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Adriana Libretti presenta il suo primo romanzo

UN DOLORE SENZA FISSA DIMORA


Di Adriana Libretti


Ed ecco avanzare novembre a larghi passi…

Per questo numero chiedo un permesso speciale: quello di presentare il mio nuovo libro. So che non dovrebbe essere l’autore a farlo, ma ogni tanto è lecito trasgredire! Allora, nel segno della totale trasgressione mi do il permesso da sola e comincio.

Cari lettori di Magazine, cercherò di descrivere, sinteticamente, il percorso che mi ha portato alla costruzione del romanzo in questione, il mio primo. Il libro s’intitola “Un dolore senza fissa dimora”, ma nelle precedenti stesure s’intitolava “I corpi della voce”, e prima ancora “Isole”.

Ci ho lavorato per anni, mi è capitato di doverlo lasciare fermo per mesi perché ne perdevo la visione complessiva, mi è successo di detestarlo, di amarlo, di provare a ignorarlo. Il tragitto tortuoso e accidentato che ho scelto di affrontare, è nato in seguito al suggerimento datomi da un caro amico, che, dopo avere letto il racconto che ho pubblicato nel 1994 sulla rivista letteraria “Nuova Prosa” mi ha più o meno detto: “…Mi ha colpito molto, Adriana: perché non provi a svilupparlo?”.

Così, quasi per caso, come spesso nella vita accade, ho riacciuffato i fili di quell’ordito, ai quali, però, non aderivo più, ragno fuori misura e ormai randagio, orfano della vetusta culla-ragnatela. Dovevo fabbricarne una nuova, cristallina e al tempo stesso vischiosa, dalla forma a raggiera eppure asimmetrica, alla quale poter aderire senza paura di cadere, sulla quale potermi avventurare con agilità, anche con una zampetta sola.

Prima di mettermi al lavoro, lo confesso anche se è una cosa piuttosto privata, ho ballato. Mi sono concessa uno scuotimento non solo interiore, quasi dovessi, dalle emozioni legate a quella storia, estrarre un cocktail alcolico, un distillato puro del sentire. La prima stesura (non so dire quante ce ne sono state in seguito) è stata fatta di getto. La voce narrante era in prima persona, l’azione si svolgeva al presente. Una scrittura sincera, senza dubbio senza mediazioni. Come d’abitudine faccio, per avere un riscontro l’ho data in lettura a una persona competente. La sua reazione è stata: “Non si capisce niente”. “Come?!” – ho pensato - “E’ tutto così chiaro!”. Insomma, ciò che mi appariva evidente risultava agli altri caotico.

E qui hanno cominciato a dipanarsi in me, uno dietro l’altro, mille ripensamenti. A tavolino, in bicicletta, ovunque. Non pensavo che al romanzo. La prima persona non andava bene, non funzionava, rendeva poco leggibili le sfasature temporali, da cui la vicenda narrata non poteva prescindere. La trama non esisteva, era ancora tutta da inventare! C’erano le emozioni, ma troppe, e per di più come raggelate, come provenienti da un pianeta lontano. Riprendere in mano una storia vecchia mi dava un mucchio di problemi. Non volevo più saperne, di quella storia, di quell’atmosfera torbida. Chi me lo faceva fare? Poi, piano piano, la vicenda ha trovato da sé imprevedibili sbocchi. La scrittura quotidiana è diventata una necessità: non avrei più dovuto ballare da sola. All’improvviso si sono fatti avanti dei personaggi nuovi per invitarmi a ballare in loro compagnia; li ho incontrati in albergo, a Palermo, a Milazzo, a Genova; durante il mio nuovo viaggio letterario. Un breve, intenso viaggio in Sicilia.

“Un dolore senza fissa dimora”, è adesso storia in cui passato e presente s’intrecciano e si sovrappongono, ma soprattutto è storia del perduto amore paterno. La protagonista ha trovato un nome: Angela. Una donna del nord educata alla misura; una sorta di angelo, forse, angelo di una finzione di cui non vorrà mai più essere schiava.


Adriana Librett, “Un dolore senza fissa dimora”, Atì Editore, ottobre 2008- www.atieditore.it)
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Argomenti:   #libro ,        #recensione ,        #romanzo



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