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 Anno IV n° 10 OTTOBRE 2008    -   TERZA PAGINA


Le ceneri di Cesare...
La leggenda del globo dell’obelisco di piazza San Pietro
Il globo esiste ancora e si potrà vedere nella mostra Giulio Cesare - L’uomo, le imprese, il mito a Roma, al Chiostro del Bramante



Il mito di Cesare è rimasto vivo ininterrottamente dalla sua morte, in particolare nei luoghi più legati alla sua memoria, come il Rubicone in Romagna. Ma è ovviamente soprattutto a Roma che la fama del Nostro divenne imperitura.

Col tempo, capita anche che dallo stesso mito siano stati permeati luoghi e monumenti che nulla hanno avuto a che fare, direttamente o indirettamente, con la persona e le varie vicende di Cesare; ed è questo un ulteriore segno della sua fama eterna.

Esemplare in questo senso è la leggenda cesariana legata al celebre obelisco egizio che si erge maestoso ancora oggi in piazza San Pietro, proveniente dal vicino circo di Nerone-Caligola in Vaticano.

Trasportato dall’Egitto per volontà dell’imperatore Caligola nel 37 d.C. come principale elemento decorativo della spina per il circo, l’obelisco era stato realizzato per Nencoreo, faraone della XII dinastia (1991-1786 a.C.) e collocato ad Heliopolis, città dalla quale Giulio Cesare lo fece trasferire ad Alessandria, capitale ellenistica dell’Egitto dei Tolomei, per adornare la città di Cleopatra.

Con tale simbolo eretto a Roma, Caligola si univa idealmente all’iniziatore dell’impero; tuttavia egli non riuscì a vedere completato il circo, che fu portato a termine da Nerone e che fu anche teatro del martirio di S. Pietro nel 64.

Il primo papa della chiesa cristiana fu sepolto lì a fianco, nel luogo dove già sorgeva una necropoli, poi occultata dai lavori per la realizzazione della prima basilica di S. Pietro, al tempo dell’imperatore Costantino. L’obelisco però rimase fuori dal perimetro dell’edificio e fu lasciato al suo posto – nei pressi dell’attuale Aula Nervi - col suo globo bronzeo dorato e l’iscrizione, poi perduta, che rimandava a Cesare.

Nel corso del Medioevo il monumento, impostosi per l’attiguità alla mèta di migliaia di pellegrini, venne chiamato l’aguglia e la probabile suggestione data allo stesso dalla vicinanza della sepoltura di S. Pietro, portò a vedervi un monumento funerario, ovviamente di un “Grande”: il grande globo posto sulla sommità dell’obelisco altro non sarebbe stato che l’urna cineraria di Gaio Giulio Cesare, di cui si sapeva, attraverso le fonti letterarie, della cremazione, avvenuta tra i tumulti poco dopo l’assassinio.

Roma, Musei Capitolini, Globo obelisco Sisto V°

La leggenda divenne parte integrante delle notizie raccontate ai visitatori della basilica ed il monumento additato come tomba di Cesare nei Mirabilia Urbis Romae, tanto da essere ancora vivo nella memoria culturale della stessa popolazione romana fino alla fine del XVI secolo, quando papa Sisto V° Peretti, fiero avversario di ogni superstizione e diffidente della considerazione quasi religiosa per il globo, decise di porre fine alla medesima.

Si decise allora, nel progetto di ampliamento e nuovo allestimento di piazza S. Pietro, lo spostamento dell’obelisco al suo centro, dove veniva a rappresentare, nel solco del significato simbolico dell’oggetto, l’autorità cristiana. L’impresa titanica delle complesse operazioni di trasferimento e nuovo innalzamento dell’obelisco al centro della piazza è descritta dal suo organizzatore, l’architetto Domenico Fontana, nel libro Della Trasportatione dell’Obelisco Vaticano et delle Fabriche di Nostro Signore Papa Sisto V°, edito nel 1590.

Parte integrante dei lavori, realizzati nel 1586, è stata la rimozione dell’antico globo dorato e quindi della fine della leggenda popolare: la sfera fu aperta e trovata vuota e al suo posto sull’obelisco fu issata una croce bronzea contenente una reliquia della “vera Croce”.

Per la curiosità di molti, il globo non è andato perduto: esposto alla mostra “Giulio Cesare. L’uomo, le imprese, il mito”, come simbolo altissimo del mito di Cesare, è conservato oggi nei Musei Capitolini, sfregiato, tra l’altro, dai segni delle archibugiate infertegli dai Lanzichenecchi durante il Sacco di Roma, nel 1527, questi sì ignari, si spera, di tanta storica credenza.



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