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Anno IV n° 11 NOVEMBRE 2008 - TERZA PAGINA |
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Alessandro Baricco, pensando alle Mappe di Lynn Carver, ha scelto per il catalogo della mostra di riproporre un suo intervento sulla mappa di Leonardo per Imola comparso in “Barnum” con il titolo “In volo con Leonardo da Vinci”. Pensa passare a Imola nel 1502, più o meno in questa stagione, autunno quasi inverno. A parte che c’erano soldati dappertutto e un casino d’inferno, per via di Cesare Borgia che si era messo in testa si intascarsi con la forza l’Emilia Romagna e forse perfino Firenze. A parte quello. Ma la cosa curiosa è che se se te ne andavi a spasso ed eri veramente molto fortunato, poteva capitarti una cosa bestiale: incontrare, in un colpo solo, Leonardo da Vinci e Machiavelli. Poi magari neanche gli chiedevi l’autografo, ma intanto li avevi visti, e qualcosa da raccontare, per sempre, ce l’avevi. Lavoravano, i due. Machiavelli come ambasciatore di Firenze (un po’ a spiare, un po’ ad ammorbidire il Borgia), Leonardo come “prestantissimo ed dilectissimo famigliare architecto ed ingegnero generale” del suddetto Borgia: su sponde opposte, insomma. Uno redigeva minuziosi e preoccupati resoconti diplomatici, l’altro inventava carrarmati e cosette del genere. Combattevano la stessa battaglia ma su piani diversi: e nulla, purtroppo, ci autorizza a pensare che almeno una volta, anche per caso, si siano incrociati.
Adesso quella pianta di Imola fa parte del fondo Windsor, e cioè appartiene alla Regina d’Inghilterra. Però, fino al 9 gennaio 1995 la si è potuta vedere a Imola, dove l’hanno portata insieme alle altre reliquie leonardesche. A me l’ha mandata un barnumista di Imola, nel senso che mi ha mandato il catalogo della mostra. E il catalogo mi si è aperto alla pagina giusta: doppia pagina; a colori, la pianta. Di una bellezza da rimanere secchi. Non si è sicuri di come sia riuscito a farla. Ma una delle due ipotesi più fondate è commovente: si è fatto tutta la città contando i passi e misurando gli angoli: e alla fine ha preso tutti quei numeri e li ha convertiti nello sguardo di un’aquila di passaggio. Il fatto è che io me lo vedo camminare rasente i muri, e scavalca pozzanghere e merde di cavallo, sempre a testa bassa, contando. E poi annotando. E poi passando all’isolato successivo, e la gente, intorno, a pensare ma guarda ‘sto pazzo. E alla fine, nel suo studiolo, con inchiostro e acquerelli, compiere con divina naturalezza uno sforzo titanico e mettere su carte l’immagine che quei numeri erano, sì, ma solo allo sguardo di un aereo, o di Dio. E non riesco a non pensare che questo sarebbe davvero bello, e salvifico, saper fare mappe del genere, ma non di Imola, della vita: misurare passo dopo passo quel che ti succede e poi riuscire a decollare guardando da lassù, saper numerare gli istanti ma anche vedere gli anni, riuscire a camminare e volare, vivere e capire, simultaneamente. E se guardo quella pianta, la trovo a modo suo struggente, perché forse non è esattamente Imola, ma è esattamente ciò di cui non c’è stato concesso d’esser capaci. Il che difficilmente sarebbe venuto a galla se quella pianta, va detto, non fosse, in quanto disegno puro e semplice, bellissima. Quasi trasparente nei suoi gialli e azzurri delicati, chiusa in un cerchio che la ritaglia via dalla carta e dal mondo tutto, sogno in una bolla, visione sotto vetro. Le case segnate una ad una, i profili più scuri, le piazze macchie chiare, di luce, il canale azzurro che gira attorno alle mura, i prati intorno, le strade che se ne vanno dalla città, bucano la circonferenza della bolla. Un’icona. In basso, fuori dalle mura, volteggia grande, il fiume. Il cartografo si è fermato, sazio, forse d’esattezza. E ha lasciato fare al pittore. Fiume come fumo azzurro che va per le campagne. Come capelli di qualche fata turchina passata da lì. Ancora più trasparente del resto. Dopo un po’ che lo guardi ti sorprendi col dito sopra, a toccarlo: e quel che ti aspetti è che, minimo minimo, sia di seta. Nel catalogo, no: ma secondo me nell’originale, a Imola, se tocchi il fiume, quel che senti è seta.
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