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 Anno IV n° 12 DICEMBRE 2008    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi



Il basket vittima della globalizzazione
Troppi stranieri, ma anche vivai giovanili troppo esigui, penalizzano questo sport. Così i bilanci delle società vanno in rosso
Di Silvano Filippini



Ormai gli stranieri hanno invaso lo sport professionistico mondiale, cancellando così ogni identità delle squadre in cui giocano. A parte qualche caso sporadico, sono scomparsi anche gli atleti “bandiera”.

Se il problema non si è mai posto per gli sport professionistici americani, che possono sempre contare sull’enorme vivaio scolastico, in Europa la globalizzazione ha creato uno sconquasso nei settori giovanili e, di conseguenza, nelle rappresentative nazionali; soprattutto in Italia, che non può assolutamente fare affidamento sulla scuola per reclutare le speranze di domani, ma deve affidarsi alla buona volontà delle piccole società. Infatti dopo l’avvento del professionismo, che dal calcio si è esteso alle altre discipline sportive, e dopo l’introduzione della legge Bosmann, i grandi club hanno abbandonato o ridimensionato i propri settori giovanili per evitare di farsi “soffiare” i migliori elementi dopo aver speso tempo e denaro per “costruirli”. Insomma, è più facile comprare il prodotto finito sul mercato internazionale.
E’ vero che è stata introdotta l’indennità per le società che hanno contribuito alla costruzione dei giovani atleti, tuttavia troppi talenti prodotti valgono molto di più di questi parametri.

Dopo il Calcio europeo (un autentico mercato sempre aperto), che ha modificato i club trasformandoli in un accozzaglia di atleti provenienti da ogni parte del mondo e che ha dilapidato i vivai africani e sudamericani, anche il Basket ha da tempo intrapreso la via dello straniero. Non dico di tornare ai tempi di ostracismo degli anni sessanta, durante i quali nella serie A italiana era possibile tesserare un solo straniero (con l’eccezione di due in campo europeo), ma un limite serio dovrebbe essere introdotto. Sia per garantire un posto ai migliori atleti italiani, sia per far crescere la nazionale!

Dopo anni di lotte tra Federazione, Lega e Associazione giocatori italiani sulle quote degli stranieri, si è giunti quest’anno alle dimissioni complete del consiglio federale, messo con le spalle al muro da una lega di serie A sempre più arrogante. Fatto sta che tra extracomunitari, comunitari ed oriundi il campionato italiano di basket sembra essere divenuto un’appendice dell’NBA, con il non trascurabile particolare di possedere un livello di tecnica e spettacolarità decisamente inferiore. Del resto l’appassionato competente preferisce guardarsi il campionato NBA alla TV satellitare, piuttosto che assistere ad uno spettacolo in tono minore made in italy. Per contro, il numero assai esiguo di giocatori italiani presenti nelle squadre non attira le masse di tifosi che preferiscono incitare le proprie “bandiere” piuttosto che emeriti sconosciuti legati persino da contratti pro tempore.
Oltretutto, la corsa sfrenata allo straniero ha generato numerosi fallimenti negli ultimi anni. I più recenti riguardano l’esclusione di Napoli e Capo d’Orlando (due piazze di grande tradizione), ree di non aver ottemperato ai versamenti obbligatori per i loro atleti.

Da più parti gli esperti concordano sul fatto che in Italia ci sono troppe società professionistiche rispetto al movimento generato dal basso. Ciò porta a generare un buco spaventoso per via degli sperperi legati agli stipendi fagocitati da questi moderni “capitani di ventura” dello sport. E’ vera l’obiezione avanzata dalla Lega per cui per il numero attuale di club professionistici (34) non ci sono giocatori italiani di livello sufficienti. Allora perché non ridurre le squadre e aumentare i posti per gli italiani in ogni squadra, piuttosto che ingaggiare stranieri mediocri? Del resto se,dopo aver conquistato la medaglia d’argento alle olimpiadi di Atene, la nazionale italiana non si è qualificata né alle olimpiadi, né agli europei, un motivo ci sarà!

Forse varrebbe la pena concedere la completa autonomia alla Lega e affidare alla FIP lo svolgimento degli altri campionati giocati da italiani: a cominciare dalla serie B, per la quale l’unica novità di quest’anno è il cambio di denominazione: Serie A dilettanti. Se, anziché limitarsi al cambio di etichetta, fosse stata trasformata in una vetrina per i giovani emergenti “under 22” sull’esempio della NCAA statunitense, il fatto di essere la più alta categoria del dilettantismo italiano avrebbe avuto un senso. Magari per parcheggiarvi, a fare esperienza, i giovani più interessanti della società di serie A. Esattamente come avviene nella pallavolo, dove alcune società posseggono anche la squadra in serie B dove coltivare le riserve. Molti anni or sono, durante uno stage per allenatori, avevo già evidenziato l’anomalia del basket nostrano che “vieta” alle società di possedere più di una compagine nei campionati nazionali. Ma allora non esisteva il professionismo. Ora che serie A e Legadue posseggono da anni il contratto professionistico, il progetto è fattibile.

Speriamo che il nuovo presidente federale (si parla del mitico Dino Meneghin) prenda finalmente in considerazione tale possibilità, adatta a responsabilizzare maggiormente i giovani talenti che poi potranno accedere con maggior bagaglio tecnico e di esperienza tra i professionisti e nella rappresentativa nazionale.

D’altra parte anche la pallavolo italiana in tempi recenti ha fatto marcia indietro sugli stranieri, limando il limite di atleti provenienti dall’estero. E pensare che rispetto al basket ne avevano meno della metà. In questo caso la Lega di serie A ha agito meglio della FIPAV, delegittimandola.

Anche il calcio europeo proprio in questi giorni ha iniziato un percorso di riflessione sugli stranieri. Infatti Platinì e Blatter sono riusciti a convincere l’Unione Europea che lo sport fa eccezione rispetto agli altri lavoratori e pertanto la libera circolazione degli stranieri all’interno dell’U.E. può essere limitata per favorire l’innesto di giocatori locali. Sarà la volta buona per non vedere più l’Inter scendere in campo con soli atleti stranieri o per evitare rappresentative nazionali di Baseball, Rugby e Hokey rimpolpate da oriundi, che spesso non conoscono neppure la lingua italiana?
La prossima tappa sarà l’armonizzazione fiscale tra i 27 paesi dell’unione; almeno sugli stipendi degli sportivi professionisti!



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