalità (es. una lavatrice) o a un diletto (es. un vidogioco), prodotti preziosi (un brillante) o di basso costo (es. uno straccio per pavimenti).

I fattori che giocano sulla validità di un prodotto sono minori, ma non pochi, ne vediamo alcuni tra i principali, oltre al prezzo del prodotto ovviamente.

Lo Stile abbiamo già detto cosa è: l’immagine che il prodotto trasmette. È fondamentale per tutti qui prodotti che devono comunicare o piacere: oggetti di moda, d’arredamento, oggetti che indicano una appartenenza ad una classe.

La durabilità: è il tempo in cui il prodotto mantiene le sue funzionalità. Questo parametro è importante solo per i prodotti costosi e non “effimeri”. Vi è un altro parametro simile, che però misura un’altra cosa (anche qui i termini sono spesso usati a sproposito), ed è l’obsolescenza. L’obsolescenza non centra con la vetustà di un prodotto, ma con la sua diminuita economicità in quanto superato da nuove tecnologie. Un frigorifero di classe C nuovo di pacca è obsoleto mentre uno di classe A+ con qualche anno sulle spalle. e magari con la carrozzeria rovinata, può non esserlo per nulla.

La mantenibilità: questo è un paramento troppo spesso non ben valutato oggi, corrisponde alla facilità di individuare e riparare i guasti. Il massimo della mantenibilità si può pensare sia in prodotto che disponga di auto-diagnosi e che la manutenzione possa essere fatta direttamente da chi lo usa. Tanto per fare un esempio è l’opposto delle auto attuali con centralina elettronica e di gran parte degli elettrodomestici in commercio. Nella mantenibilità è inculso anche il costo delle manutenzioni. Simile alla mantenibilità è la possibilità di installare il prodotto da solo o invece alla necessità dover ricorrere a personale specializzato. Questi parametri non incidono solo sul costo delle operazioni, ma anche sui tempi necessari.

Un altro parametro ancora della stessa area è l’affidabilità. Il suo significato penso sia evidente: se un prodotto risponde sempre alle attese è affidabile, se invece a volte va, a volte no è inaffidabile.

La facilità d’uso: anche questo è un parametro importante e ben comprensibile per gli apparecchi, ma, visto che abbiamo fatto all’inizio il richiamo alla moda, pensiamolo anche per un vestito: se mi è facile indossarlo, mi veste bene, lo accoppio bene con altri accessori, quell’abito sarà frequentemente usato, altrimenti è meno indossabile, fino a diventare non indossabile.

Ci sono altri parametri che influenzano la “bontà” di un prodotto, ma fermiamoci qui. Tranne il primo, tutti gli altri parametri sono legati alla attività di chi fa il design: l’ingegnere, non il creativo. Solo l’attenzione a questi problemi rende un prodotto “di qualità” e soddisfacente. Anche se oggi, per molti motivi questi vengono valutati meno che nel passato.

Anche qui vogliamo un esempio? Confrontiamo l’Ikea con altri tipi di mobili. L’Ikea punta su alcuni elementi: stile e colori molto gradevoli, facilità d’uso, offerta ben distribuita e prezzi bassissimi. Non cura molto invece il design, infatti il montaggio è spesso difficoltoso e la mantenibilità è ridottissima. Questo è probabilmente lo scotto da pagare per il basso prezzo. Cito l’ikea perché è sicuramente una casa che ha colpito nel segno e molti sono quelli a cui va bene questa impostazione, ma nell’arredamento troviamo molte case che operano con simili mix, altre invece che non dispongono di una rete commerciale così capillare e sembrano essere “di qualità”, ma in effetti non sono molto diverse e hanno prezzi più elevati. Poi ancora un salto nei prezzi per poter avere prodotti di vero design. Però tutte hanno uno styling ineccepibile.

Come scegliere allora. Sicuramente come detto prima si deve per prima cosa capire quale è lo scopo per cui si acquista: se il prodotto è costoso e deve durare, non bisogna lasciarsi abbindolare solo dal “bello”, ma si deve accertare della presenza di una adeguata rete di assistenza, verificare i costi di manutenzione previsti e la presenza di manuali ben dettagliati. E' necessario ricordarsi che molto spesso il basso costo è legato a prodotti che funzionano male, perché poco costosi nel progetto, o a prodotti di cui si prevede l’uscita dal mercato perché obsoleti. Non dimentichiamo inoltre che chi vende cerca sempre di portare il prezzo al valore massimo per avere il massimo ricavo, quindi è facile che prezzi bassi corrispondano ad una qualità complessiva bassa. Solo per conquistare nuovi spazi di mercato il prezzo viene abbassato, ma mai oltre il necessario.
La capacità di scegliere giusto sta nell’individuare se il minor prezzo sia legato, oltre ai fatti promozionali, a minor cura di parametri che anche per noi sono poco rilevanti.

Argomenti:   #design ,        #styling



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