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Anno V n° 5 MAGGIO 2009 TERZA PAGINA |
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Nota Informativa per la mostra “Egitto mai visto Assiut e Trento”
Gatti divini dell’Egitto
La storia in breve del felino: da divinità a vittima del commercio del sacro
Di Sabina Malgora
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Tra tutti gli animali sacri che furono mummificati e sepolti durante tutta la storia dell’Antico Egitto, i gatti avevano un posto di rilievo, poiché fu accordato loro un rispetto del tutto particolare. Il gatto, miw in antico egiziano, fu addomesticato per la prima volta in Egitto circa 4000 anni fa. Il gatto egizio è del tipo Felis silvestris libica, un animale che si lascia addomesticare facilmente. Questi animali, venivano comunemente utilizzati per scacciare serpenti velenosi e roditori ed affiancavano gli uccellatori durante le battute di caccia nelle paludi del Nilo. Lentamente tuttavia, questi divennero non più semplici animali domestici, ma vere e proprie divinità. Gli individui di sesso maschile vennero infatti associati al dio solare; Ra è infatti rappresentato come un gatto nel mito in cui si racconta la sua lotta contro Apopi, serpente mostruoso, che cerca di bloccare il corso del sole per tornare al caos primordiale delle origini. Gli individui femminili invece sono associati alla dea Bastet, una divinità legata alla fertilità, protettrice dei bambini e della casa. Ci si riferiva a lei come Bastet, se rappresentata come un gatto, mentre la si chiamava Bast quando si manifestava come una figura femminile con il capo di un gatto. Nell´Antico Regno Bastet sembra essere una divinità leonina e anche nei templi della XII° dinastia e in quelli successivi, Bastet è identificata con una leonessa. Il culto di questa divinità, associata invece alla gatta, si diffonde in modo particolare dalla XXII° dinastia, verso il 950 a.C.; in questo periodo compaiono infatti un’infinità di bronzetti, che rappresentano sia una gatta accucciata che una gatta attorniata da vari micini. Il culto degli animali faceva parte della vita di tutti i giorni. Gli egizi li rispettavano poiché credevano che questi fossero in diretto contatto con gli dei stessi. I gatti erano oggetto di grande venerazione non solo in vita, ma persino nella morte. Se qualcuno uccideva intenzionalmente o per errore uno di questi animali, veniva condannato a morte. Diodoro Siculo racconta addirittura che un cittadino romano, che uccise involontariamente un gatto, venne linciato dalla folla e persino in tempi di carestia, ci si assicurava sempre che gli animali sacri non soffrissero la fame. Spesso venivano rappresentati sulle pitture tombali assieme ai propri padroni, a garanzia della continuità della vita insieme anche nell’aldilà. Talvolta, addirittura, veniva inciso il loro nome sopra la rappresentazione per assicurargli la vita eterna. I gatti domestici però compaiono nelle rappresentazioni tombali a partire dal Nuovo Regno, verso il 1500 a.C. Nelle rappresentazioni dei periodi precedenti invece si vedono gatti selvatici che catturano uccelli nelle paludi. Il gatto delle paludi nilotiche appartiene alla specie Felis chaus nilotica e si confonde spesso con la lince. Il primo esempio di un gatto, rappresentato in una pittura tombale, sembra essere invece nella tomba di Khnumhotep III° (XII° dinastia - Medio Regno), a Beni Hasan. Il defunto è rappresentato nella palude mentre infilza dei pesci con uno spiedo aiutato dal suo gatto, che sta appostato sopra un fascio di papiri pronto a scattare sulle prede. Dal Nuovo Regno, in alcuni casi, una gatta viene dipinta sotto il sedile della "signora della casa". La gatta rappresenta infatti il simbolo della sessualità femminile e, poiché la dea Bastet è legata alla fertilità e alla gravidanza, esprime l´idea di una madre feconda. Tali animali venivano mummificati per diversi motivi quali: la volontà delle persone di preservare per l’eternità il corpo del loro amato animale domestico, oppure venivano posti nella tomba del loro defunto padrone per accompagnarlo nell’aldilà. Quando un gatto moriva, i suoi padroni eseguivano lunghe lamentazioni in suo onore e si rasavano le sopracciglia in segno di rispetto e di dolore. Il processo di mummificaziuone per i felini era ben diverso da quello riservato agli umani: si rimuovevano gli organi, si riempiva l’addome con bende o piccoli sacchetti di sabbia, si posizionava il corpo dell’animale in posizione seduta e si bendava strettamente. Il volto dell’animale veniva infine dipinto con dell’inchiostro nero sulle bende. Particolare il fatto che la disidratazione del corpo avveniva naturalmente e raramente attraverso il sale natron. Anche nelle tombe di questi animali venivano posizionate offerte, come ciotole di latte e roditori. Si credeva comunque che anch’essi godessero della vita eterna e l’aldilà era per i felini un luogo pieno di roditori e bocconi succulenti in cui potevano vivere e prosperare. Poichè erano sacri alla dea Bastet, molti di questi animali vivevano, come sua rappresentazione terrena, all’interno del suo tempio a Bubastis o Tell Basta, città sacra alla dea, dove speciali addetti si prendevano cura di loro. Le mummie di questi felini venivano donate al tempio per ottenere il favore della dea. Nel tempio sono stati rinvenuti circa 300.000 esempi di queste mummie. Frequentemente, questi animali presentano segni di fratture sul cranio, generalmente sull’osso occipitale, o la dislocazione delle vertebre cervicali, che indicano strangolamento. È evidente quindi che questi animali fossero talvolta intenzionalmente uccisi per essere mummificati, con lo scopo di soddisfare la crescente richiesta dei pellegrini che si recavano al tempio della dea, sperando così di ottenerne i favori. La dea infatti proteggeva i bambini e le donne durante la gravidanza. La contraddizione con l´uccisione rituale dei gatti è solo apparente: il rituale trasformava il gatto ucciso in un essere divino e quindi anche l´animale ne traeva un vantaggio. Sorprendentemente si sviluppò un vero e proprio commercio di mummie di gatto, con tanto di allevamenti in cui questi animali venivano cresciuti e poi uccisi, in una combinazione di cultura, religione, ma soprattutto guadagno. Sebbene a Bubastis sia stato rinvenuto il numero maggiore di mummie di questi felini, vi sono anche diversi esempi a Saqqara, Tebe, Beni Hasan e Speos Artemidos. In ognuna di queste città si sono sviluppate importanti necropoli, utilizzate per diversi secoli, in cui sono stati ritrovati centinaia di migliaia di gatti mummificati, sepolti in catacombe o in semplici fosse, con sepolture singole o multiple. In particolare a Bubastis, i gatti sono stati ritrovati sepolti con le danzatrici del culto della dea Bastet. Questo potrebbe spiegarsi con l’associazione della dea con la musica e la danza. Un’iscrizione demotica, databile al periodo tolemaico, si riferisce a Pipes, danzatrice a Bubastis, così: “la tomba di Pipes la ballerina e coloro che vi riposano e il posto dove riposano i gatti”. . Sebbene sia molto difficile stabilire con precisione l’età di questi animali, dalle analisi svolte è possibile dividerli in tre gruppi: giovanili, se le epifisi sono ancora distaccate, sub-adulti quando si nota una parziale fusione ossea ed adulti. Nella maggior parte dei casi il numero di individui completamente adulti è nettamente inferiore rispetto agli altri due casi e, mediamente, si può stimare che i gatti “sacrificati” e mummificati non superano mai i due anni di età. É interessante notare però che i gatti rinvenuti a Tell Basta sono molto più giovani rispetto a quelli rinvenuti nel resto del paese. Questo trova facile spiegazione nell’alta frequentazione di pellegrini a cui era soggetto il complesso per il culto dedicato alla dea, in modo particolare in occasione di festività. Erodoto racconta che in occasione della festa di Bastet confluivano a Bubastis fino a 700.000 pellegrini. Per inviare le loro richieste agli dei, entità astratte che vivevano in cielo, i pellegrini sceglievano un animale associato alla divinità di riferimento, il gatto nel nostro caso, e pagavano una quota perché l´animale fosse ucciso, imbalsamato e sepolto. Le mummie di gatti, ritrovate nelle rispettive necropoli, erano così numerose che nel XIX secolo, fino al 1860, ne furono spedite numerose in Inghilterra e in Francia per essere usate come concime nei campi. |
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