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 Anno IV n° 10 OTTOBRE 2008    -   TERZA PAGINA


Una riflessione, tante domande
Cambiare vita

Di Adriana Libretti



Dove andrei a vivere se decidessi di cambiare vita?
Me lo chiedo sempre più spesso, anche se, sempre più spesso, mi rispondo che questo, purtroppo, non accadrà. Non in senso spaziale, quanto meno. Non cambierò, probabilmente, luogo fisico, anche se non ho pregiudiziali in tal senso e anzi alle volte lo desidero… Non andrò via, presumo, da Milano. Per pigrizia, per paura, o perché (ma forse è solo una scusa) caso mai avrei dovuto farlo prima.

Ho conosciuto di recente una persona (uomo, 33 anni) che il coraggio di rompere con la tranquilla routine e di assumersene i rischi, l’ha invece avuto. Alcuni, parlando della sua scelta, al posto della parola ‘coraggio’ userebbero la parola ‘incoscienza’, ma i confini tra questi due termini, tra i concetti ad essi sottesi, sono molto più labili di quanto non appaia a prima vista… Lasciare, di questi tempi, un lavoro sicuro per intraprendere un’avventura non è comunque da tutti.
Questo giovane uomo ha lasciato la metropoli, ha venduto la macchina e ha comprato un rudere sui bricchi… Insieme ad altre persone sta cercando di recuperare un borgo antico, abbandonato da anni… “Sì, ma di che cosa vive?”, mi si chiede da più parti quando ne parlo, “dei prodotti dell’orto e di qualche lavoro artigianale”, rispondo.
E subito riconosco nello sguardo di chi mi sta davanti un’aria di disapprovazione e di scherno. “Gli hai detto che il ’68 è finito da un pezzo?”, ha esclamato una mia collega. “Impossibile vivere fuori dal sistema!”, ha aggiunto un’altra. Questa non è la soluzione, va bene. Vivere fuori dal mondo non significa vivere fuori dal sistema, ma contrastarlo un poco forse sì. Vero è che bisognerebbe elaborare progetti al passo coi tempi, strutturati, articolati, solidi… Ma vivere aspirando all’ultimo status-symbol è meglio?

Ma che cosa significa cambiare?
Fuggire?
Sperimentare uno stile di vita inconsueto?
Intraprendere un cammino di ricerca interiore?

E ancora mi viene da chiedermi (e da chiedervi): cambiare comporta inevitabilmente un cambiamento di luogo? Il contatto con la natura è fondamentale, ma è davvero più importante di quello con le persone?

Quella lenta trasformazione, quell’interminabile lavoro su di sé per interrogarsi, conoscersi, stabilire un rapporto più sano con il prossimo e l’ambiente, non prescinde forse dal luogo?

Lo so, avrei dovuto scrivere un breve articolo per Magazine, non riempire la pagina di domande… Alla fine, guardandomi da fuori, mi trovo quasi patetica; assomiglio un po’ al tragicomico personaggio televisivo di Corrado Guzzanti di diversi anni fa:

    “Dove andiamo?
    Chi siamo?
    Qui c’è grossa crisi…”

Sta di fatto che la crisi globale è ormai evidente. Dilaga. E così non si può continuare.

Sono ipocrita, utopista, buonista, se mi ostino a credere che ognuno di noi debba ripartire da sé, dal piccolo gesto quotidiano?
E’ illusorio, vano, contraddittorio, cercare di allenarsi all’ascolto, al dialogo, alla gentilezza d’animo e continuare a vivere a Milano?



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