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Considerazioni su oggi, leggendo un racconto di Primo Levi Cosa preoccupa “Le Sorelle Della Palude”? Cosa succede se si succhia troppo? E noi come ci comportiamo? Di Giovanni Gelmini
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È questo il tema del racconto di Primo Levi in “Futuro Anteriore”, di cui oggi voglio parlarvi. Un racconto breve, una comunicazione che la decana fa alle consorelle. Questa decana parla proprio come una “madre superiora di un convento”, con frasi semplici e dimesse, quasi per non sollevare invidie. “Sorelle mie miti, non mi arrogherei il diritto di rivolgermi a voi se non fossi spinta dalla gravità dell'ora, e dalla tenue autorità che mi viene dall'essere fra voi la più anziana, e in questa palude l'abitatrice più antica.” Così inizia il discorso. E da buona “madre” passa ad elencare i privilegi ricevuti dalla Provvidenza, le difficoltà che altre “sorelle” hanno e che a loro è evitato grazie al “generoso e sottile disegno della Provvidenza, secondo il quale il Villano è costretto a guadare due volte al giorno queste acque per raggiungere il suo campicello all'alba e rincasare a sera. E ricordate ancora che la complessione del Villano non potrebbe essere a noi più propizia, poiché egli ha avuto in sorte da Natura una pelle rozza e spessa, insensibile alla nostra puntura; una mente semplice e paziente; ed in pari tempo un sangue mirabilmente ricco di nutrimento vitale.” Da queste ultime parole comprendiamo che questa “congregazione” non è umana, ma si tratta di sanguisughe, a cui però Primo Levi attribuisce logiche di pensiero simili a quelle di alcuni di noi: certe condizioni vantaggiose, sono frutto della benevolenza della provvidenza verso di noi. Se il villano deve guadare lo stagno per raggiungere il suo campicello, questo è frutto un disegno divino fatto per darci vantaggio, e se ci è permesso di trarne vantaggio, grazie alla particolare ruvidezza della sua pelle, senza riceverne danni è perché Dio ci vuole bene. Una visone del rapporto dio–essere vivente che forse è più accentuata nel popolo ebraico, ma che non è certo assente in tutti quelli che pensano di avere mandato da Dio nell’agire: arruffapopoli, maghi, industriali, notabili, predicatori, religiosi, ecc. Il fatto che questo sia messo in “bocca” ad una sanguisuga rende questo concetto veramente risibile, ma ne mette in evidenza anche l’inconsistenza per gli uomini. Il discorso prosegue ed emerge il problema che sta manifestandosi: il sangue potrebbe finire. Un po’ come il nostro petrolio, come l’acqua, come la fertilità del terreno, che abbiamo sempre considerato riproducibile in modo immutato, ma non è così. Tutto si evolve e le gallerie, mal fatte per risparmiare, tolgono l’acqua al territorio, le coltivazioni intensive distruggono la fertilità del terreno, l’inquinamento distrugge tutta la possibilità di vita. La sanguisuga decana descrive i sintomi che ha rilevato e ricorda quale sia il loro status di Sanguisughe: “solo un insensato potrebbe mettere in dubbio che il sugger sangue sia un nostro naturale diritto, da cui, oltre a tutto, la nostra stirpe trae il suo nome, il suo vanto. Se per noi sono esseri viscidi e repellenti, secondo la Decana, invece la sanguisuga è il massimo della perfezione: “che, uniche nella Creazione, abbiamo saputo scioglierci dalla necessità di evacuare dal nostro alvo le scorie quotidiane, poiché il nostro cibo mirabile non contiene né genera scorie. Non è questo il segno più eloquente della nostra nobiltà? Chi potrebbe disconoscere in noi il coronamento ed il vertice della Creazione?” Primo Levi non lo scrive, ma a me è balzato evidente il parallelo con la visione, di chiaro stampo filosofico-teologico, dell’Uomo al centro della Creazione: Re del Creato, tutti gli altri elementi sono stati creati solo per la sua soddisfazione. Premettetemi una digressione su questo concetto, in “Passato Prossimo”, la raccolta di racconti da cui è tratto quelli di cui ho parlato la volta scorsa. Primo Levi riporta una “leggenda” ebraica: Lilít. In questa si racconta come nella Creazione Dio creò Adamo e Lilít, uomo e donna alla pari, ma Lilít si rifiutò, proprio perché era un essere alla pari, di giacere sotto ad Adamo e da qui nacquero molti guai e Lilít divenne diavolessa e Dio creò Eva da una costola di Adamo come “femmina dell’uomo”, quindi essere sottomesso all’uomo come tutte le creature. Nella una diffusa concezione religiosa che pone l’Uomo, quale Re dell’Universo, è così contenuta anche l’inferiorità femminile, pensiero che tanto spesso ritroviamo in quelle categorie che ho citato poco innanzi. Proseguiamo con i ragionamenti che vengono stimolati dalla lettura di “Le Sorelle Della Palude”. La Decana rileva come l’ingordigia di alcune che “sogliano impinzarsi fino a mettere a repentaglio la nostra invidiata capacità di nuotare a mezz' acqua, talché si riducono a galleggiare inerti, col ventre sconciamente rigonfio... ho saputo di alcune che sono morte per subitanea crepatura dei tegumenti.” Ma non è questo disdicevole comportamento che vuole stigmatizzare, e dice: “intendo ammonirvi di un pericolo assai più grave: se persevereremo nel nostro errore, se continueremo a saziarci dell'oggi senza pensare al nostro domani, che sarà di noi? Chi o che cosa succhieremo quando il Villano cadrà esangue? Ritorneremo all'increscioso siero delle carpe e dei rospi?” Mi sembra che sia la preoccupazione che sempre di più gli scienziati e gli economisti ci mettono di fronte: non possiamo continuare a succhiare la terra e pensare che ci sia sempre tutto quello che volgiamo da succhiare La Decana conclude il suo invito: “Perciò vi esorto, blande sorelle: si ridesti in voi il senso della misura e l'orrore per il peccato di gola. Mai come oggi la sopravvivenza del Villano, e quindi la nostra, è stata legata alla vostra continenza, ed alla moderazione che saprete manifestare nell'esercizio del vostro diritto.” Primo Levi non ci racconta se le sanguisughe hanno seguito le indicazione della Decana e se il Villano si è rimesso in sangue fornendo ancora il nettare a cui ritenevano di avere diritto o se qualche consorella ha contrapposto qualche ragionamento, come succede anche da noi peraltro. Ad esempio che non c’è evidenza scientifica della perdita di capacità del villano a fornire sangue fresco o che morto un villano ne verrà un’altro migliore più forte di successiva generazione. Quindi si poteva proseguire liberamente a suggere all’infinito che tanto il creatore penserà a noi che siamo i migliori. Certo è che spesso da noi chi predica il giusto non è ascoltato perché i sacrifici sono sempre poco graditi ed è più facile credere a chi ci dice le cose che non ci danno fastidio. Come al solito chiudo ricordando che questa non è una “interpretazione scientifica” del racconto di Primo Levi, ma qui ho voluto solo riportarvi le considerazioni che si sono formate nella mia mente durante la lettura. Argomenti: #cultura , #opinione , #primo levi , #racconto Leggi tutti gli articoli di Giovanni Gelmini (n° articoli 506) il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo |
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