Torniamo, in una fosca silente giornata d’autunno, davanti a casa Usher.
Periclita su un immoto stagno negro, racchiusa in una bolla di gas grigiastro,
respirabile ma non atmosferico. La sua tenuta statica, anche se sta continuando,
non può continuare. Una fine incrinatura, infatti, che la percorre da
cima a fondo, pronta a dilatarsi fatalmente, è tutto ciò che addentella il suo
pietrame disgregato: siamo alla fine. Materialmente, tante altre architetture
orfane di manutenzione non sono migliori; metafisicamente, l’esperienza
è pessima.
Poe sostiene (1) che un misto di bellezza, melanconia, nevermore, morte, sia
quanto di meglio utilizzabile agli effetti poetici; ma questa volta ogni estetismo
manca, l’intimo gelo e la tristezza insopportabile sono completamente
esenti da soffusioni poetiche o sublimi. Qualcosa di simile si prova soltanto
quando nel dormiveglia, mentre uno si desta da qualche sonno oppiaceo, la
realtà di ogni giorno appare come sta, assolutamente depressiva (2); e tale è
perché enormemente invecchiata e disgregata, lesionata dall’infinitamente
sottile istante, l’istante che tiene insieme tanto quanto separa, tanto quanto
agisce per precipitarla nelle macerie disgregate che essa già è; ma almeno là
si crede di sognare, non ora che una luce tremenda, sanguinosa, durevole, attraversa
il vuoto aperto dall’istante in atto di sfasciarsi insieme al resto.
Poe non esita ad entrare in quella preoccupante Casa, per dare qualche assistenza
a un suo amico assai mal messo. Là infatti Roderick Usher soffre di
terrore che egli continuamente rioggettiva come terrore di cui ha terrore; in
infinitum è dunque per progredire l’esperienza del suo terrore in una col terrore
della sua esperienza, finché, l’una e l’altro divenuti assolutamente insostenibili,
la coscienza risulti occupata e distrutta dall’infinito terrore che essa
stessa ha accumulato sul terrore. Usher dal terrore si difende assumendo
alcolici o narcotici, o se ne distrae con la lettura e la pittura. Anche, coltiva la
musica, cercandone e tentandone inviluppi e difficoltà, da compositore e interprete
sperimentale contemporaneo, irriguardoso verso la tradizione orecchiabile.
Qui, per lui, sorge una grave difficoltà.
Il suo cuore è come un liuto sospeso: appena lo si tocchi, risuona (3). Stimoli
anche molto deboli, quali di sapori appena spiccati, tessuti al tocco, fiori dal
profumo tenue, fioca luce, gli sono intollerabili, tanto più perché egli stesso
morbosamente li amplifica (4). Quindi, una quantità di strumenti gli sarebbe
preclusa, come troppo sonori: pessima privazione, nel 1839, doversi astenere
dal pianoforte! Accetta però alcuni sommessi cordofoni, fra i quali il liuto
dovrebbe propriamente andare bene, dato che a quello il suo cuore è simile.
Ma sul momento il liuto è, sebbene spesso rammentato da poeti, quanto a
prassi strumentale estinto. Rintanato nella sua decrepita Casa, tutta grigia
muratura, torrette, arcature gotiche, cripte, trofei d’armi, libri rari e noiosi,
pavimenti neri, arazzi tetri, angoli bui, Usher se toccasse il liuto finirebbe
completamente in fiaba antiquaria.
Ma la chitarra, al liuto del resto abbastanza affine, tiene Usher al passo
coi tempi. Lo strumento, per quanto di antica genesi, si è propriamente affermato
da poco, è stato ristrutturato al punto di risultare nuovo.
Abbandonate ormai alla filologia le intavolature, i pezzi si scrivono e si leggono
con precisione su un solo, comodo, rigo di sol traspositore, la stabile accordatura
su sei corde semplici è confermata. Interpreti, compositori, maestri
celebri non mancano. A confronto di un pianoforte o di un organo, la chitarra
è certamente limitata (narrow limits) non foss’altro che per estensione
e massa auditiva. Tuttavia la sua piccola sonorità, netta e non tanto breve,
mette bene allo scoperto gli sviluppi polifonici e contrappuntistici; per di più,
coi suoi favori armonici e timbrici si presta all’improvvisazione e al fan-tastico.
In particolare Poe ricorda che Usher praticasse sulla chitarra una certa
“singolare amplificazione e perversione della strana melodia nell’ultimo valzer
di Weber (5)”. Scelta - la quale conferma le propensioni al contemporaneo
di Usher - non mal posta, sia date le peculiarità suggestive drammatiche
e musicali del colorito autore, sia perché la produzione per canto (Usher
canta) e chitarra non ne è trascurabile.
Nella specie, ho cercato, e trovato, una trascrizione d’epoca che almeno ci
dia un’idea di un (ritenuto) Weber trasferito sulla chitarra a quel tempo, e
della quale non sia incredibile che possa essere stata di appoggio a Poe per
l’assegnazione al suo melanconico sire.
In questa analisi è così conseguito un primo risultato: leggendo, o ascoltando, la partitura
(6), ci accorgiamo che la trasposizione all’ottava inferiore, la tonalità, la diteggiatura, possono rendere
l’insieme, se interpretato a modo, rispetto all’aggraziata tastiera originaria,
alquanto più colorito, più weberiano (di fatto, il valzer non è di Weber);
ma sia pur se sottoposto ad artifizi timbrici, tempi rubati e simili, il pezzo
non riesce davvero a sembrare qualcosa di intimamente strano o selvaggio.
Dobbiamo ora considerare che dall’anima di Usher, come riferisce Poe, si
riversava in continuità una tenebra speciale, non però allo stato negativo di
privazione, ma a quello di inerente qualità positiva, in forma di oscura energia
raggiante (7) (unceasing radiation of gloom), sotto il cui influsso ogni oggetto
fisico e morale, cui Usher portando attenzione la dirigesse, si accendeva
di livida luminescenza. Se il simpatico valzer prende un inquietante bagliore,
è dunque per il solo fatto che Usher se interessa.
Manifestamente, Poe si è avvalso dell’analogia con ciò che noi diciamo
l’ultravioletto o l’infrarosso, e a quel tempo è noto come le invisibili radiazioni
che oltre l’estremo violetto o, meno efficacemente, sotto il rosso, dello
spettro solare, eccitano la luminescenza di particolari materie(8). Si tratta
di cognizioni fisiche ancora abbastanza nuove (9); richiamarle, completa e fa
più perspicua la dichiarazione di contemporaneità.
Contemporaneo è l’istante, ed è sempre l’ultimo istante. Siamo all’istante,
che è l’ultimo, della casa Usher e di ciò che essa contiene. L’intenzione conoscitiva
dello sfrenato chitarrista è del tutto opposta a quella, preconizzata
dalla fenomenologia, che richiede un opportuno distacco dall’oggetto; ma qui
vuole valere più della cautela teoretica l’effetto di una mente sconvolta (distempered
ideality): la tenebra irradiata da Usher forza le cose a un chiarore
sulfureo di verità grazie al quale esse si palesano le ultime cose. La musica
contemporanea è l’ultima musica; il valzer di Weber, strano perché in quanto
ultimo non può più essere, ma continua ad essere ancora un poco, è l’ultimo
valzer.
Fine del pensiero monocratico
Può darsi che il cadaveroso Signore avesse pervertito l’aria di Weber anche
vocalmente, quando con la sua eloquente chitarra dava sostegno a lunghe
cantilene. Di una di queste il testo fu conservato dalla buona memoria del
visitatore; e dobbiamo ammirare la forza d’animo in Poe, il quale pur sotto
tanto pressanti emozioni, e tanto spaventosi eventi vissuti nel corso del soggiorno
e al momento del crollo, non perde la testa, e tutto osserva, ricorda e
registra. È una sua specialità: mantenere la mente fredda, nonostante la
compresenza del terrore, mentre viene roteato da un gorgo oppure la lama di
un pendolo funesto comincia a incidergli la pelle o la luna sanguinante appare
dove poco fa c’era ancora casa Usher.
Titolo della ballata: The Haunted Palace. Il Palazzo Infestato.
Usher è pittore. Una fra le sue opere presenta, ad esempio, l’interno di un
cunicolo immensamente lungo e profondo, a sezione rettangolare, basso, fra
lisce e bianche pareti, illuminato intensamente da non si sa cosa: arte astratta.
Ma nella ballata egli adotta lo stile figurativo, perché illustra un signorile
edificio conformato a testa umana, munito di finestre occhi e porta
bocca. È il palazzo del Pensiero.
Nella più verde delle nostre valli, occupata da angeli buoni, un palazzo bello e maestoso,
un raggiante palazzo, ergeva la fronte. Nei domini del monarca Pensiero (là
era il suo sito!) mai Serafino dispiegò le penne su un edificio a metà così bello.
In Arnheim, insigne esempio di giardinaggio spirituale (10), il vivido tappeto
erbaceo è come morbidissimo velluto. Ineguagliato sembra il verde del liriodendro
presso il Cottage Landor (11). Ma quella viridità era stata ancora più
verde, quasi fosse di un paesaggio luminoso ai primi giorni creati (12). Altre
valli sono agitate dall’inquietudine (13), altre invase dall’ombra
(14); non questa,
occupata da angeli buoni (dunque esistono in qualche altra parte angeli mali). Per i Serafini che si libravano
(15) sul maestoso palazzo, più belle potevano
essere soltanto le residenze soprannaturali, delle quali essi sono esperti.
Bandiere gialle, magnifiche, dorate, fluttuavano e si riversavano sul suo tetto
(questo - tutto questo - era nel tempo tanto antico, nel tempo tanto tanto antico). E
ad ogni soave brezza che, in quelle dolci giornate, scherzasse lungo i bastioni piumati
e pallidi, sfuggiva un profumo alato.
Il palazzo non fu difeso soltanto da angeli e serafini, ma anche da fortificazioni:
le tempie; sulle quali si agitavano e fluivano, quasi gonfaloni, chiome
del cui dorato sono i capelli di Eulalia, Lenore, Berenice (16). Come conveniente
ad acconciature femminili, uno squisito profumo esalavano.
Fra angeli, serafini, bastioni, la sicurezza contro ogni aggressione dall’esterno
sembrava garantita.
I viaggiatori in quella valle felice, vedevano, attraverso due luminose finestre, degli
spiriti i quali, secondo la legge di un liuto bene intonato, si muovevano intorno a un
trono dove il signore del reame appariva (Porfirogenito!) in condizioni ben confacenti
alla sua gloria.
Poiché la coscienza è una sola coscienza finché sia sana, il Pensiero aveva
sempre pensato, e dunque regnato, monocraticamente. Non aveva un storia
propria meno che regale da rammentare, era nato nella porpora: i tessuti
opportunamente irrigati di sangue vitale, che custodiscono il cervello. Per
quanto signore anche nel circondario della viridissima valle (nel mondo esterno)
il Pensiero era dunque limitato, come in sua sede d’istituto, nel punto
di inserzione materica (il palazzo, la testa).
Là siede (rammemoriamo quei tempi ormai tanto remoti) con immobilità
da mosaico costantinopolitano, da là non esce. Gli altri soggetti non possono
entrare fisicamente nella sua sede, però ne possono sapere la mente guardando
attraverso gli occhi, finestre di passaggio e trasferimento fra materia
e spirito (anche la casa Usher possiede finestre occhi, ma quanto è diversa al
principio dal mirando palagio, e quanto in fine i destini dell’una e dell’altro
terminano a somigliarsi!).
Chi guardasse per le finestre, i viandanti (la vallata era ed è, in quanto il
nostro mondo, universale luogo di passaggio (17), vedeva dunque un caribo di
spiriti incircolarsi intorno al Porfirogenito, a suon di liuto. Il liutista manca, o meglio è lo stesso liuto, se ammettiamo che liuto, come per Israfel, sia lo
stesso complesso affettivo, musicalmente intonato, della personalità cui appartiene
la testa pensante. Gli spiriti sono le diverse attività intellettuali e
fantastiche, secondo una psicologia nel genere di quella di cui si legge in celebri
luoghi della Vita Nova dantesca.
E tutta brillante di perle e rubino era la porta del bel palazzo, attraverso la quale
veniva effluendo, effluendo, effluendo, e spumeggiando continuamente, una
schiera di Echi, il cui dolce compito altro non era se non cantare, con voci di insuperabile
bellezza, l'intelletto e la sapienza del loro Re.
Fuori, un fiume percorre il fondo valle, riversandosi dalla porta del palazzo,
che dunque è collocato all’estremità a monte, fiume di canto apparentemente
inesauribile emesso dalla vivida bocca rossa, mentre si esibisce una dentatura
perlacea (18) sorridendo: nel canto echeggia la musica interiore.
Dunque gli spiriti intorno al Pensiero oltre che danzare cantano: immagino, polifonicamente.
Il movimento canoro e danzante non è causato da un impulso efficiente, ma
da un fine, cui tende la scelta compiuta dagli spiriti: esaltare la gloria del
Pensiero, in una gara tale che ogni voce cerca di superare ogni altra in bellezza.
Il Pensiero è una specie di Motore Immobile, causa del movimento non
impegnata, perché finalistica, nel movimento stesso.
Ma enti perversi, in abiti da lutto, assalirono l'alta autorità del monarca (ah, piangiamo!
Perché non vi sarà mai più un mattino per lui, il desolato!). E, intorno alla
sua dimora, la gloria che si imporporava e fioriva, non è ormai che un oscuro racconto
di antichi tempi sepolti.
Ma quando l’attacco degli enti perversi fu portato a quell’insigne reggia,
quando gli occhi videro il male del mondo, gli spiriti danzanti, organizzati
musicalmente ma non certo militarmente, furono travolti. La mente ne è
stata sconvolta, il complesso affettivo liuto è andato a pezzi, il monarca Pensiero,
in grado unicamente di darsi a conoscere nella sua gloria, e accogliere
danze e inni di lode, ma altrimenti inetto alla difesa, è stato allontanato e
relegato in chi sa quale tenebra eterna.
E chi viaggia, adesso, per questa valle, vede, attraverso le finestre accese di rosso,
immani forme che si muovono capricciosamente al suono di una musica discordante,
mentre, come un fiume orrendamente rapido, attraverso la pallida porta una
folla ripugnante erompe per sempre, e ride - ma non sorride più.
Le rovine del Palazzo sono ancora sul posto. Attraverso gli occhi finestra, iniettati
di sangue malsano, è ancora osservabile ciò che succede all’interno.
Vediamo agitarsi forme di cui si riconosce solo la smisuratezza, mosse da
fantasia sregolata e da affetti incoerenti, simili alle sonorità di un liuto scordato.
La bocca ha perduto il suo sano color rubino, si è fatta smorta, il fiume
che ne esce è ora un torrentaccio spettrale di bestemmie, turpiloquio, sghignazzate.
Gli angeli e i serafini custodi sono tutti scomparsi. Al Pensiero, abbandonato
a sé stesso, nulla valse la pretesa monocratica per minimamente difendersi
dal male del mondo.
Note (per tornare al testo cliccare sul numero identificativo della nota)
* Francesco Piselli professore
di Estetica presso l’Università di Parma
1 Unquestionably. The philosophy of composition, Poe Essays p. 19.
2 An utter depression of soul which I can compare to no earthly sensation more
properly than to the after-dream of the reveller upon opium — the bitter lapse into
every-day life — the hideous dropping off of the veil. The Fall p. 397.
3 Son coeur est un luth suspendu; Sitôt qu’on le touche il résonne.The Fall in epigrafe. Da Le Refus di Béranger, il quale non accetta, in nome della Libertà, una pensione dal Generale Sebastiani (non Galignani come vuole Mabbott) e conclude:
Gardez vos dons; je suis peureux;
Mais, si d’un zèle généreux
Pour moi le monde vous soupçonne,
Sachez bien qui vous a vendu:
Mon coeur est un luth suspendu:
Sitôt qu’on le touche, il résonne.
Béranger vuol dire che, persona sensibile come egli è, toccato dalla generosa offerta,
la rifiuta ma anche la renderà a tutti nota.
4 Quale la sua sofferenza, dunque, in mezzo a tutto il chiasso della Casa! Lady
Madeline grattante e rantolante nel sepolcro, Poe che legge ad alta voce il Mad
Trist, cigolii e rimbombi, il travolgente tuono, immenso, all’atto della frana che
conclude.
5 The Fall p. 405.
6 Chi voglia, da sé o per interposto specialista, rivivere un poco la cultura musicale
di Usher (di Poe), trova allegata la riproduzione in facsimile del non difficile
pezzo, che può anche essere ascoltato.
7 … et mon luth constellé porte le Soleil noir de la Mélancolie.Gérard de Nerval. El Desdichado.
8 I cosiddetti “fosfori di Bologna” ad esempio (per noi, solfuro di bario più o meno
impuro).
9 Goethe, è vero, se ne era accorto da tempo: Hart über dem Violett… auch unter dem Rot… sogenannte unsichtbare Strahlen. Farbenlehre p. 994-995 e 1004 (corsivo mio). L’implicita evocazione di Goethe rinforza il senso di contemporaneo.
10 Ellison… held that, other things being equal, the extent of attainable happiness was in proportion to the spirituality of this object. The Domain of Arnheim, Poe Mabbott III p. 1269.
11 Landor’s Cottage, Poe Mabbott III p. 1332.
12 1 Gen. 11-12. I prati del Terzo Giorno, se sono visibili, devono esere di per sé
luminosi, perché le lampade del firmamento non esistono ancora.
13 The sad valley’s restlessness. The Valley of unrest, p. 195.
14 Down the Valley of the Shadow. Eldorado, p. 463.
15 Above it stood the seraphim: each one had six wings; with twain he covered
his face, and with twain he covered his feet, an with twain he did fly. Isaiah 6: 2.
16 Yellow-haired. Eulalie, Poe Mabbott I p. 349. Her yellow hair. Lenore, Poe
Mabbott I p. 337. Innumerable ringlets, now of a vivid yellow. Berenice, Poe Mabbott II p. 215.
17 Universal valley. The Sleeper. Poe Mabbott I p. 179.
18 Altri denti, ma sull’orribile, in Berenice.
Testi
Opere di Edgar Allan Poe
Essays and reviews, New York, The Library of America, 1984. G. R. Thompson wrote the notes and selected the text for this volume.
Collected works of Edgar Allan Poe. Edited by Thomas Ollive Mabbott with the assistance of Eleanor D. Kewer and Maureen C. Mabbott. Cambridge, Mass., The Belknap Press of Harvard University Press, 1978. Volumi I, II, III. Nel volume II, a p. 392-417,è The Fall of the House of Usher.
Tutti i racconti, le poesie e le Avventure di Arthur Gordon Pym. Introduzione di Tommaso Pisanti. Traduzioni di Daniela Palladini, Elisabetta Donfrancesco, Enzo Giachino, Tommaso Pisanti, Riccardo Reim. Roma, Newton Compton, 1992.
“L’ultimo valzer di Weber”
Waltz by Carl Maria von Weber (his last Composition).
In Nüske, J. A. : The three celebrate waltzes of Mozart; Beethoven & Weber, arranged for the spanish guitar, London, A Betts, s. d. Datato [1830?] nel British Library Catalogue of Printed Music, dove comunque Nüske appare con opere del 1827 e del 1835. Nel catalogo della musica a stampa della British Library vedo anche, quanto all’ Ultimo Valzer di Weber, partiture per arpa sola, arpa e pianoforte, violino e pianoforte, pianoforte solo, fra le quali una di Nüske del 1827.
“Weber a passé pour un élégiaque dont la Dernière Penseé a incarné, plus encore que le Freischütz, l’âme pathétique. Or, cette Dernière Penseé si célèbre, dont le rôle dans la littérature universelle a été si grand (voir Poë et la Chute de la Maison Usher) n’est pas à lui…” Cosí Coeuroy p. 33. L’autore è infatti Karl Gottlieb Reissiger. Gran quantità di edizioni sotto diversi nomi come Weber’s Letzter Gedanke, Dernière Pensée Musicale, Last Idea, Last Waltz sono citate in Jänhs IV, p. 104.
Altre opere
Béranger, Pierre-Jean de: Le Refus, in Oeuvres complètes, Paris, Perrotin, 1857.
Coeuroy, André: Weber. Paris, Alcan, 1925.
Dell’Ara, Mario: Manuale di storia della chitarra, vol. I, Ancona, Berben, 1988.
Goethe, Johann Wolfgang: Zur Farbenlehre, herausgegeben von Manfred Wenzel, in Sämtliche Werke, 23/1, Deutscher Klassiker Verlag, 1991. Là riferisce delle “radiazioni invisibili”: Hart über dem Violett… auch unter dem Rot… sogenannte unsichtbare Strahlen. (p. 994-995 e 1004 corsivo mio).
Jähns, Friedrich Wilhelm: Carl Maria von Weber in seinen Werken, Berlin, 1871.
Weber, Carl Maria von: Lieder zur Gitarre. Ausgewählt, eingeleitet und herausgegeben von Ludwig Karl Mayer. München, Dreimasken Verlag, 1921.
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