REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N 8 |
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Anno V n° 1 GENNAIO 2009 - EVENTI Mostra antologica |
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Fino ad oggi il tema dell’Art Déco indagato è presentato al grande pubblico prevalentemente per gli aspetti connessi alle arti decorative, agli interni e all’architettura. Solo di recente si è cercato di verificare anche nelle altri arti le possibili consonanze con il gusto déco.
La critica aveva potuto cogliere un possibile avvio della stagione dell’Art Déco nell’Exposition Internationale Arts Décoratifs et Industriels des Modernes, che si era tenuta a Parigi nel 1925, sottolineando, quindi, un primato della Francia. Anche l’Italia partecipa, con una posizione affatto originale, all’affermarsi di tale gusto: non possiamo dimenticare che a partire dal 1923 si tengono a Monza mostre biennali di arti decorative seppure ancora legate all’idea di un artigianato regionale. La mostra, articolata in undici sezioni, intende documentare lo svolgersi in Italia di questa temperie artistica che dal decorativismo, derivato ancora dall’esperienza liberty di Galileo Chini, di Umberto Brunellechi o di Duilio Cambellotti, passa ad utilizzare le idee formali del Futurismo come dimostrano le opere di Giacomo Balla, di Fortunato Depero, di Diulgheroff, di Fillia. E’ quindi vero che nel Déco in Italia possiamo trovare ad un tempo sollecitazioni classiciste e rappresentazioni del mondo meccanico, attenzione alla sinuosità. offerta dai ritmi della danza. e ancora la modellazione plastica degli sports. Rientrano, quindi, a pieno titolo in una declinazione di questo gusto anche le opere di Mario Sironi, Achille Funi, Ubaldo Oppi, Gino Severini, Felice Casorati.
La mostra si articola in 11 sezioni così intitolate: Inflessioni decorative del Déco; Verso nuove sintesi; Orizzonti esotici; Vittorio Zecchin e Murano: Déco tra vetri e dipinti; Divagazioni futuriste; Geometrie del Futurismo; La severità del Déco; Il sogno dell’antico; Giò Ponti: intorno alla Richard-Ginori; Déco scolpito; Il Déco nella grafica. DÉCO. Arte in Italia 1919–1939 Rovigo, Palazzo Roverella, dal 31 gennaio al 28 giugno 2009. Mostra promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo in collaborazione con Accademia dei Concordi e Comune di Rovigo. A cura di Dario Matteoni e Francesca Cagianelli; direzione della mostra: Alessia Vedova. Catalogo: Silvana Editoriale Per informazioni: Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo Tel 049.8761855 - Fax 049.657335 info@fondazionecariparo.it Le sezioni ed i contenuti della Mostra
Déco: un grande crogiolo di idee, sollecitazioni, spunti, un momento della storia dell’arte davvero affascinante e che in Italia non è ancora stato del tutto indagato.
La prima sezione dedicata alle Inflessioni decorative intende quindi ricostruire, attraverso una suggestiva selezione di opere di Galileo Chini, Giulio Aristide Sartorio, Alberto Martini, Elisabeth Chaplin, quel significativo trapasso tra la sovrabbondante contorsione dei motivi floreali e l’eleganza sintetica di un più moderno linearismo.
Nell’ambito della terza sezione, che spazia verso gli Orizzonti esotici del déco, si dipana per la prima volta in questa mostra un ampio percorso verso l’Oriente déco, entro il quale artisti, quali il futurista Thayaht, esprimono una sensibilità moderna pervasa di tensioni primordiali e insieme di timbri cromatici internazionali che omaggiano gli esiti delle avanguardie europee, in omaggio al loro capostipite Gauguin. D’altra parte l’Africa evoca scenari altrettanto promettenti per uno dei maestri dell’artigianato déco, quel Depero che sull’onda del magistero di Clavel, e nell’infatuazione per la moda dei Balletti Russi, strappa alle foreste tropicali la sua fauna fantastica e alle architetture d’Egitto la loro prismatica inattingibilità. Ci sarà invece chi prefererirà volgersi verso un Oriente fantastico, che fonde mode aristocratiche, bizzarrie cromatiche e stilismi decorativi nel fasto di una Venezia ricondotta a Bisanzio, dietro la suggestione delle Fetes galantes di Verlaine e sulle note dei Balletti Russi di Diaghilev: è il caso di Umberto Brunelleschi, che nei suoi inarrivabili pochoirs tragitta le esuberanze floreali del liberty verso la snella moda del déco. Sul tragitto da Venezia a Bisanzio ci si imbatte nel rarefatto e lussureggiante universo esotico di uno dei maggiori interpreti del gusto bizantineggiante in Italia, Vittorio Zecchin, le cui enigmatiche creature femminili incedono maestosamente in boschi favolosi, ammantate di drappi sfarzosi che riecheggiano analoghi motivi decorativi intarsiati finemente sulle seriche superfici di arazzi e ricami, come testimonia la quarta sezione, dedicata a Vittorio Zecchin e la Murano déco tra vetri e dipinti. Intorno alla ricerca di una semplificazione geometrica si radunano gli sforzi futuristi, in alcuni casi con esiti non programmatici, ma semplicemente come riflessione sulle possibilità espressive scaturite dai nuovi ritmi dinamici, come attesta la quinta sezione dal titolo Divagazioni futuriste; riguardo ai casi di più sistematica concentrazione sul dettato teorico futurista la sesta sezione, dedicata alle Geometrie del Futurismo, propone un itinerario da Balla a Prampolini, da Fillia a Djulgheroff, fino al geometrismo estremo di Depero. Con la settima sezione, rivolta a delineare La severità del déco, si accede alle più calibrate ed austere zone linguistiche di un Novecento sensibile alla tradizione classica, dove Felice Casorati adombra soluzioni metafisiche, Mario Sironi prospetta esiti monumentali e Massimo Campigli occhieggia alle sintesi più primordiali, risolte in un gioco di sempre più sconcertanti incastri geometrici.
Si approda così all’ottava sezione della mostra, Il sogno dell’antico, ideale prosecuzione della precedente, in quanto l’ambizione di un dialogo con la tradizione finisce stavolta col sollecitare gli artisti ad una immersione profonda perfino nell’iconografia più esplicitamente antichizzante di divinità arcaiche ed eroi mitici, resi con non dissimile austerità di evocazione rispetto a ieratiche bagnanti e impenetrabili asceti. Non manca chi, come Ruggero Alfredo Michahelles (RAM), si compiace di fondere le reverie classicheggianti con gli azzardi della moda contemporanea, in una miscela metafisica ad alto quoziente visionario. Complessa e poliedrica personalità di architetto e decoratore, Giò Ponti si erge, durante la sua strabiliante carriera produttiva alla Richard Ginori, ad interprete della classicità nel raro e prezioso terreno del vetro e della ceramica, fondendo in un connubio di eleganza e modernità stilizzatissime silhouettes femminili e sogni di architettura razionalistica. Tra classicità, stilizzazione e ritmi dinamici, conducono la loro frenetica ricerca plastica alcuni dei protagonisti della scultura tra 1920 e 1940, come illustrato nella sezione della mostra dedicata al déco scolpito: dalla semplificazione vibrante di Libero Andreotti all’arcaismo decorativo di Romano Romanelli, fino ai vertici del novecentismo classicheggiante di Arturo Martini e agli spiritualizzati teoremi lineari di Adolfo Wildt. Senza contare colui che all’esposizione monzese del 1923 apparve come l’iniziatore trionfale della modernità: Duilio Cambellotti.
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