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Anno IV n° 9 SETTEMBRE 2008 TERZA PAGINA |
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Rischio d'impresa
Di Cecil (Grazia Cardillo)
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Davanti al negozio c’erano cataste di oggetti, ognuna posta su banchetti improvvisati. Vi era un miscuglio di colori e di forme, spigoli vivi e bordi arrotondati. Ciarpame, diverso anche per il valore dei singoli pezzi. L’uomo sostava in silenzio davanti a loro, con uno sguardo pieno d’orgoglio, le mani nelle tasche dei pantaloni larghi e un po’ sformati. Si chiamava Gaetano Esposito, Tanino per gli amici. Fino ad allora aveva provato a fare tanti lavori diversi e in ognuno, ad onor del vero, aveva profuso la sua intraprendenza, la sua creatività. La prima iniziativa per cercare di far soldi risaliva all’età di otto anni quando, insieme al suo amico fraterno, Gennarino zolfanello, chiamato così per via della costituzione esile e per la facilità con la quale prendeva fuoco per qualsiasi sciocchezza, avevano inventato la lotteria sulle corse dei gatti. Ma quando gli scommettitori, Peppuccio mazinga, Giovannello begliocchi e Sandruccio piedipapera, seppero che i due compari avevano speso tutti i soldi delle scommesse e non li avrebbero mai pagati, si erano vendicati: gli rubarono tutti i gatti e gli fecero saltare il bussinesse. Successivamente c’era stato il tentativo di darsi al commercio. Era durato poco perché si era reso conto che le paglie estere senza la tassa d’importazione erano una merce, come dire, scottante. Ogni attività che aveva iniziato si era rivelata un fallimento. Nessuno aveva capito la sua predisposizione per il lavoro flessibile, né la sua capacità di adeguare gli orari di lavoro alle esigenze del mercato, e neppure il fatto di non avere come unico scopo quello di ottenere il posto fisso. Tanto è vero che si spostava sempre lui da un capo all’altro della città andando nei luoghi dove maggiormente venivano richieste le sue prestazioni: di mattina alle sette si installava nei pressi del cavalcavia prima dell’imbocco della tangenziale. Quella postazione gli dava il notevole vantaggio di ripararsi nel caso avesse piovuto. Di sera si piazzava sulla strada che dal lungomare Caracciolo portava a Mergellina. Aveva inoltre una certa elasticità riguardo il genere di mercanzia, in quanto teneva a diversificarla per marche e qualità: bionde e qualche volta anche brune, ma quella era una faccenda che non gli era piaciuta, perché era pur sempre un bravo guaglione ed aveva deciso da solo di smettere. Ma possedere tutte queste qualità non era valso a niente. La vita bastarda non lo aveva mai ripagato. Ora, era certo che la sua ambizione si sarebbe realizzata e -anche per il fatto che l’ultimo sogno è sempre il più bello- questa volta sarebbe stato quello giusto: avrebbe avuto un negozio tutto suo. L’uomo rifletteva su fatto che il nome “Tanino” era ben conosciuto nel quartiere e non gli sarebbero mancati i clienti. Sarebbe stato il fornitore della migliore merce in circolazione nella zona e continuando a fare queste riflessioni, con quella agile rapidità che solo l’entusiasmo riesce a mettere ai piedi, rientrò nel locale a piano terra per dare gli ultimi ritocchi di pittura alle pareti e fissare gli scaffali che avrebbero ospitato gli articoli. Gli avevano consegnato la mercanzia prima che i lavori fossero ultimati ed era stato costretto a lasciarla là fuori, esposta davanti alla porta del negozio, incustodita. Dall’interno gettava ogni tanto uno sguardo sulla sua roba, ma sapeva che nessuno l’avrebbe rubata a Tanino. Dalla vetrina vide avvicinarsi Lucietta, la ragazza che lavorava nel negozio di parrucchiera all’angolo della strada. Ancora prima che la donna entrasse ne sentì la voce allegra, ma così acuta da procurargli una stilettata che gli attraversò la testa da un orecchio all’altro.
Accompagnò la sua prima cliente mancata alla porta e vide fermarsi, davanti ai banchi sul marciapiede, un uomo che stava richiamando l’attenzione della donna al suo fianco dicendo:
La donna incominciò a schiamazzare, e immediatamente si formò un capannello di gente davanti alla porta ostruendola. Tanino a quel punto si pentì di aver chiuso l’ingresso sul retro del negozio. Era stata una soluzione di buon senso, per sfruttare anche quello spazio e destinarlo alle mensole. Ecco, un’altra qualità: la lungimiranza che non era stata premiata. Non appena sentì la sirena della macchina dei carabinieri chiamati dall’uomo, incominciò a gridare:
“Ma allora ditemelo, ditemelo che siete voi che non mi volete fare lavorare! Tutta colpa vostra, dello Stato, delle leggi e della sfortuna.” |
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