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 Anno IV n° 11 NOVEMBRE 2008    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Prosegue la "lezione di economia"
La crisi mondiale: cosa fare adesso?
Quali possono essere le scelte e quali invece devono essere lasciate perdere? Quale innovazione serve? Quale il ruolo dello Stato?
Di Giovanni Gelmini


Nell’articolo pubblicato sul numero precedente si parlava di tecnologia pervasiva e in grado di elevare in modo notevole la produttività e quindi in grado di espandere il sistema economico.

Ma una domanda tutti si pongono: sarà la prossima tecnologia?
Fammi mago e te lo dirò!

Se è impossibile fare previsioni attendibili, perché troppi sono i fattori che entrano in gioco, possiamo però fare alcune osservazioni sul passato e da queste trarne insegnamento.

I cicli lunghi del passato si sono basati essenzialmente sull’aumento di disponibilità di energia o su materiali che hanno cambiato profondamente il modo di produrre. Due le caratteristiche di questi fattori produttivi: il basso costo e l’apparente disponibilità infinita: carbone,vapore, elettricità, acciaio, petrolio, materie plastiche.

Oggi, nell’ambito di nuovi materiali, abbiamo lo sviluppo delle nano tecnologie e dei prodotti biotec, ma questi saranno in grado di essere pervasivi? Mi posso sbagliare, ma credo che non siano così facili da applicare; il loro costo, anche pensando a sviluppi massicci, non è “basso”, perché usano metodologie complesse e delicate; certo che è possibile, che in quella enorme sacca di applicazioni di queste grandi classi tecnologiche, puossaapparire un prodotto, che risponda alle caratteristiche di ampia applicabilità: ne abbiamo già esempi di prodotti che cambiano il modo d’uso di cose tradizionali, come le batterie elettriche ad alta capacità, ma non è con le batterie che risolviamo i problemi dell’economia.

Molto interessante appare invece il settore energia, perché è sempre stato alla base dello sviluppo dell’economia: per avere sviluppo abbiamo la necessità di energia a basso costo. Le fonti di energia di tipo tradizionale mostrano ormai gravi limiti: la diminuzione della loro disponibilità, l’inquinamento da loro prodotto diventato ormai inaccettabile e per ultimo ricordiamo che oggi petrolio e nucleare sono disponibili in pochi paesi, i quali vengono a controllare il mercato anche in casa nostra e essendo diventati meno disponibili, possono essere soggetti alla speculazione finanziaria: è evidente che non hanno più le caratteristiche per supportare uno sviluppo ampio dell’economia.

Questo è oggi una delle cause della crisi: l’energia deve essere ampiamente disponibile, a basso costo, e quindi fuori da controlli oligopolistici, cosa che non avviene per il petrolio, ma ancora meno per il nucleare.

Allora è evidente che si deve investire nelle fonti di energia rinnovabili o con disponibilità locale.
Ha ragione la Polonia che chiede deroghe per poter usare il carbone delle sue miniere, ma quello è un caso particolare ed unico in Europa; noi non possiamo certo basarci sul carbone del Sulcis o, in modo irrazionale, pensare di importare carbone dalla Polonia.

Se vogliamo tornare a essere un paese economicamente vivace, per prima cosa, dobbiamo rivedere profondamente il nostro sistema energetico.
Tre sono le nostre risorse energetiche disponibili: sole, acqua, e geotermia. Su queste dobbiamo investire e non su altro. Abbiamo anche un quarto ambito di investimento che può produrre importanti effetti a brevissimo tempo: il risparmio energetico.

Siamo un paese molto sprecone; se l’industria ha investito fortemente sul risparmio energetico, non è così per il commercio e servizi e per le famiglie: casa e mobilità sono dei voraci consumatori di energia; se solo investissimo per arrivare al livello di Francia e Germania, indurremmo un significativo rilancio dell’economia.
Non possiamo dimenticare, inoltre, che abbiamo troppe centrali elettriche a bassa efficienza e un eccessivo ricorso al trasferimento dell’elettricità da luoghi lontani: anche questo consuma e abbassa l’efficienza.
La produzione deve essere di regola fatta in zone vicine al suo consumo, magari non con mega-centrali, ma con centrali piccole e diffuse sul territorio.

Prima di chiudere il discorso energia voglio rispondere ad una domanda: è un investimento utile quello di centrali nucleari oggi?

La risposta è facilmente deducibile dai ragionamenti fin qui fatti.
Le tecnologie oggi disponibili sono in fase di superamento; si tratta di miglioramenti di quelle all’epoca di costruzione delle centrali nucleari di parecchi decenni fa: oggi una centrale nucleare non è un investimento in tecnologie innovative.
Il nucleare non è in grado di fornire una quota importante di energia, dove il nucleare è molto diffuso si arriva a 20-25 % del fabbisogno di energia.
Non disponiamo di uranio, che, per l’uso energetico, è un prodotto meno disponibile del petrolio; inoltre pochissimi sono i paesi che possono fornirlo, per cui l’uso del nucleare ci rende strategicamente più deboli e succubi a possibili ricatti.

A questo si deve aggiungere che ancora oggi nessuno ha risolto in modo definitivo il gravissimo problema delle scorie.

Il primo investimento che dovremmo fare oggi è nel risparmio energetico e nel riciclo dei materiali, perché anche per la loro produzione si consuma energia, e sostanzialmete nell’abbandono della filosofia “usa e getta”.

Qualcuno mi ha chiesto: “Si ma cosa fare allora?”.

Ancora una volta è difficile dare una risposta, perché troppi sono i fattori in gioco e nessuno ha la sfera di cristallo in mano. La prima cosa da fare è cercare di correggere gli “errori strutturali” presenti.

Nel nostro sistema si devono per prima cosa superare le inefficienze.
Abbiamo già parlato dell’inefficienza del sistema pubblico, ben nota e di difficile soluzione; per l’impresa privata la cosa forse è più semplice.
Se abbiamo carrozzoni che sono legati alla politica e perchò in modo parassitario ci campano, ma abbiamo anche un gradissimo numero di imprese che con la “politica” hanno poco a che fare e che generalmente subiscono più danni che vantaggi dall’attuale sistema.

Molti imprenditori però, a causa principalmente delle piccole dimensioni aziendali, non riescono ad avere una visione ampia e complessiva delle realtà, troppo spesso si basano sulle intuizioni dell’amico/collega o dei consigli del commercialista o del direttore di banca.

Quale è stato il difetto di questi imprenditori?
Uno principalmente: aver sottratto capitali alle proprie imprese per buttarli nella finanza creativa. A questo punto è chiaro che quello non è stato un buon investimento.

Gli imprenditori, che hanno investito migliorando i processi ed i prodotti della loro impresa, soffriranno la crisi, ma ne usciranno più forti; quelli che hanno sottratto capitali per investirli nel mattone o peggio nella finanza creativa avranno grossi problemi. Per loro oggi è sinceramente difficile sopravvivere.

Non è solo questione di riportare i capitali nell’impresa, ma la verità è che un’impresa è un insieme di fattori di cui il capitale è si importante, ma non è quello che fa il successo: il successo lo fanno gli uomini dell’impresa.
Quelle imprese che andranno in crisi sono, probabilmente, quelle che hanno anche usato il sistema della rapida rotazione del personale, grazie alla flessibilità, per ridurre i costi e che non dispongono di addetti capaci di gestire l’innovazione.
Quindi, anche se oggi possono contare sul capitale finanziario “della famiglia” che rientra, non sono capaci di investire in modo produttivo e soffriranno moltissimo; poche sopravvivranno.

Il quadro appare drammatico, ma questo è un passaggio necessario, Si tratta di un sistema, seppure oneroso e a volte tragico, che elimina gli incapaci dalla gestione delle imprese, un modo di riportare all’efficienza il sistema produttivo, che è l’unico che può produrre il benessere economico, di altri enti è il compito curare l’esistenza di altri elementi, quali la sicurezza sociale, lo sviluppo della cultura, ecc... per avere il vero benessere complessivo.

È evidente però che questi fatti si traducono in forte calo della domanda con un effetto domino e in drammi per le famiglie dei lavoratori coinvolti.
È chiaro che dallo Stato ci si attendano degli interventi di sostegno, ma questi non possono utilizzare tutte le risorse disponibili, perché è assolutamente necessario sostenere gli investimenti, in modo da rilanciare l’occupazione.
Come risolvere questa dicotomia? Da una parte è necessario garantire un reddito minimo alle famiglie ed evitare il disastro sociale e si deve sostenere la domanda per ridurre il “vedere nero sul futuro” che congela gli investitori, ma i soldi produttivi sono quelli messi negli investimenti, Keynes per questo ritiene che possa servire anche il debito pubblico. Purtroppo noi lo abbiamo usato in passato per sostenere la spesa corrente e quindi ci troviamo con meno risorse per far fronte all’azione anticongiunturale. Una sola sembra la via possibile, ridurre gli spechi della pubblica amministrazione e renderla efficiente.

Una cosa da non fare è sostenere le imprese decotte; meglio che falliscano. Invece si devono destinare risorse agli ammortizzatori sociali. Assolutamente lo Stato non deve entrare in imprese, come è stato fatto per tutto il ‘900 solo per garantire l’occupazione.

Una delle cose che risultano difficili per chi governa, di sinistra o di desta che sia, è districarsi tra i “cattivi consiglieri”. Tra i primi “cattivi consiglieri” possiamo annoverare le rappresentanze sociali, sindacati degli imprenditori e dei lavoratori. Queste, per loro natura, rappresentano lo status quo e se sentono e comprendono l’esigenza di cambiare, di dare uno scrollo al marciume esistente, non possono proporlo perché alla fine rappresentano solo gli associati, cioè il “vecchio” che sta soffrendo perché è ormai vicino alla estromissione dal mercato. Di conseguenza le loro richieste troppo spesso sono rivolte a “lenimenti” per un male incurabile anziché a interventi chirurgici dolorosi, ma risolutivi.

Uno dei punti fondamentali, abbiamo detto, è investire, questo deve essere l’imperativo del momento, ma sappiamo che lo Stato non sa investire e alla fine i suoi investimenti saranno improduttivi, perché legati al clientelismo e realizzati in modo lento. Due a questo punto sono le via che si possono intraprendere.

La prima cosa quindi è di aumentare l’efficacia dell’investimento statale classico, quello delle infrastrutture, riducendo i tempi di realizzazione delle opere.

È perfettamente inutile che vengano messi a bilancio miliardi di euro che poi non vengono spesi; sarebbe sufficiente riuscire a spende i fondi, già stanziati, in tempi ragionevoli: basta pensare che l’ammodernamento Salerno - Reggio Calabria e della “variante di valico” dell’autostrada Bologna Firenze, sono stati fatti partire da Di Pietro nel lontano 1995, ma ancora i cantieri sono aperti e gli investimenti non sono produttivi.
Per ovviare a questo si deve per prima cosa ridurre i blocchi ai progetti dovuti ai contenziosi economici, ricorsi che bloccano l’esecutività dei progetti, altro intervento è procedere alla valutazione di impatto ambientate fin dai primi passi del progetto: inutile fare progetti che saranno bocciati poi.

Altro tipo di intervento di sostengo e rilancio che può sviluppare lo Stato è il sostegno agli investimenti delle aziende senza intervenenti diretti; una via è appoggiare gli enti che si occupano del trasferimento tecnologico facendosi carico di parte dei loro costi, ma non a pioggia, bensì solo aiutando le attività di trasferimento tecnologico che abbiano una precisa richiesta da parte di una o più imprese.
Sotto l’aspetto finanziario è possibile intervenire per incentivare gli investimenti innovativi attraverso una legge già esistente, la “Sabbatini”, ma nelle graduatorie si deve dare una pesante valutazione alla qualità dell’investimento.

Per il resto lasciamo le scelta al libero mercato, perché è l’unico modo per gestire in modo efficace la realtà imprenditoriale.



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