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Il terrorismo integralista non colpisce solo noi

Il terrorismo e l’Asia

L’estremismo islamico si è sostituito ai servizi segreti del Pakistan e colpisce tutta l’Asia, specialmente in India e Iraq. Il terrorismo ha fatto in India un numero di morti pari a Europa, Americhe e Asia Centrale. È perché l’India è filo americana?

Di Giacomo Nigro

Il prestigioso e conosciuto giornalista pakistano, autore di numerose inchieste e libri su Al Qaeda e i Talebani, Ahmed Rashid, ha affermato che non ci sono dubbi sulla matrice fondamendalista islamica del recente assalto a Lahore, ai danni della squadra di cricket dello Sri Lanka. È stato il più forte e clamoroso colpo del terrorismo islamico dopo la strage di Mumbai. Hanno scelto come campo di battaglia il Pakistan, l'India e l'Afghanistan.

Chi li appoggia?
Secondo il giornalista, autore di inchieste su Al Qaeda, il potente servizio segreto pakistano, l'Inter-Services Intelligence, non è più dietro questi attentati, come poteva accadere in passato, quando i generali di Islamabad volevano condizionare l'attività del proprio governo e il destino dell'intera regione. "Non è più così, ma non escludo che elementi singoli ancora appartenenti ai servizi, o usciti da tempo da essi, diano un supporto politico e logistico ai fondamentalisti".

L'India, dopo l'Iraq, è il Paese che paga il maggior numero di vite al terrorismo. Tutti ricordiamo la strage di matrice islamica avvenuta a Hyderabad il 25 agosto 2008, in cui sono morte cinquanta persone dopo che nel mese di maggio, un venerdì, un'altra bomba aveva già ucciso nove persone alla moschea Masjid.

L'Andhra Pradesh e Hyderabad in particolare non sono località qualsiasi. In questo Stato, che storicamente fa da cerniera tra il Nord e il Sud dell'India, i musulmani sono il 9 per cento dei 76,2 milioni di abitanti. Ma soprattutto la sua capitale è una delle città simbolo del boom economico dell'India di oggi. Hyderabad, infatti, compete con Bangalore nel ruolo di motore indiano delle nuove tecnologie. Hyderabad è anche città dal passato islamico importante, come testimoniano i minareti del Charminar, il monumento fatto costruire nel 1591 da Muhammad Quli Qutb Shah come ex voto per la fine di una pestilenza. La città ideale, dunque, per soffiare sul fuoco delle tensioni.

Scorrendo le statistiche, si scopre che tra il gennaio 2004 e il marzo 2007 l'India conta 3.674 morti, contro i 3.280 complessivi di Europa, Americhe e Asia Centrale.
Esaminando i dati dell'intera regione, nello stesso periodo, l'Asia meridionale conta ben 9.283 morti sui 20.781 complessivi rimasti uccisi in azioni terroristiche compiute in tutto il mondo (Iraq escluso).

Queste cifre vanno spiegate: nel dato indiano sono infatti classificati come effetto del terrorismo anche tutti i militari rimasti uccisi nel conflitto strisciante in Kashmir. E poi ci sono le operazioni dei gruppi maoisti che, nel solo 2005, hanno prodotto 669 vittime.

Ciò considerato, resta vero che l'escalation delle stragi di matrice islamica in India è stata in questi ultimi anni impressionante: il 29 ottobre 2005, alla vigilia della festa di Diwali, tre ordigni in altrettanti mercati di New Delhi hanno provocato 65 morti. Il 7 marzo 2006 è toccato a Varanasi, dove a essere colpito, insieme alla stazione ferroviaria, è stato il tempio indù Sankat Mochan: in questo caso le persone rimaste uccise sono state 21.

L'11 luglio 2006, poi, gli estremisti islamici sono tornati a colpire la stazione di Mumbai, provocando oltre 200 morti. Con un tragico replay delle bombe del 12 marzo 1993, è il primo grande attentato islamico conosciuto in questi anni dall'India. Furono dodici le bombe a esplodere - allora - in diverse parti della città, uccidendo 257 persone. E quella fu la risposta degli estremisti islamici alla distruzione della moschea Babri Masjid di Ayodhya, perpetrata da una folla di estremisti indù il 6 dicembre 1992.

Ora proviamo ad esaminare la posizione geopolitica indiana. A differenza della maggior parte delle altre potenze regionali, che non gradiscono la prospettiva di una presenza americana a lungo termine nell'Asia Centrale, l'India non sembra per nulla allarmata per tale eventualità.

In realtà, il modo in cui Delhi giustifica la presenza militare americana nella regione ha confermato le preoccupazioni, diffuse tra i paesi vicini, che il legame tra India e USA sia molto di più di un improvviso colpo di fulmine tra due democrazie un tempo estranee. Nel corso dei mesi più recenti le due parti hanno dato segnali di un sempre maggiore avvicinamento reciproco.
Tuttavia, è proprio la conferma di questa situazione che allarma Mosca, Pechino e Teheran. L'India è stata tra i primi a farsi avanti per offrire pieno sostegno agli USA nella loro guerra contro il terrorismo. Pur non avendo, il governo, rivelato il tipo di assistenza che era disposto a fornire agli Stati Uniti, nei media sono corse voci secondo cui, oltre alla condivisione di intelligence, l'India sarebbe stata disponibile a inviare proprie truppe e a unire le forze con gli Stati Uniti. Pare naturale che collaborare con gli Stati Uniti nel loro piano per contenere la Cina porterà l'India a inimicarsi l'enorme vicino settentrionale.

Intanto pare chiaro che la presenza degli USA nell'Asia Centrale e Meridionale sia mirata alla protezione dei loro interessi petroliferi e alla salvaguardia degli oleodotti nella regione, oltre che ad impedire la crescita dell'Iran e a contenere la Cina e la Russia, nonché l'India. Mentre, nel frattempo, il ruolo degli Stati Uniti nel subcontinente e nel Kashmir non è mai stato così consistente.
Vi sono indicazioni che si sta andando nella direzione di una mediazione, indipendentemente dal fatto che Delhi la definisca o meno con tale termine, e che il ruolo di intermediario svolto dagli USA tra l'India e il Pakistan per quanto riguarda il Kashmir stia progredendo. La domanda è: all'India conviene che gli Stati Uniti si immischino in quello che finora veniva considerato un problema interno?

Sul fatto che numerosi paesi siano allarmati degli ammiccamenti dell'India nei confronti di Washington non vi sono dubbi. Mosca, amica di lunga data dell'India, ha per esempio mostrato la propria irritazione per il modo in cui Delhi ha dato per scontato il suo sostegno. Quasi come per cercare di richiamare l'attenzione di Delhi, la Russia ha intensificato i propri rapporti con il Pakistan alla fine degli anni '90. La proposta, da parte di Mosca, di creare un asse strategico trilaterale che includa la Russia, l'India e la Cina, nonché la sua recente approvazione della posizione di Delhi nella disputa India-Pakistan, vengono percepite nei circoli ufficiali indiani come un tentativo disperato di Mosca di rimettere in riga l'India.

Intanto diamo un'occhiata alla politica internazionale della Cina. Essa ha compiuto passi significativi. Come parte della coalizione mondiale antiterrorismo, la Cina ha dovuto gestire un incrocio politico complesso. Non poteva identificarsi del tutto con le posizioni statunitensi; se lo avesse fatto avrebbe smentito la sua tenace ricerca di un mondo multipolare e la sua ambizione a delinearsi come potenza regionale in un'area segnata dall'esistenza di stati arabi e islamici. Sentiva però di dover fare parte del fronte dei paesi sostenitori degli Stati Uniti, perché in caso contrario sarebbe ricaduta nell'isolazionismo degli anni cinquanta e avrebbe ferito a morte l'ingresso nella World Trade Organization.

Dopo l’11 settembre in Cina non è stata mai usata la parola “islamico” perché si voleva evitare l'identificazione del terrorismo con un'area territoriale o una fede religiosa. Quali risultati concreti possa portare la scelta "mediatrice" della Cina è difficile dirlo. Si possono solo segnalare i passaggi attraverso i quali essa è venuta maturando.
La Cina ha voluto allontanare il rischio di essere coinvolta nel dibattito che ha acceso l'Europa e l'Occidente sullo "scontro di civiltà". È servita a sottolineare la rinnovata amicizia con il mondo arabo (e islamico). Pechino ha man mano lanciato l'Associazione di amicizia con il mondo arabo, preso contatti col presidente pakistano, stanziato a favore del governo afghano tre milioni e mezzo di dollari per aiuti umanitari, convocato un incontro della Shanghai Cooperation Organization per discutere quali misure adottare contro il terrorismo nell'area e per il futuro afghano.

Il messaggio politico sembra abbastanza chiaro: l'affaire terrorismo in Asia è innanzitutto affare dei paesi asiatici. I quali lavoreranno insieme perché sia l'Onu la sede di tutte le decisioni che si rendano necessarie. Se poi basteranno le conferenze internazionali o le risoluzioni dell'Onu a bloccare il terrorismo, come ritiene la Cina, è tutto da provare.

Argomenti:   #al qaeda ,        #asia ,        #cina ,        #india ,        #islam ,        #pakistan ,        #rashid ,        #terrorismo ,        #usa



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