REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N 8 |
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Anno V n° 1 GENNAIO 2009 - IL MONDO - cronaca dei nostri tempi Con gli occhi alle stelle |
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Da Novembre 2008, però, a questi tre metodi indiretti, applicabili solo a pianeti grossi e vicini alla loro stella, si è aggiunto anche il metodo fotografico diretto (le tre foto riportate nell’articolo riguardano le tre stelle citate nel testo). Si tratta di qualcosa che fino a pochi mesi prima sembrava ancora impossibile. Non bisogna infatti dimenticare che in ottico qualunque stella ha una luminosità di 1-10 milioni di volte maggiore rispetto a quella di un normale pianeta come Giove. Da qui la necessità di diminuire di 100-1000 volte questo rapporto così sfavorevole riprendendo immagini in infrarosso (una lunghezza d’onda a cui la luminosità della stella diminuisce mentre quella del pianeta aumenta, tanto più quanto più è giovane), di occultare la luce della stella con un coronografo2 e di limitare al massimo la turbolenza atmosferica lavorando nello spazio (come può fare lo Space Telescope) oppure utilizzando i sistemi più evoluti di ottiche attive o adattive3, ormai operative sui massimi strumenti terrestri. Il problema principale era su quale tipo di stelle tentare questa ricerca. La scelta è caduta su stelle molto giovani (in modo che gli eventuali pianeti fossero più brillanti perché ancora in fase di contrazione) e sicuramente circondate da dischi di polvere. Quest’ ultimo punto, molto importante, può essere ormai facilmente indagato per via spettroscopica: è una regola, infatti, che lo spettro delle stelle circondate da polveri presentano un ECCESSO anomalo di emissione infrarossa (si era nel lontano 1983, quando il satellite IRAS scoprì il primo caso di eccesso infrarosso attorno alla stella b Pictoris). Attualmente sono un centinaio le stelle con questa caratteristica spettroscopica. Ma non basta. È ben noto (dallo studio dei satelliti che perturbano gli anelli di Saturno) che la presenza di pianeti può ‘scavare’ dei vuoti in un disco di polvere, ovvero può trasformarlo in anello dai bordi molto ben definiti. Ecco allora che la ricerca ottica di pianeti extrasolari si è primariamente rivolta a quelle stelle che, sia visivamente sia per l’andamento del loro spettro infrarosso, appaiono circondate da anelli di polvere, soprattutto anelli di polvere svuotati di materia dal loro bordo interno fino alla stella centrale. È curioso far notare come uno dei primi pianeti dei quali si sono ottenute immagini dirette sia stato rintracciato attorno alla giovane stella b Pictoris (solo 12 milioni di anni di età, a 70 anni luce di distanza), la prima in assoluto (come abbiamo già ricordato) che diede forti sospetti di essere circondata da materiale proto-planetario. I primi tentativi di fotografare direttamente oggetti planetari attorno a b Pictoris vennero effettuati dal 10 al 17 Novembre 2003 al riflettore VLT Yepun (Cerro Paranal) utilizzando la nuova camera adattiva NACO. Grosse difficoltà nel sottrarre l’alone diffuso della stella bloccarono l’elaborazione dei dati fino alla metà di Novembre ’08, quando un team di ricercatori guidati da A. Lagrange (Università di Grenoble) riuscì ad escogitare un algoritmo capace di eliminare la luce diffusa di b Pictoris (sottrazione elettronica dell’alone di una stella simile, la HR2435). Immediatamente è avvenuto il miracolo: a 8 u.a.4 dalla stella centrale e solo 1000 volte meno luminoso (questo grazie al filtro infrarosso utilizzato), è apparso un corpo con una massa pari a 8 masse gioviane che, trovandosi esattamente sul piano del disco, ha tutte le credenziali per essere considerato un pianeta. Non c’è dubbio, comunque, che la ragione che ha spinto il team di Lagrange a riprendere e completare la ricerca su b Pictoris è stata la pubblicazione sulla rivista Science a metà Novembre ’08 di due articoli in cui veniva ufficializzata la scoperta fotografica di oggetti planetari attorno a due stelle differenti: Fomalhaut (m=1,2 a 25 a.l. 5 nel Pesce Australe) e HR 8799 ( m=6 a 130 a.l.5in Pegaso). Alla fine di Ottobre 2004 Paul Kalas (Astrofisico dell’Università della California che si occupava di Fomalhaut ormai da 15 anni, ossia dai tempi della sua tesi di dottorato) ottenne di puntare su Fomalhaut la camera ACS + coronografo a bordo dello Space Telescope (HST): fu subito chiaro che attorno a Fomalhaut esisteva un disco di materiale protoplanetario esteso da 133 a 200 u.a. dalla stella (35 miliardi di chilometri) e con il bordo interno stranamente denso e compatto. Era curioso anche il fatto che il centro del disco sembrava disassato di 2,25 miliardi di chilometri, rispetto alla posizione della stella: questo significava che il disco non era soggetto solo alla gravità della stella centrale, ma che c’era anche l’influsso di qualche altro oggetto sconosciuto in orbita leggermente ellittica attorno a Fomalhaut. La ricerca del pianeta misterioso iniziò già con le osservazione HST del 2004 che, in realtà, individuarono alcuni candidati sotto forma di certe sorgenti brillanti immerse nella luce diffusa del disco. P. Kalas tornò a puntare HST su Fomalhaut alla metà di Ottobre 2006 e la situazione divenne immediatamente chiara. Gran parte delle macchie brillanti presenti nei fotogrammi del 2004 erano stelle di campo: lo dimostrava il fatto che in 21 mesi la loro posizione non aveva subito il moto parallattico della stella. C’era però un corpo (Fomalhaut b che, rispetto a Fomalhaut, si era spostato in senso antiorario di 1,41 u.a.4 Postulando per l’oggetto una complanarità con l’anello di polvere; se ne ricava una distanza dal bordo interno di quest‘ultimo di 18 u.a.4, una distanza media da Fomalhaut di 120 u.a.4 , un periodo orbitale di 872 anni ed una massa di circa 2 masse gioviane. E che dire del tanto spazio ‘vuoto’ tra il pianeta scoperto e la stella centrale? Sicuramente si tratta di una regione ideale per ospitare altri pianeti in orbita stabile: toccherà ai futuri strumenti ‘cerca-pianeti’, sia da terra che dallo spazio, l’onore di dimostrarne l’esistenza, quindi di rinviarci immagini di un sistema planetario completo. In realtà, però, immagini ottiche di un vero sistema planetario le abbiamo già, grazie ad un lavoro, realizzato da un folto team di ricercatori guidati da C. Marois (NRC Herzberg Institute di Victoria, in Canada) e relativo alla giovane stella HR8799, situata a 140 a.l.5 in Pegaso e 1,5 volte più massiccia del Sole. La ricerca, condotta alle Hawaii nel vicino infrarosso (1,1-4,2 micron), con due strumenti entrambi dotati di ottiche adattive 3 (il Gemini Nord nell’ Ottobre 2007 e il Keck II in Luglio- Settembre 2008) ha portato alla scoperta visuale di ben tre pianeti. I primi due pianeti sono stati individuati il 17 Ottobre 2007 dal Gemini Nord. Successivamente, nell’estate del 2008, il Keck II non solo ne ha dato conferma, ma ha scoperto anche un terzo pianeta. Immagini di paragone che il Keck II aveva ripreso anche a metà luglio 2004 hanno permesso di definire senza equivoci sia la natura planetaria sia i parametri orbitali dei tre pianeti, denominati rispettivamente HR8799b, HR8799c, HR8799d. Le orbite sono circolari, percorse in senso antiorario e con il piano perpendicolare alla linea di vista (una situazione che rende impossibile l’applicazione del metodo delle oscillazioni radiali o dei transiti). I primi due hanno massa di 7 e 10 volte quella di Giove e rivoluzionano in 450 e 200 anni, rispettivamente a 68 e 38 u.a. 4 dalla stella centrale. Il terzo (scoperto dal Keck nel luglio 2008) ha una massa di 10 volte quella di Giove e rivoluziona in 100 anni a 24 u.a 4. di distanza. È interessante far notare che si tratta di pianeti giganti situati a grande distanza dalla stella centrale, con l‘ultimo situato appena all’interno del disco di materiale proto-planetario 6 ed una massa relativa tendenzialmente decrescente con la distanza: una situazione in fondo simile a quella presente nel nostro sistema solare, che non può non far sospettare l’esistenza più interna di pianeti minori, magari di taglia terrestre. Anche se in un recente passato non sono mancati molti falsi allarmi, si può dire che b Pictoris, Fomalhaut e HR8799 sono le prime tre stelle attorno a cui siano stati fotografati veri pianeti extrasolari. È prevedibile che si tratti dell’ennesima punta di un iceberg gigantesco che dovrebbe riservarci, durante il 2009 (Primo anno Internazionale dell’ Astronomia), altre enormi sorprese. Chi è Cesare Guaita? Un chimico che si è occupato di sintesi e di analisi sia a livello di chimica organica che macromolecolare. Voi vi chiederete cosa ha a che fare la sua professione con la ricerca dei pianeti nei sistemi solari: c’è una logica in tutto questo. Guaita è sempre stato un grande appassionato di astronomia in generale e del sistema solare in particolare tant’è che è diventato Presidente del Gruppo Astronomico Tradatese (GAT), un gruppo che grazie soprattutto alla sua passione è oggi un punto di riferimento degli astrofili italiani e non solo. Se l’astronomia era il suo hobby, l’aver collegato le sue basi chimiche allo studio delle possibilità di esistenza di vita nell’Universo e, in particolare, nel sistema solare è stato qualcosa di ineluttabilmente logico, visto l’affascinante mondo della chimica della vita. Considerando le sue innumerevoli conferenze (sono ben oltre 1000 conferenze in 28 anni) in giro per l’Italia e le sue periodiche lezioni al Planetario di Milano, posso ben affermare che sia un vero astronomo che ha fatto il ricercatore chimico per guadagnarsi da vivere. E che sia così lo dimostra un libro, uscito a marzo del 2007 dal titolo “Alla ricerca della vita nel sistema solare”: un’opera divulgativa di grande valore e decisamente molto esauriente, corredata da un migliaio di foto che ti lasciano a bocca aperta, da consigliare a tutti gli appassionati di astronomia (Editore Sirio, distribuito da Hoepli). In questi giorni sta preparando la continuazione del succitato libro, che in un’edizione meno ponderosa della prima potrà attualizzare le ricerche in questo settore. Nonostante i suoi impegni gravosi a causa la stesura di questa nuova opera, grazie all’amicizia che risale agli anni dell’Università e poi è continuata come colleghi presso il Centro Sperimentale della Snia Viscosa, ha accettato di scrivere per Spaziodi Magazine un articolo nel quale troverete notizie e informazioni che di certo nessun quotidiano ha dato con così grande cognizione di causa. GLOSSARIO
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