Sabbioneta: la costruzione di un sogno
Sabbioneta segna con la sua presenza la pianura lombarda tra Mantova e Parma appena a nord del Po e, per la sua struttura urbana, per il circuito delle mura, per gli edifici monumentali, viene solitamente ricordata tra i più compiuti esempi di città ideale del Rinascimento. E per la storia della sua edificazione può in effetti essere considerata una città costruita per realizzare il sogno di un principe, una città che trasforma in marmo e mattoni gli ideali di una intera epoca.
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Scultore veneziano XVI sec. Vespasiano Gonzaga
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Vespasiano Gonzaga, il fondatore, era davvero un uomo singolare, dalla solida formazione umanistica, dal gusto chiaramente ispirato dall’antichità romana, dagli interessi – non solo politici – per il mondo spagnolo . Sabbioneta viene costruita per corrispondere vieppiù, magari con ripensamenti e rifacimenti, allo spirito del suo signore e per questo, alla morte del principe (1591), rimase bloccata nel suo sviluppo. Senza eredi maschi (l’unico figlio Luigi era morto nel 1580), Vespasiano non riuscì a dare un seguito alla dinastia e la città fu abbandonata al destino oscuro di fortezza della Lombardia spagnola.
La figlia di pietra
Uno dei biografi contemporanei di Vespasiano racconta che il principe, tornando a Sabbioneta nell’agosto 1578 da un decennale soggiorno spagnolo e prima ancora di incontrare la figlia Isabella, «montò a cavallo, circuì prima di fuori e, poi, visitò di dentro tutta la città [...] la Primogenita, tutta creatura sua» . Questo stretto legame tra Vespasiano e la sua città è testimoniato dai documenti, ma anche dagli stessi edifici, poiché ogni minimo particolare fu scelto con cura per dare un senso alle costruzioni e ai ricchi apparati decorativi.
Così nella cinta muraria e nell’impianto viario generale, Vespasiano vuole applicate le più innovative tecniche difensive, progettando una pianta esagonale stellata, coadiuvato da importanti ingegneri militari come Girolamo Cattaneo. Le strade si incrociano ad angolo retto come nei castra romani ma, per disorientare eventuali assalitori, dalle due porte le vie non conducono direttamente alle piazze principali, ma seguono un andamento “a baionetta” già suggerito dall’Alberti.
Identica puntualità di scelte la troviamo nell’ordinamento degli edifici monumentali, nei quali il principe cerca una chiara separazione di funzioni.
Il ruolo pubblico e politico per eccellenza è giocato dal palazzo Ducale, il più antico tra gli edifici voluti da Vespasiano. Si tratta di un’elegante costruzione a due piani, con la facciata definita da un portico. All’interno le decorazioni mostrano precisi richiami alle virtù politiche del principe, ai modelli ideali del potere, alla dinastia e ai rapporti di alleanza con gli Asburgo. Per completare questa ricca serie simbolica, Vespasiano commissionò a Leone Leoni il proprio ritratto bronzeo che fu collocato davanti all’ingresso del palazzo e poi, per precisa volontà testamentaria, nel 1592 fu spostato sulla tomba del duca, nella chiesa dell’Incoronata.
Questa chiesa, costruita tra il 1586 e il 1588 a pianta ottagonale sul modello dell’Incoronata di Lodi, si trova alle spalle del palazzo Ducale e ne costituiva praticamente la basilica palatina. Qui Vespasiano volle essere sepolto, commissionando a Giovanni Battista della Porta il proprio monumento funebre che espone in una estrema sintesi simbolica le virtù del principe.
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La loggia ducale del Taetro all'antica |
La serie di edifici destinati a svolgere funzioni pubbliche si chiude con il Teatro all’Antica, realizzato su progetto di Vincenzo Scamozzi tra il 1588 e il 1590. Per noi l’importanza di questa costruzione risiede nel fatto che si tratta del primo edificio teatrale autonomo costruito dopo l’antichità, ma per Vespasiano doveva svolgere una precisa funzione nell’ambito del cerimoniale di corte. La loggia interna, alla sommità della cavea, era destinata alle apparizioni del principe e della corte, e ha la parete di fondo affrescata con “ritratti” di imperatori romani. Al centro, proprio alle spalle del posto che doveva occupare il duca, si vede l’effigie di Tito Flavio Vespasiano che porge un serto di alloro per incoronare simbolicamente il principe suo omonimo. Il peristilio con le statue in stucco delle dodici divinità olimpiche completa la cornice entro cui si mostrava il principe, con un costante richiamo simbolico al mondo antico.
Se questi edifici svolgevano funzioni fondamentalmente pubbliche, legate all’apparire del principe, possiamo individuare un nucleo più “privato” cui appartengono costruzioni destinate non al negotium politico, ma all’otium intellettuale. Il palazzo del Giardino fu innalzato a partire dal ritorno di Vespasiano dalla Spagna (1578) e venne completato solo verso il 1588. Ai semplici prospetti esterni fa riscontro la ricchezza degli apparati interni, ai quali sappiamo che verso il 1582 iniziò a lavorare Bernardino Campi. Le varie sale ripropongono i temi ricorrenti a Sabbioneta delle virtù del principe, dei modelli ideali del potere (gli imperatori romani), dell’armonia e delle arti, della fondazione di città, della dinastia. Ma troviamo anche storie di Paride, le Grazie e Venere, tematiche d’amore forse ispirate dalla terza moglie di Vespasiano, Margherita Gonzaga di Guastalla, sposata proprio nel 1582.
Il Corridor Grande, o Galleria degli Antichi, che quasi ad angolo retto si collega al palazzo del Giardino, era invece destinato all’esposizione delle collezioni d’arte e di naturalia. Si tratta di una lunga galleria isolata, sopraelevata da un portico, dal paramento esterno in mattoni definito da lesene e archi ciechi. All’interno il vasto spazio – oggi desolatamente vuoto – ospitava la maggior parte della consistente collezione di antichità del duca, ma anche alcuni reperti naturali, assimilando le tipologie collezionistiche delle raccolte antiquarie italiane e delle Wunderkammern nordiche.
"Vespasianus, Sablonetae marchio et conditor"
Vespasiano si presentava a chi arrivava da Milano e Cremona con queste parole, poste sull’epigrafe che orna Porta Vittoria (1560); si presentava come marchese e fondatore di Sabbioneta, poiché fu lui a trasformare il borgo in una città murata con nobili edifici, capitale di un ducato di investitura imperiale. L’orgoglio quindi era giustificato e poteva, doveva essere celebrata la fondazione, sia con i panegirici, sia con le decorazioni dei palazzi, dove spesso è metaforicamente sottolineata da personaggi dell’antichità.
Così in un’orazione di Mario Nizoli viene sottolineato il paragone ideale tra Vespasiano Gonzaga e Romolo ; mentre più tardi in palazzo Giardino Bernardino Campi lavorerà ad un ciclo dedicato alle vicende di Enea, pio e virtuoso sovrano, predestinato fondatore di Roma. In alcune scene si ricorda proprio l’apprendistato civile di Enea presso Didone, con gli episodi di costruzione di Cartagine che richiamano proletticamente l’edificazione di Sabbioneta.
Il culto degli antenati
Il mito del principe fondatore è uno dei motivi ricorrenti cari al duca. Ma quando si deve giustificare il potere si richiamano ideali precursori, gli imperatori romani, e soprattutto ci si rivolge ai reali predecessori, ovvero alla dinastia dei Gonzaga. Agli antenati Vespasiano tributa numerosi omaggi in ogni fase della storia costruttiva di Sabbioneta, almeno fin dalla Galleria degli Antenati, collocata nella zona centrale del palazzo Ducale, quella più antica, completata già nel 1568.
Il piccolo ambiente era destinato a contenere la biblioteca privata del principe e quindi aveva un ruolo privilegiato all’interno del complesso ducale. La decorazione è ricca, ma ciò che colpisce subito il visitatore è la serie di ritratti in stucco degli antenati di Vespasiano, accompagnati dalle rispettive consorti, a partire da Luigi, primo capitano del popolo di Mantova, fino allo stesso Vespasiano e al piccolo figlio Luigi, nato sul finire del 1565. Quale marchese di Sabbioneta, e dopo la nascita dell’erede, Vespasiano vuole questa serie dinastica come segno di legittimazione per immagini del potere, sfruttando significativamente il riferimento classico alle imagines maiorum, i ritratti degli avi che le antiche famiglie patrizie romane avevano il diritto di esporre nella propria dimora.
Un altro continuo richiamo alla dinastia lo incontriamo nella massiva presenza nelle decorazioni sabbionetane dell’araldica gonzaghesca. In particolare è importante sottolinearne il ruolo nella Sala dei Miti di palazzo Giardino, con la serie di imprese gonzaghesche affrescate alla base della volta, così come nella Galleria degli Antichi. In quest’ultimo ambiente alle imprese si affiancano gli stemmi dei Gonzaga e di Vespasiano, sì, ma anche delle mogli degli antenati, quasi a riproporre araldicamente la serie dinastica in stucco del palazzo Ducale.
Di nuovo nel palazzo Ducale troviamo la testimonianza conclusiva degli interessi dinastici del duca, nell’impressionante “cavalcata” lignea realizzata da uno scultore veneziano tra il 1587 e il 1589 e parzialmente distrutta da un incendio al principio dell’Ottocento. Qui la serie dinastica è esclusivamente maschile e le immagini guerresche richiamano la struttura dell’armeria, ovvero quel complesso di ambienti in cui i principi conservavano le loro dotazioni belliche, e dove le armature destinate all’uso a cavallo erano spesso sistemate indosso a delle “statue equestri”. L’idea genealogica che negli stucchi del palazzo Ducale aveva trovato una conclusione nel figlio di Vespasiano, Luigi, qui non può più essere messa in scena: Luigi è morto e la serie dinastica si è spezzata, tanto che nei “cavalli” tutto è retrospettivo e malinconico.
"Roma quanta fui"
La Galleria degli Antichi non presentava solo un apparato decorativo dal contenuto araldico. Infatti, fin verso il 1775 Sabbioneta era ancora arricchita dalla presenza della maggior parte dei pezzi della collezione di antichità di Vespasiano Gonzaga, che in buona parte si trovavano proprio nella Galleria, ma ornavano anche l’esterno e l’interno del palazzo Ducale, del Teatro all’Antica e del palazzo Giardino, creando un percorso unitario in cui il mondo antico costituiva il punto ideale di riferimento. Si trattava di una vasta collezione in buona parte acquistata da Vespasiano a Roma e a Venezia, centri del mercato antiquario, avvalendosi anche della mediazione, tra gli altri, di Giovanni Battista della Porta, lo stesso scultore che poi realizzò il mausoleo del duca nella chiesa dell’Incoronata.
"Roma quanta fuit, ipsa ruina docet" è il motto, utilizzato da Sebastiano Serlio nei frontespizi del suo trattato d’architettura, di cui Vespasiano si appropria nel Teatro all’Antica, fornendoci una chiave di lettura importante per comprendere gran parte delle costruzioni e degli apparati decorativi della cittadina. Il richiamo all’antichità romana è infatti una costante del sistema figurativo degli edifici voluti da Vespasiano: ritratti imperiali dipinti o a stucco integravano le serie di busti antichi, mentre storie romane – exempla della virtus romana – si dispiegano su pareti e volte delle sale di palazzo Ducale e palazzo Giardino, e le virtù del principe vengono esposte non solo con figure allegoriche all’antica, ma anche attraverso ideali modelli antichi, come Alessandro Magno, Cesare, Salomone, gli imperatori romani, gli dei olimpici. Il duca stesso si mostra nella scultura bronzea di Leone Leoni in una posa che riprende per molti versi il celebre Marco Aurelio capitolino.
La collezione di antichità di Vespasiano si colloca significativamente all’interno di questa trama di complessi richiami culturali, riprendendo una tipologia collezionistica ormai tradizionale per la seconda metà del Cinquecento. I naturalia, che tanto interesse suscitavano nelle Wunderkammern di moda in quegli anni, entrano nelle raccolte di Vespasiano tardi e solo come elementi integrativi di un allestimento basato principalmente sulle anticaglie. In tutto ciò si nota il riflesso della formazione culturale del duca, maturata nel fervido ambiente umanistico e spirituale che a Napoli ruotava intorno a sua zia Giulia Gonzaga. Di questo grande amore per l’antichità è intrisa tutta la città per la diffusa presenza dei marmi antichi in tutti gli edifici del principe.
La ricchezza dei riferimenti al mondo antico che troviamo a Sabbioneta mostra chiaramente come Vespasiano volesse dare alla sua creatura architettonica l’aspetto di una nuova Roma, sia attraverso l’indispensabile apparato scultoreo all’antica, che attraverso i continui rinvii al mondo classico. Era un sogno di pietra, appunto, ispirato da una cultura profonda, un sogno che si colloca al margine del Cinquecento, tra le ultime resistenze della cultura umanistica, un sogno che sarà interrotto dalla morte di Vespasiano, anche se è grazie a questa brusca interruzione che noi oggi vediamo la città praticamente come la volle il suo duca e come la lasciò nel 1591.