La Danse Macabre: scheletri ilari che danzano con i vivi. La
Danse Macabre: la morte è uguale per tutti, dal contadino al re. La
Danse Macabre: la morte è parte della vita, e con questa danza.
Danse Macabre: parole francesi, il tempo è quello del Medioevo.
Un Medioevo che pare apocalittico, falciatore di uomini e di speranze, secoli
bui. Carestie ed epidemie, re tiranni e guerre, monaci chiusi nel crepuscolo di
un monastero, oro che ha il colore del sangue perché ha caro prezzo. L’unica
certezza, in questa vita di incertezze, è la morte. C’è la Grande Morte,
Signora con la falce, matrona nell’iconografia dei Trionfi della Morte. La sua
onnipotenza non è seconda a nessuno, se non a quella di Dio. È nata con le
sembianze di uno scheletro, le sue ossa non sono mai appartenute a nessuno: è un
concetto, più che un avvenimento. C’è poi la morte individuale, forse molto più
piccola ma sicuramente molto meno astratta. Non ha dietro di sé cortei di anime
gementi, non procede su un carro da guerra; non ha armi né minacce; è solo uno
scheletro, il proprio scheletro, che nelle Danse Macabre ognuno ha come
compagno di ballo.
Macabré In origine era un sostantivo –
forse discendente dei biblici Maccabei – un nome proprio per designare Signora
Morte.
Parliamo del Medioevo, quando ancora i cimiteri non erano luoghi
esterni alla città; quando la religione e il folklore davano importanza agli
spiriti dei defunti; parliamo di un’epoca in cui il confine tra vivi e morti non
è poi così netto. Le messe celebravano quotidianamente il ricordo degli
antenati, e l’importanza del giudizio divino.
La morte non era – come è
oggi – un’incognita che cela ciò che la seguirà; non era neanche la fine di
tutto, anzi: segnava l’inizio della vita ultraterrena, fosse questa nei Cieli
con gli angeli o tra gli eterni supplizi infernali. Non era Signora Morte a
essere temuta, ma la vita – questo incerto cammino pieno di tentazioni,
lastricato di sofferenza che il fedele doveva saper accettare per potersi
guadagnare il Paradiso – e l’Inferno, che non ha redenzione.
Non
sappiamo perché, nel Medioevo, la sensibilità collettiva abbia fatto sì che le
mura di chiese e di ospedali venissero decorate come ossari. Gli affreschi,
sparsi sul continente e in Inghilterra, rivelano un sentir comune endemico più
che epidemico, benché la Francia appaia come fulcro incandescente del fenomeno.
Il mezzo di diffusione è la pittura, e altro non potrebbe essere: la stampa non
esiste ancora, ed è quindi il colore a parlare alle masse analfabete.
Quale è il messaggio? La sovrabbondanza di scheletri in sornione pose,
accostati agli edifici religiosi, potrebbe far pensare a una sorta di predica,
ma le Danse Macabre non sono memento mori; più che intimidire,
consolano dalle ingiustizie della vita.
La Giustizia Divina è troppo
astratta per poter rincuorare gli animi di chi, vivendo, sente di essere in un
mondo ingiusto, in cui la tirannia detta legge e il debole viene oppresso senza
che una preghiera si levi per lui.
La morte, invece, viene per
tutti. La falce recide ogni stelo, quelli più alti e rigogliosi come quelli
umili e nascosti dall’ombra. La Danse Macabre di Hans Holbein il
Giovane, stampe del sedicesimo secolo, è tra le meglio rappresentative: ogni
quadretto s’intitola a una figura sociale del tempo, ognuno accoppiato alla
proprio controparte d’oltretomba. Il Gentiluomo, il Canonino, l’Imperatrice, il
Papa, la Badessa, l’Eremita, il Matto... I nomi non saranno nuovi a chi
conosce almeno un po’ i Tarocchi, perché gli Arcani Maggiori – nella loro forma
attuale – sono passati iconograficamente da questo genere di rappresentazioni,
una volta chiamate Trionfi (della Morte). È grazie a opere quali quelle
di Holbein, che mise su carta rappresentazioni che altrimenti decoravano spesso
chiese e ospedali, se le immagini sono giunte fino al nostro
quotidiano.
Ma la Danse Macabre non nasce per le ricche tasche di
chi commercia stampe; è invece, come la Morte, di tutti. È parte del quotidiano
medievale, troneggia sulle chiese in forma di scheletri danzati, festaioli,
ridanciani, irriverenti, buffi. Corpi che dovrebbero essere inerti si
alzano; sulla carne in putrefazione rimangono attaccati strascichi dei vestiti
tenuti in vita. Qui una tonaca consunta si strappa sulla clavicola, lì una
corona cade dal teschio; una mano scheletrica ruba lo scettro al re; un’altra
aiuta la lancia del guerriero a colpire. Tra il vivo e il proprio scheletro
non c’è minaccia, semmai beffa; non c’è danno, ma derisione; non è competizione,
ma compassione, da parte dello scheletro per chi ancora è in vita.
La
morte non è un momento da attendere o scongiurare, ma una compagnia
costante. La Danse Macabre non fa altro che appiopparci un angelo
custode forse esteticamente poco gradito, ma che indubbiamente ci conosce più di
chiunque altro: noi stessi, quando – morti – avremo una visione d’insieme sulla
nostra vita e sapremo quindi dare il giusto valore a ogni cosa.
“Il
Medioevo, volgendo al suo termine, inciampa nel cadavere.” dice Jacques Le
Goff, medievista francese – e possiamo dire che quel cadavere, uscito da un
armadio, non ha più trovato posto in cui essere nascosto. La Danse
Macabre, adattandosi di secolo in secolo, torna con i ricorsi
storici.
Durante il Barocco appare in forma di teschio nelle Vanitas,
nature morte in cui accanto all’opulenza dei ricchi salotti la Morte presenzia,
tra un cesto di frutta e calici tirati a lucido. Nel romanticismo la Danse
Macabre viene riportata a galla assieme ad altri dei temi medievali cari
agli artisti, portando per mano la corrente più grottesca del movimento.
Difficile dire, oggi, se la Danse Macabre sia di nuovo tra noi. Senza
un Paradiso a cui aspirare, un Inferno da temere, un Dio onnipotente giudice
delle nostre azioni, gli scheletri sono in prima copertina, sono ancora vivi e
vestono capi firmati.
In Italia troviamo una Danse Macabre del
1485 a Clusone (BG), affrescata sull’Oratorio dei Disciplini sotto a un
Trionfo della Morte. Della scuola di Clusone viene realizzata anche
quella a Pinzolo, in cui viene affrescata la chiesa di S. Vigilio. A Cassiglio,
sempre in provincia di Bergamo, viene raffigurata negli affreschi di casa
Milesi. A olio è invece quella di Lucerna (Svizzera), in otto tele della seconda
metà del Sedicesimo Secolo. Quella di Basilea, andata distrutta, è rimasta in
forma di statuine di terracotta del diciannovesimo secolo, precedenti alla
distruzione.
Una delle più antiche, forse madre delle altre, è quella
sita nel Cimetière des Innocents a Parigi, del 1425; l’opera originale è
purtroppo andata distrutta, ma ne rimane traccia grazie a una serie di
riproduzioni pubblicate successivamente su carta. Lydgate la tradusse in
inglese, e fu tra l’altro autore di quella londinese, sita nella St. Paul's
Cathedral.
Ancora in Francia abbiamo, a La Chaise Dieu in Alvernia, un
affresco raffigurante ventitré personaggi danzanti, del Sedicesimo secolo.
Del Quindicesimo Secolo sono invece quelle di Berlino e Lubecca,
quest’ultima distrutta – come molte sorelle – e di cui rimane traccia grazie a
riproduzioni e acquarelli.
Tutte le immagini si riferiscono alla Danza
Danse Macabre del 1485 a Clusone (BG), affrescata sull’Oratorio dei
Disciplini – foto di G. Gelmini e S. Bertogliatti, vietata la
riproduzione
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