REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno IV n° 12 DICEMBRE 2008 TERZA PAGINA


La bellezza e l’opera di Canova
Scritto per “CANOVA L’ideale classico tra scultura e pittura” Forlì, Musei San Domenico 25 gennaio – 21 giugno 2009
Di Antonio Paolucci



Quando vide a Londra i marmi del Partenone portativi da lord Elgin, così Antonio Canova li commentò: “ammiro in essi la verità della natura congiunta alla scelta delle forme belle. Tutto qui spira vita con una evidenza con un artifizio squisito … i nudi sono vera bellissima carne …”. E ancora, sullo stesso argomento, scrivendone all’amico Quatremère de Quincy: “…le opere di Fidia sono una vera carne, cioè la bella natura …”.

 

  Antonio Canova: Venere italica, Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina

In queste parole è presente in sintesi l’idea di arte che accompagnò, per poco meno di mezzo secolo, la vita e l’opera dello scultore. Prima che negli archetipi consegnatici dalla storia, prima che nei venerabili modelli degli antichi, le ragioni dell’arte stanno nella “bella natura” perché – è ancora Canova a parlare – “sempre sono stati gli uomini composti di carne flessibile, e non di bronzo”.

Bella natura è lo splendore di un giovane corpo femminile, è la sensazione di immortalità che la giovinezza ci consegna per un attimo; bella natura sono i sentimenti di amore, di tenerezza, di mestizia che attraversano i pensieri e le azioni degli uomini.
Bella natura è il mito che si fa carne e diventa accessibile ai sogni e ai desideri di ognuno. Nessuno ha saputo capire questo aspetto dell’arte di Canova meglio di Ugo Foscolo il quale, di fronte alla Venere italica inaugurata a Firenze nel Maggio del 1812 in sostituzione della Venere dei Medici portata a Parigi da Napoleone, scrisse: “Io ho dunque visitata e rivisitata, e amoreggiata e baciata, e – ma che nessuno il sappia – ho anche una volta accarezzata questa Venere nuova … Canova abbellì la sua nuova dea di tutte quelle grazie che ispirano un non so che di tenero ma che muovono più facilmente il cuore … Insomma se la Venere dei Medici è bellissima Dea, questo che io guardo è bellissima donna; l’una mi faceva sperare il paradiso fuori di questo mondo e questa mi lusinga del Paradiso in questa valle di lacrime …”.

 
 Antonio Canova: Ebe (particolare), 1816 - 1817
Di fronte ai seni dolcemente modellati della Ebe di Forlì, giovinezza gloriosa e teneramente coinvolgente, di fronte alla Danzatrice di San Pietroburgo, di fronte al sontuoso splendore della Venere italica, noi sappiamo che Ugo Foscolo aveva ragione.

Come Raffaello, tre secoli prima, Canova regalò al mondo la consolazione della Bellezza. I grandi della terra lo capirono e gli dimostrarono immensa gratitudine. Nei tempi drammatici e calamitosi che videro la fine dell’Antico Regime, la Rivoluzione, l’Impero, le atroci guerre napoleoniche e la Restaurazione, Antonio Canova fu per tutti lo scultore, senza altre specificazioni. Lo fu per i papi di Roma come per Napoleone, per i parenti, per le donne, per i marescialli dell’ Imperatore; lo fu per i milords inglesi come per i granduchi russi, per l’autocrazia degli zar come per la democrazia virtuosa d’America.

Quando Canova morì fu a tutti chiaro che l’equiparazione con Raffaello era l’unica necessaria e che mai più, sotto il cielo, sarebbe apparsa una incarnazione altrettanto alta della “bella natura”.

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