REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno V n° 3 MARZO 2009 IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Prosegue il dibattito sulla crisi
Crisi profonda, ma il governo ha preso la via giusta per uscire?
La crisi economica durerà sicuramente per tutto il 2009, ma la ripresa potrebbe ancora tardare e comunque non essere sensibile per tutto il 2010. Quali sarebbero le iniziative utili? Quelle che ha preso il governo vanno bene?
Di Giovanni Gelmini



Che l’economia in tutto il modo sia in crisi e che essa durerà per tutto il 2009 oggi è fuori di discussione; ancora qualche mese fa, qualcuno (indovina chi!) sosteneva che era una “cosa di pochi mesi”, che non c’erano problemi, che si doveva continuare a spendere come prima.

È evidente che già alcuni mesi fa nessuno aveva voglia e poteva spendere “come prima”, perché l’intenzione di spendere o di investire è strettamente legata alle attese e tutti si attendevano il disastro, disastro che è arrivato puntualmente.

D’altra parte la crisi, seppure partita dallo sballo generato dalla “finanza creativa”, non è solo una crisi del mondo finanziario, ma è una crisi strutturale. Per superare una crisi strutturale, il passato ci dice che occorre transitare per una “distruzione creativa”, come la chiama Schumpeter, anche se si sperava che le attuali conoscenze sull’economia la potessero evitare.

Perché occorre la distruzione creativa?
Perché si deve dare un forte scossone a tutte le strutture: finanziarie, industriali, dei servizi, sociali e politiche, per buttare a mare l’inutile e l’obsoleto e ripartire con strutture nuove, giovani, snelle e flessibili. Cosi devono morire industrie che non sanno reagire alla crisi; interi settori ormai maturi, come l’automobile o l’edilizia, devono rinnovarsi, i consumi devono modificarsi, non per ridurre la qualità della vita e mantenere l’economia nell’ambito del sostenibile; per questo si devono eliminare quei consumi indotti dalla pubblicità che non producono o producono insufficiente “soddisfazione”.
Ma ci sono molti ma!

Partiamo dall’invito a continuare a consumare come prima, invito sciocco: infatti se non si rinnova il modo di spendere, non cambia nulla e la “distruzione creativa” non agisce.
Perché agisca occorre che la domanda cambi, si faccia più attenta, elimini le troppe spese che vengono da false esigenze, stimolate da una propaganda esagerata per prodotti di facciata e sostenute dallo stress di una vita compressa dagli impegni.

A tal proposito è interessante ricordare come il boom degli anni cinquanta avesse spinto alcuni interventi molto positivi per la qualità della vita: la produttività del nuovo sistema industriale permetteva di avere stipendi più alti con meno lavoro e più tempo libero in cui spendere i soldi disponibili. L’inflazione galoppante dell’epoca craxiana e quella mascherata, verificatesi nel 2002-2004 con l’introduzione dell’euro, hanno cancellato quella situazione: ora si lavora molto di più, le cose di cui abbiamo bisogno sono molto più costose e la vita stressante ci impone spese notevoli per alloggio e per quel poco di tempo libero che ci resta.

È attraverso il meccanismo del “consumo”, costretto a essere tagliato per rispettare la disponibilità ridotta di soldi, attuale o attesa, che si può far partire la ristrutturazione del sistema: caduta dei consumi futili, maggiore concorrenza nell’offerta, con conseguente taglio dei costi poco produttivi (servizi di marketing, pubblicità, costi della distribuzione) e innovazione sia di prodotto che nelle tecniche produttive. Ma questo evidentemente non si fa in qualche mese e comunque comporta fallimenti di imprese e taglio di posti di lavoro prima che siano avviate le “innovazioni”.

Quando si è toccato il fondo, quando le imprese hanno ridotto all’osso i loro costi, quando la concorrenza spietata dei moribondi scompare, ecco che gli imprenditori si sentono più sicuri e riprendono ad investire; così riparte il ciclo dell’attesa positiva e della crescita. È sicuramente uno schema estremamente semplificato, ma che rende bene l’idea che non basta uno slogan ed un sorriso a 64.000 denti per rilanciare l’economia, ma occorrono invece atti concreti ed incisivi nell’immediato per fronteggiare la paura del disastro che stiamo sperimentando.

Cosa dovrebbe fare il Governo per aiutare a superare la crisi? Semplice da dire, difficile da fare: deve aiutare il cambiamento e minimizzare l’impatto sociale di tale cambiamento.

Le leve di cui dispone il Governo per minimizzare l’impatto sociale sono note e vanno sotto il nome di ammortizzatori sociali; non solo si devono mettere in campo risorse aggiuntive per coprire i “deficit di bilancio” delle famiglie non abbienti, ma si possono rispolverare meccanismi abbandonati che sono stati molto utili a lanciare il boom degli anni cinquanta: i campi di lavoro per disoccupati, che da una parte permettevano di erogare sussidi “non gratuiti”, dall’altra permettevano di realizzare interventi infrastrutturali necessari, riducendo quindi il costo sociale degli ammortizzatori. Altra via è la leva fiscale: abbassando la prima aliquota di qualche punto si possono elevare significativamente i redditi più bassi.

Se sugli interventi per il sostengo del reddito le vie sono note, queste non lo sono sugli incentivi alle imprese. L’esperienza fatta del dopoguerra non è evidentemente valida, perché allora si partiva da una distruzione effettiva di case e imprese, un terreno arato su cui non si poteva che ricostruire; qui invece è una distruzione possibile e molto meno profonda, ma che deve ancora avvenire e dovrebbe procedere assieme alla ricostruzione.

Prima di pensare a come strutturare incentivi, lo Stato ha un dovere assoluto: pagare tutti i debiti che ha verso imprese e cittadini, essenzialmente i rimborsi fiscali, che sono cifre notevoli e che ridarebbero liquidità aziendale a molte imprese.
Poi ci sono i cantieri fermi per mancanza di fondi o per contenziosi; anche qui si può intervenire per ripristinare fondi insufficienti e superare i contenziosi; spesso si ha invece la netta sensazione che i contenziosi facciano comodo agli enti gestori (come l’ANAS) per fermare progetti e mantenere liquidità nelle loro casse.

Poi ci sono gli interventi di sostegno ai settori in crisi. Bene intervenire sull’edilizia e sull’auto, perché sono settori che hanno un fortissimo impatto su tutti gli altri settori industriali. Ad esempio spendere in un’automobile vuol dire innescare domanda nei settori dell’acciaio, delle plastiche, del tessile, dell’elettronica, dell’elettrotecnica, del nuovi materiali, ecc.
Si può dire che sono solo questi due che sono in grado di innescare domanda sull’intero sistema produttivo, tutti gli altri hanno impatto limitato. Ma se si vuol veramente ottenere un bel risultato si deve incentivare solo l’innovazione; ad esempio: spingere prodotti o interventi per ridurre il consumo energetico e la dipendenza dal petrolio, non quindi interveti a pioggia, nell’auto quindi non un semplice incentivo alla rottamazione, come è stato fatto, ma un incentivo legato anche al consumo dell’auto acquistata (meno consuma più è alto l’aiuto dato).

A fianco di questo solo incentivi per l’innovazione di prodotto o di processo, non a pioggia a tutti Un incentivo molto particolare dovrebbe essere previsto per il Commercio, al fine di ridurre al minimo i passaggi intermedi che elevano enormemente i costi e producono inefficienza al sistema.

Quasi inutili, per superare la crisi, risultano invece gli investimenti approvati dal CIPE recentemente per circa 16 miliardi di euro. Al di la della valutazione qualitativa e della critica che si tratta di soldi già stanziati, la vera cosa che li rende perfettamente inutili per superare la crisi è che non sono spendibili tra il 2009 e il 2010, periodo più nero della crisi in cui i sostegni hanno una vera importanza.

Vi sono anche altre vie. Buona la proposta di Franceschini, passata recentemente in aula, per sbloccare i fondi già a disposizione di comuni e non spendibili per i vincoli del patto di stabilità, ma ce ne sono altre di cose che si potrebbero fare immediatamente: tutti abbiamo visto che Trenitalia ha un parco rotabile allo sfascio e insufficiente a far fronte alla domanda di mobilità, specialmente per il trasporto dei pendolari. Ebbene diamo a Regioni immediatamente i fondi per ordinare nuovi convogli da affidare ai gestori: Tenitalia o altri che siano, per il trasporto su ferro, se è vero che ci vuole tempo perché questo entrino in funzione è altrettanto vero che la loro costruzione può partire velocemente e mettere in moto immediatamente, tutto l’indotto delle forniture come già citato per l’auto.

Gli incentivi alle imprese hanno comunque un grosso rischio, quello di andare a sostenere imprese decotte che invece dovrebbero chiudere. Questo è un rischio molto reale perché in genere la politica subisce la pressione forte dell’establishment dell’economia, che ovviamente è guidato da lobby di “vecchi imprenditori”, spesso obsoleti, questo Governo lo è più di altri, come la scelta del Nucleare e del Ponte di Messina ci segnala.

© Riproduzione vietata, anche parziale, di tutto il materiale pubblicato