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Il quadro economico

Ma la crisi c’è? No!... l’avevamo prevista... è superata: tutte balle!

I dati disponibili mostrano una crisi “nera”, anche se qualche segnale non è pessimo ,le previsioni sono di un lungo periodo non positivo; una ripresa non è attesa prima del 2010. Perché Tremonti non molla i cordoni della borsa?

Di Giovanni Gelmini


Se ascoltiamo qualche politico del governo non si capisce: le affermazioni che sono state dette vanno dalla negazione della sua esistenza, dall’averla prevista molto tempo prima che si verificasse, al fatto che è già superata. Premettetemi di dire: tutte balle! Se fosse vero che era stata prevista, avrebbero evitato di asciugarsi la liquidità con promesse elettorali inutili e avrebbero impostato la campagna prevedendo quello che oggi tutti gli specialisti dichiarano necessario (n.d.r. e che noi avevamo da subito individuato) e non su promesse da “sogno di una notte elettorale”.

Ma vediamo quale è la situazione oggi.
Dalle statistiche appare che proprio la crisi non è superata, anzi i segnali che rileviamo lasciano pensare che ci vorrà ancora tempo prima che la tendenza si inverta in modo stabile. Sia Draghi che la Marcegaglia hanno affermato nelle loro relazioni, tenute alle rispettive Assemblee Generali, che non è prevedibile nel corso del 2009, forse nel 2010 si può sperare che una ripresa si affacci, ma ci vorranno anni per tornare alle situazioni del 2007.

Vediamo insieme gli indicatori disponibili:
  • Pil crolla in Europa -4,8% e - 6% in Italia su base annua, tutti gli istituti di analisi economica prevedono tassi di crescita dell'economia massicciamente negativi quest'anno e "più o meno a zero", l'anno prossimo.
  • Consumi. L'Eurostat riporta per l’UE un calo delle spese di consumo delle famiglie dello 0,5% nell'eurozona e dell'1,0% nell'intera Unione Europea.
    Anche in Italia i consumi si contraggono in modo significativo: nel 2008 si è registrata una diminuzione dello 0,9%, essenzialmente data da un 7,3% della spesa in beni durevoli: in particolare, nella parte finale dell'anno, si è inasprita la contrazione dei consumi alimentari (-2,3%)
    · Gli investimenti hanno registrato una contrazione del 4,2% nell'area della moneta unica e del 4,4% nell'Ue-27.
  • Le esportazioni sono calate rispettivamente dell'8,1% e del 7,8%. In calo anche le importazioni, rispettivamente del 7,2% e del 7,8%.
  • L’inflazione tende a zero; questo dato è molto preoccupante; in Europa a marzo i prezzi avevano segnato -0,7% su mese e –3,1% su anno. La Bce è impegnata ad assicurare che l’inflazione negativa sia un periodo temporaneo e non si radichi nelle aspettative della gente. In Italia, a maggio, è stata “solo” dello 0,9%, questo è legato essenzialmente alla diminuzione dei prezzi dei prodotti energetici. Risultano invece ancora in crescita i prodotti alimentari (+3,35 di cui: +1,1% per il pane e +4,8% per la pasta), malgrado, le materie prime siano in calo.
  • La disoccupazione fa registrare una forte crescita in tutta Europa; ad aprile vi erano più di 20 milioni di disoccupati, pari al 9,2%, contro l'8,9% di marzo, raggiungendo il livello più elevato dal settembre 1999. Secondo Draghi in Italia potrebbe raggiungere il 10% a fine anno e ha affermato con preoccupazione che “1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati non abbiano diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamento. Tra i lavoratori a tempo pieno del settore privato oltre 800.000, l’8 per cento dei potenziali beneficiari, hanno diritto a un’indennità inferiore a 500 euro al mese.

Complessivamente si vede che il quadro non è certo esaltante e, se aumenta la disoccupazione, i prezzi dei beni di consumo “di base” come l’alimentare, aumentano, gli investimenti ristagnano, non si può certo sperare in una ripresa a breve. Come segnala Draghi, non ci sono segnali statistici che facciano presumere un miglioramento della situazione, ma solo un maggiore ottimismo, che comunque è un fatto da non sottovalutare per un futuro, non immediato però!

Per rilanciare l’economia non basta però l’ottimismo, occorre che l’ottimismo si traduca in fatti e si chiede quindi allo Stato una politica di rilancio dell’economia: “soldi veri e non promesse” come suole dire la Marcegaglia. E sia Draghi che la Marcegaglia non hanno chiesto le stelle, ma cose piccole e concrete come: pagare i debiti dello Stato verso le imprese, concludere i cantieri in corso e far partire le piccole opere, quelle che si possono avviare velocemente, in modo diffuso sul territorio, e quindi innescare una domanda reale di beni intermedi e rilanciare l’occupazione.

Ma perché Tremonti nicchia?
La sua giustificazione è che noi abbiamo un deficit troppo alto, ma questo non giustifica completamente questo immobilismo. C’è forse un motivo più contingente. Nei prossimi mesi vanno a scadenza ingenti quantitativi di titoli di stato e Tremonti teme un ulteriore declassamento dell’Italia da parte delle agenzie di rating, con conseguente incremento dei tassi da pagare per piazzare utilmente i titoli necessari a coprire il fabbisogno.
Si deve riconoscere che da un punto di vista del “ragioniere” la cosa ha un senso, ma non lo ha se facciamo dei ragionamenti di strategie di lungo periodo. Infatti ogni danno che facciamo oggi al tessuto economico sarà molto, ma molto costoso poi per recuperarlo. Agendo così Draghi sostiene che: “una volta superata la crisi il nostro paese si ritroverà non solo con più debito pubblico, ma anche con un capitale privato – fisico e umano – depauperato dal forte calo degli investimenti e dall’aumento della disoccupazione.

Ma cosa dovrebbe fare Tremonti allora?
Il problema del deficit di bilancio è una realtà certificata. In una anno avrebbe già dovuto prendere provvedimenti concreti per ridurre la spesa delle pubbliche amministrazioni e riorientare gli investimenti verso quelli “immediatamente fattibili” invece si continua a parlare dei grandi investimenti che se arriveranno alla fine sarà sicuramente dopo il 2020.
Il Ministro Brunetta sta tentando di ridurre le spese per il personale, ma i suoi interventi sembrano essere più di facciata che incisivi.Forse la chiave di tutto l’ha in mano il Ministro Calderoli, ma non si capisce cosa voglia fare. Il federalismo senza una drastica riduzione degli enti, che insistono sul territorio, non porterà certo alla riduzione della spesa ma ad un ampliamento.

L’eliminazione delle Province è un mezzo inutile, si deve ridurre invece il numero dei Comuni e eliminare le comunità montane, affidandone la gestione a uffici della Provincia, e dare un taglio molto netto a tutti gli altri enti, in particolare all’immenso numero di società di servizio create dalla pubblica amministrazione.

Poi la giustizia è l’altro punto debole. La giustizia costa molto allo Stato e la sua inefficienza provoca ingenti danni ulteriori ai cittadini e alle imprese per il costo di avvocati e pratiche burocratiche inutili, oltre il danno del processo troppo lungo. Anche qui si tratta di rendere obbligatorio l’uso telematico per tutte le comunicazioni tra il tribunale e i cittadini: carta in meno, minori costi di “comunicazione”, maggiore velocità e certezza del “buon fine”, vantaggi non da poco.

Anche qui sembra invece che per la giustizia fino ad ora si sia lavorato essenzialmente per bloccare l’attività processuale indesiderata.

Ora se Confindustria e Bankitalia danno indicazioni su come operare molto simili, cose rapide e fattibili con poca spesa, perché il governo nicchia o peggio le deride?
Purtroppo il passato di Tremonti come Ministro non fa ben sperare: ha già distrutto l’economia italiana, la prima nella sua passata legislatura, mangiandosi alla grande l’avanzo primario e mandando alle stelle il debito pubblico.



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