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Anno IV n° 9 SETTEMBRE 2008 - TERZA PAGINA Palazzo Roverella: “Pinocchio illustrato (e altri personaggi della fantasia) |
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Nel 1881, a cinquantacinque anni, si decide a dar vita alla sua fiaba. Memore forse dell'esperienza acquisita un lustro prima traducendo dal francese "a suo modo" (trasferendo cioè la corte del re Sole col suo seguito luminoso nella Toscana granducale, usando un familiare linguaggio ricco di arguzia) per l'editore fiorentino Felice Paggi I racconti delle fate di Perrault, della D'Aulnoy e della Leprince de Beaumont. La sua richiesta d'essere pagato bene per avere il giusto stimolo a continuare sta alla base della leggenda su una presunta taccagneria di Collodi/Lorenzini. E sul presunto suo vizio del gioco, quindi bisognoso di costante denaro liquido. Cosa smentita da due fatti. Il primo dovuto al compenso già prefissato dall'editore-banchiere Obleight in 4 soldi al rigo, per il tempo, come riconobbe Biagi in uno scritto di suo pugno apparso nel 1912 nella rivista Il Marzocco, addirittura favoloso. Il secondo che Collodi (par impossibile oggi crederlo) nonostante ciò fu sollecitato più volte a continuare le puntate animate dal suo burattino. Vi mise addirittura la parola fine a conclusione del quindicesimo capitolo, quando Pinocchio rimane penzoloni "impiccato" alla Quercia Grande dal Gatto e dalla Volpe mascherati da briganti: - Oh, babbo mio!... se tu fossi qui! E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito. Ce ne volle del bello e del buono, lusinghe di ogni tipo da parte di Martini e Biagi, perché l'autore riprendesse il filo della storia interrotta nel n.17 del Giornale datato 27 ottobre 1881. Collodi vi aveva aggiunto una moralitè destinata ai piccoli lettori: Amici miei: avete dunque capito? Tenetevi lontani i cattivi compagni, e i libri cattivi: perché alla vostra età, un compagno cattivo o un libro cattivo possono esser molte volte cagione della vostra rovina(1). Che accortamente, però, Martini e Biagi non pubblicarono. La ripresa della fiaba, rititolata Le avventure di Pinocchio, avvenne nel febbraio 1882. Vi saranno invero altre interruzioni (una, lunghissima, tra il giugno e il novembre). Ma la ripresa risultò subito assai facile, quasi che Collodi avesse impresso alla sua carica immaginativa una nuova consapevolezza. E' dal sedicesimo capitolo, inoltre, che comincia e si sviluppa per gradi l'ascesa del Burattino verso una sempre più avvertita coscienza di sè stesso. In precedenza Pinocchio appena costruito dal falegname povero Geppetto per girare con lui il mondo ed esibendolo alla gente buscarsi un tozzo di pane e un bicchier di vino, s'era venduto l'abbecedario pagato da suo "padre" in cambio dell'unica casacca capace di ripararlo dai rigori invernali, e ciò per entrare nel Teatrino di Mangiafoco. Orco tutto barba e vociazza portato a commuoversi, che gli aveva donato le cinque monete d'oro da portare al povero Geppetto. L'inizio delle sue terribili traversie. Tra queste, l'incontro coi truffaldini Gatto e Volpe che sfruttando la sua ingenuità gli rubano il denaro e per questo è lui a finire in prigione. L'inizio della redenzione coinciderà col soccorso che gli dà la Fata dai capelli turchini. E sarà tutto in salita. Attraverso prove atroci (la sua condizione di ciuchino per avere ascoltato il cattivo amico Lucignolo a seguirlo nell'illusorio Paese dei Balocchi) che lo portano alla fine a lasciare la sua scorza lignea per diventare un bambino come gli altri. Vi sarà chi commenterà questa chiusa (lo studioso Fernando Tempesti) paragonandola a un cerotto moralistico della valenza, per Pinocchio, di un estenuato suicidio poiché diventato un normale bambino annullerà se stesso, diventerà come tutti e quindi "nessuno". Ma tra le interpretazioni d'ogni tipo, di natura filosofica e antropologica che il capolavoro di Collodi provocherà nel corso del tempo, vi saranno anche le analisi "bibliche" di Piero Bargellini (1942: La verità di Pinocchio) che scrive tra l'altro: Quando padre e figlio s'incontrano nel ventre del pescecane è, si può dire, terminato il ciclo della perdizione; s'inizia il ciclo della redenzione. Il primo ciclo di Pinocchio si potrebbe intitolare : fuga dal padre. Il secondo ciclo: ritorno al padre. Come il figliol prodigo. Il pescecane, come la biblica balena, è l'immagine della espiazione e insieme il simbolo della morte apparente che precede la resurrezione. L'anomala fiaba tutta italiana ricca di arguzie che derivano dal carattere tosto del toscano Lorenzini/Collodi, così lontana e diversa ad esempio dagli estremismi orrorosi presenti nella classica produzione dei Grimm, si esaurì nel Giornale per i bambini, accompagnata con figure di comodo attribuite a un certo Fleres impiegato nella tipografica dove il periodico si stampava, col trentaseiesimo capitolo. Era il 1883. E subito l'editore Felice Paggi ne fece un volume, illustrato da Enrico Mazzanti, fiorentino come Collodi. Miniature in bianco e nero echeggianti in qualche modo il segno del Dorè favolistico, cui seguirono nel 1904, scomparso Collodi (morì colpito da aneurisma il 26 ottobre 1890 a sessantaquattro anni) quelle per una nuova edizione eseguite con segno realistico da Carlo Chiostri. Due maniere diverse, lontanissime tra loro, di "rileggere" attraverso il disegno Le Avventure di Pinocchio. Mazzanti immergendo le sue figurette in un'aura granducale, Chiostri dando ai suoi "quadri" una severa atmosfera "umbertina" dove si colgono i substrati anche sociali che il libro possiede. Perché diverse tra loro per segno e sostanza le illustrazioni dei due figurinai toscani? Non soltanto in ragione dei rispettivi modi di esprimersi graficamente. Lo si deve anche e forse soprattutto alla totale libertà lasciata loro (e alla legione di illustratori che sarebbero seguiti in Italia e nel Mondo) da Collodi che non descrive mai compiutamente i suoi personaggi, né tanto meno i luoghi e il paesaggio in cui questi si muovono. E quando nel 1911 toccò al piemontese Attilio Mussino illustrare, grazie alle nuove tecniche di stampa, le sue figure per la prima volta a colori, le Avventure si trovarono avvolte in una sorta di festosa rappresentazione paesana. La fortuna di Pinocchio in Italia (appena insidiata dal Cuore di De Amicis uscito in prima edizione nel 1886 in coincidenza quindi alla terza edizione in libro delle pagine collodiane, per altro oggetto di una ben orchestrata campagna promozionale in ambito scolastico), fu subito grandissima. Travalicando già nel Natale del 1901 le italiche frontiere. Quel giro del mondo auspicato per il Burattino come consolazione per sè da Geppetto, iniziò in quella data dall'Inghilterra. Dopo l'inglese Pinocchio cominciò a parlare (1902) in francese, quindi (1905) in tedesco, (1908) in russo, (1911) in rumeno, (1912) in spagnolo. E via seguitando in altre aree geografiche che nel tempo toccarono pressoché tutte le lingue del mondo. Dialetti compresi. Financo in latino ed in... esperanto. Secondo libro per numero di traduzioni dopo la Bibbia. Soggetto anche ad una infinità di "tradimenti" e di plagi. Come quello operato negli anni trenta dal nobile russo Aleksej Tolstoj che riscrivendo Le Avventure col titolo La chiavina d'oro ne fece una versione in chiave marxista. Usato anche dalla politica per finalità propagandistiche ed elettorali. Ma così per campagne civili (contro il fumo, mostrato, Pinocchio, coi piedi bruciati). Uscendone (legno solido da catasta) ogni volta integro. In taluni paesi, Burattino d'un paese lontano, dovette "mascherarsi" per farsi accettare. Anche attraverso le figure rifatte (in Germania) alla maniera di personaggi di tradizione, come Max e Moritz di Wilhelm Bush. Fu chiamato all'inizio col nome della marionetta nazionale: Kasperl per i lettori tedeschi, Vasilache per quelli rumeni. Per citare. Protagonista di film e di spettacoli teatrali. Un cammino mai interrotto e che ancora continua. Nel 1941 il Comune di Firenze scoprì una lapide posta sulla facciata della casa natale dello scrittore, al numero civico 21 (già 17) di via Taddea. Con questa scritta: In questa casa nacque nel 1826 / Carlo Lorenzini detto Collodi / Padre di Pinocchio. (1) Il testo originale è conservato al Museo Centrale del Risorgimento di Roma.
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