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Mostra antologica

DÉCO. Arte in Italia 1919 - 1939

Rovigo, Palazzo Roverella dal 31 gennaio al 28 giugno 2009



Dal 31 gennaio 2009 Palazzo Roverella riproporrà il suo annuale appuntamento con le grandi esposizioni d’arte. Il filone sarà, ancora una volta, quello dell’arte in Italia tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento.

Dopo aver, con successo, indagato gli anni della Belle Epoque (1880 – 1915), è la volta del Déco, un termine che indica uno stile, un gusto, che segnò nelle diverse arti il periodo compreso tra i due conflitti mondiali. Déco esprime la ricerca di una modernità che intendeva superare la mera funzionalità delle forme aggiungendo ad esse eleganza e persuasività.

La mostra, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con Accademia dei Concordi e Comune, è curata da Dario Matteoni e Francesca Cagianelli. Direzione della mostra: Alessia Vedova. Resterà aperta sino al 28 giugno 2009.

Il termine Art Déco, o più brevemente Déco, fu coniato negli anni ’60 come ricapitolazione critica condotta dagli storici di uno stile o, più correttamente possiamo dire di un gusto, che aveva segnato nelle diverse arti il periodo compreso tra i due conflitti mondiali. Come sovente accade per la storia dell’arte fu il riconoscimento a-posteriori di temi e di formule figurative, riconducibili ad un comune denominatore. E’ possibile definire il Déco come manifestazione di un gusto non fondato su precise teorizzazioni - in questo si è voluto vedere la discontinuità con l’Art Nouveau - ma assai diffuso in tutte le manifestazioni artistiche rivolte, come si diceva, alla ricerca di una modernità che intendeva superare la mera funzionalità delle forme, aggiungendo ad esse eleganza e persuasività.

 
 Alberto Martini: Ritratto di Wally Toscanini, 1925, pastello, cm 131x204, Roma, Collezione Privata
Possiamo quindi accettare il termine Déco come sinonimo di un’idea di moderno, non di modernista. L’Art Déco, affermatasi negli anni Venti e Trenta e caratterizzata da numerose sfaccettature, si ispira alle geometrie dell’universo della macchina, alle forme prismatiche delle costruzioni metropolitane e a modelli di una classicità altrettanto persuasiva nei propri canoni di eleganza. Il termine Art Déco era facilmente passato dal ristretto mondo degli specialisti al largo pubblico, che rapidamente si è impadronito di questa etichetta evocativa di una moda.

Fino ad oggi il tema dell’Art Déco indagato è presentato al grande pubblico prevalentemente per gli aspetti connessi alle arti decorative, agli interni e all’architettura. Solo di recente si è cercato di verificare anche nelle altri arti le possibili consonanze con il gusto déco.
 

 Fillia: Figura e ambiente o Donna seduta, 1926 – 1927, olio su tela, cm 60 x 57,5

L’intento della mostra, che si aprirà nelle sale del Palazzo Roverella di Rovigo, intende offrire al pubblico un possibile filo di lettura con uno sguardo che privilegia la produzione pittorica (senza tralasciare la scultura cui è dedicata una sezione) nell’assunto che un filo di coerenza percorra tali ricerche proprio nel riferirsi alla comune problematica della decorazione e della modernità.

La critica aveva potuto cogliere un possibile avvio della stagione dell’Art Déco nell’Exposition Internationale Arts Décoratifs et Industriels des Modernes, che si era tenuta a Parigi nel 1925, sottolineando, quindi, un primato della Francia. Anche l’Italia partecipa, con una posizione affatto originale, all’affermarsi di tale gusto: non possiamo dimenticare che a partire dal 1923 si tengono a Monza mostre biennali di arti decorative seppure ancora legate all’idea di un artigianato regionale.

La mostra, articolata in undici sezioni, intende documentare lo svolgersi in Italia di questa temperie artistica che dal decorativismo, derivato ancora dall’esperienza liberty di Galileo Chini, di Umberto Brunellechi o di Duilio Cambellotti, passa ad utilizzare le idee formali del Futurismo come dimostrano le opere di Giacomo Balla, di Fortunato Depero, di Diulgheroff, di Fillia. E’ quindi vero che nel Déco in Italia possiamo trovare ad un tempo sollecitazioni classiciste e rappresentazioni del mondo meccanico, attenzione alla sinuosità. offerta dai ritmi della danza. e ancora la modellazione plastica degli sports. Rientrano, quindi, a pieno titolo in una declinazione di questo gusto anche le opere di Mario Sironi, Achille Funi, Ubaldo Oppi, Gino Severini, Felice Casorati.

 
 Achille Funi: Ritratto di Mario Chiattone, 1924, olio su tela, cm 103x103. Museo Civico di Belle Arti/Collezioni della Città di Lugano
La mostra intende poi documentare alcuni aspetti esemplari connessi alle arti decorative al fine proprio di offrire le possibili sfaccettature con le quali il gusto déco si presenta in Italia: così accanto alla cartellonistica si è voluto in particolare presentare la produzione che l'architetto milanese Giò Ponti realizza per l'industria ceramica Richard Ginori, produzione significativamente premiata all’Esposizione di Parigi del 1925 e ancora l’attività di Vittorio Zecchin, in bilico tra decorazione pittorica e raffinate produzioni vetrarie.

La mostra si articola in 11 sezioni così intitolate: Inflessioni decorative del Déco; Verso nuove sintesi; Orizzonti esotici; Vittorio Zecchin e Murano: Déco tra vetri e dipinti; Divagazioni futuriste; Geometrie del Futurismo; La severità del Déco; Il sogno dell’antico; Giò Ponti: intorno alla Richard-Ginori; Déco scolpito; Il Déco nella grafica.


DÉCO. Arte in Italia 1919–1939
Rovigo, Palazzo Roverella,
dal 31 gennaio al 28 giugno 2009.
Mostra promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo in collaborazione con Accademia dei Concordi e Comune di Rovigo. A cura di Dario Matteoni e Francesca Cagianelli; direzione della mostra: Alessia Vedova. Catalogo: Silvana Editoriale

Per informazioni:
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Tel 049.8761855 - Fax 049.657335

info@fondazionecariparo.it

Le sezioni ed i contenuti della Mostra

 

 Mario Cavaglieri: Giulietta en coulotte de cheval, 1920 -  Collezione privata

Déco: un grande crogiolo di idee, sollecitazioni, spunti, un momento della storia dell’arte davvero affascinante e che in Italia non è ancora stato del tutto indagato.
Da qui l’attesa che si è creata intorno a questa mostra che, per la prima volta, in modo organico, offrirà una lettura del Déco in Italia non lungo il consueto filone delle arti applicate ma della sola pittura e scultura. Impresa sino ad oggi mai tentata.

“Una storia per pittura e della pittura”, quindi. Seguendo quel percorso nell’arte in Italia tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento che Palazzo Roverella ha, con grandissimo successo, scelto come proprio.

Dopo la retrospettiva dedicata a Mario Cavaglieri, è stata, infatti, la volta di “Belle Epoque. Arte in Italia (1880 – 1915)”. Dal primo febbraio 2009 il sipario si aprirà sul Déco, indagando questa volta l’arte in Italia tra il 1919 e il 1939, ovvero tra le due guerre.

La mostra, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con Accademia dei Concordi e Comune, è curata da Dario Matteoni e Francesca Cagianelli. Direzione della mostra: Alessia Vedova. Resterà aperta sino al 28 giugno 2009.

La mostra - affermano i curatori - intende ripercorrere, attraverso undici ampie sezioni, le diverse tendenze che sottesero, all’alba degli anni Venti, quel complesso fenomeno di elaborazione di uno stile moderno che ebbe un primo esito eclatante nell’ambito delle Esposizioni Internazionali di Arti Decorative di Monza tra il 1923 al 1927.

 
 Galileo Chini: La glorificazione dell'Aviatore, 1920. Venezia, Asac

La prima sezione dedicata alle Inflessioni decorative intende quindi ricostruire, attraverso una suggestiva selezione di opere di Galileo Chini, Giulio Aristide Sartorio, Alberto Martini, Elisabeth Chaplin, quel significativo trapasso tra la sovrabbondante contorsione dei motivi floreali e l’eleganza sintetica di un più moderno linearismo.

Ecco che le persistenze decarolisiane dei nudi, tratteggiati da Galileo Chini nei monumentali pannelli decorativi eseguiti per la Biennale di Venezia del 1920, mostrano comunque l’esigenza di una più compiuta sintesi lineare, mentre La gioia di vivere di Giulio Aristide Sartorio inaugura nel 1927 il nuovo corso decorativo della produzione dell’artista, dove alle carnose e simboliche Gorgoni subentra il mito di una femminilità sensuale, ma attuale, la cui raffinata e svettante silhouette ambisce sì ad una moda lussuosa, ma definitivamente sintetica e lineare.

Nel processo di semplificazione del tessuto disegnativo la seconda sezione della mostra, intitolata Verso nuove sintesi, costituisce dunque un nodo fondamentale per comprendere l’ulteriore tensione di alcuni protagonisti della stagione pittorica degli anni Venti verso un linguaggio geometrizzante, talvolta ispirato alle astrazioni metafisiche tipiche dei “Valori Plastici”, come in certe opere di Felice Casorati, altre volte invece percorso da sferzanti venti secessionisti, come nel caso di Guido Cadorin e Piero Marussig, altre ancora permeato di ludici arcaismi, come nelle incantate spiagge di Moses Levy. Non mancano artisti che, pur tentati dalla verve futurista, preferiranno soffermarsi sul crinale di un sintetismo vibrante di suggestivi dinamismi: basti pensare a Primo Conti e a Ferruccio Ferrazzi.

 

 Guido Cadorin: Nudo e paesaggio fiorito, 1920. Venezia, collezione privata

Nel percorso di elaborazione di uno stile moderno acquista comunque un ruolo fondamentale quella cultura orientaleggiante e più latamente esotica, che da Bisanzio a Murano, e ancora dall’Africa a Thaiti, converge verso dettati geometrici, pervasi di cromatismi squillanti ed elementari.

Nell’ambito della terza sezione, che spazia verso gli Orizzonti esotici del déco, si dipana per la prima volta in questa mostra un ampio percorso verso l’Oriente déco, entro il quale artisti, quali il futurista Thayaht, esprimono una sensibilità moderna pervasa di tensioni primordiali e insieme di timbri cromatici internazionali che omaggiano gli esiti delle avanguardie europee, in omaggio al loro capostipite Gauguin.
D’altra parte l’Africa evoca scenari altrettanto promettenti per uno dei maestri dell’artigianato déco, quel Depero che sull’onda del magistero di Clavel, e nell’infatuazione per la moda dei Balletti Russi, strappa alle foreste tropicali la sua fauna fantastica e alle architetture d’Egitto la loro prismatica inattingibilità.

Ci sarà invece chi prefererirà volgersi verso un Oriente fantastico, che fonde mode aristocratiche, bizzarrie cromatiche e stilismi decorativi nel fasto di una Venezia ricondotta a Bisanzio, dietro la suggestione delle
Fetes galantes di Verlaine e sulle note dei Balletti Russi di Diaghilev: è il caso di Umberto Brunelleschi, che nei suoi inarrivabili pochoirs tragitta le esuberanze floreali del liberty verso la snella moda del déco.

Sul tragitto da Venezia a Bisanzio ci si imbatte nel rarefatto e lussureggiante universo esotico di uno dei maggiori interpreti del gusto bizantineggiante in Italia, Vittorio Zecchin, le cui enigmatiche creature femminili incedono maestosamente in boschi favolosi, ammantate di drappi sfarzosi che riecheggiano analoghi motivi decorativi intarsiati finemente sulle seriche superfici di arazzi e ricami, come testimonia la quarta sezione, dedicata a Vittorio Zecchin e la Murano déco tra vetri e dipinti.

Intorno alla ricerca di una semplificazione geometrica si radunano gli sforzi futuristi, in alcuni casi con esiti non programmatici, ma semplicemente come riflessione sulle possibilità espressive scaturite dai nuovi ritmi dinamici, come attesta la quinta sezione dal titolo Divagazioni futuriste; riguardo ai casi di più sistematica concentrazione sul dettato teorico futurista la sesta sezione, dedicata alle Geometrie del Futurismo, propone un itinerario da Balla a Prampolini, da Fillia a Djulgheroff, fino al geometrismo estremo di Depero.

Con la settima sezione, rivolta a delineare La severità del déco, si accede alle più calibrate ed austere zone linguistiche di un Novecento sensibile alla tradizione classica, dove Felice Casorati adombra soluzioni metafisiche, Mario Sironi prospetta esiti monumentali e Massimo Campigli occhieggia alle sintesi più primordiali, risolte in un gioco di sempre più sconcertanti incastri geometrici.

 
 Ruggero Michaelles in arte RAM : L’Ile de Chytère n. 1 1933, olio su tavola, cm 40x50. Firenze, collezione privata

Si approda così all’ottava sezione della mostra, Il sogno dell’antico, ideale prosecuzione della precedente, in quanto l’ambizione di un dialogo con la tradizione finisce stavolta col sollecitare gli artisti ad una immersione profonda perfino nell’iconografia più esplicitamente antichizzante di divinità arcaiche ed eroi mitici, resi con non dissimile austerità di evocazione rispetto a ieratiche bagnanti e impenetrabili asceti.
Non manca chi, come Ruggero Alfredo Michahelles (RAM), si compiace di fondere le
reverie classicheggianti con gli azzardi della moda contemporanea, in una miscela metafisica ad alto quoziente visionario.

Complessa e poliedrica personalità di architetto e decoratore, Giò Ponti si erge, durante la sua strabiliante carriera produttiva alla Richard Ginori, ad interprete della classicità nel raro e prezioso terreno del vetro e della ceramica, fondendo in un connubio di eleganza e modernità stilizzatissime
silhouettes femminili e sogni di architettura razionalistica.

Tra classicità, stilizzazione e ritmi dinamici, conducono la loro frenetica ricerca plastica alcuni dei protagonisti della scultura tra 1920 e 1940, come illustrato nella sezione della mostra dedicata al déco scolpito: dalla semplificazione vibrante di Libero Andreotti all’arcaismo decorativo di Romano Romanelli, fino ai vertici del novecentismo classicheggiante di Arturo Martini e agli spiritualizzati teoremi lineari di Adolfo Wildt. Senza contare colui che all’esposizione monzese del 1923 apparve come l’iniziatore trionfale della modernità: Duilio Cambellotti
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