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La bellezza e l’opera di Canova Scritto per “CANOVA L’ideale classico tra scultura e pittura” Forlì, Musei San Domenico 25 gennaio – 21 giugno 2009 Di Antonio Paolucci
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Quando vide a Londra i marmi del Partenone portativi da lord Elgin, così Antonio Canova li commentò: “ammiro in essi la verità della natura congiunta alla scelta delle forme belle. Tutto qui spira vita con una evidenza con un artifizio squisito … i nudi sono vera bellissima carne …”. E ancora, sullo stesso argomento, scrivendone all’amico Quatremère de Quincy: “…le opere di Fidia sono una vera carne, cioè la bella natura …”.
Bella natura è lo splendore di un giovane corpo femminile, è la sensazione di immortalità che la giovinezza ci consegna per un attimo; bella natura sono i sentimenti di amore, di tenerezza, di mestizia che attraversano i pensieri e le azioni degli uomini. Bella natura è il mito che si fa carne e diventa accessibile ai sogni e ai desideri di ognuno. Nessuno ha saputo capire questo aspetto dell’arte di Canova meglio di Ugo Foscolo il quale, di fronte alla Venere italica inaugurata a Firenze nel Maggio del 1812 in sostituzione della Venere dei Medici portata a Parigi da Napoleone, scrisse: “Io ho dunque visitata e rivisitata, e amoreggiata e baciata, e – ma che nessuno il sappia – ho anche una volta accarezzata questa Venere nuova … Canova abbellì la sua nuova dea di tutte quelle grazie che ispirano un non so che di tenero ma che muovono più facilmente il cuore … Insomma se la Venere dei Medici è bellissima Dea, questo che io guardo è bellissima donna; l’una mi faceva sperare il paradiso fuori di questo mondo e questa mi lusinga del Paradiso in questa valle di lacrime …”.
Come Raffaello, tre secoli prima, Canova regalò al mondo la consolazione della Bellezza. I grandi della terra lo capirono e gli dimostrarono immensa gratitudine. Nei tempi drammatici e calamitosi che videro la fine dell’Antico Regime, la Rivoluzione, l’Impero, le atroci guerre napoleoniche e la Restaurazione, Antonio Canova fu per tutti lo scultore, senza altre specificazioni. Lo fu per i papi di Roma come per Napoleone, per i parenti, per le donne, per i marescialli dell’ Imperatore; lo fu per i milords inglesi come per i granduchi russi, per l’autocrazia degli zar come per la democrazia virtuosa d’America. Quando Canova morì fu a tutti chiaro che l’equiparazione con Raffaello era l’unica necessaria e che mai più, sotto il cielo, sarebbe apparsa una incarnazione altrettanto alta della “bella natura”. Argomenti: #arte , #canova , #scultura Leggi tutti gli articoli di Antonio Paolucci (n° articoli 1) |
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