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Leggendo la relazione all’Assemblea di Confindustria L’Italia in crisi vista dalla Marcegaglia La visione dello stato dell’economia non è certo rosa e le richieste al Governo sono pressanti per un’azione decisa di rimozione di lacci ed orpelli. Il giudizio sull’operato del Governo appare negativo. Duro l’invito ad agire rivolto a Berlusconi Di Giovanni Gelmini
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Quando si parla di economia, in specie se si intende quella “reale”, un’attenzione particolare va rivolta alle posizioni di Confindustria, che delle associazioni imprenditoriali è storicamente la più attrezzata ad avere una visone globale dei problemi degli ambienti “produttivi”, raggruppando non solo le industrie in senso stretto, ma anche le imprese di servizi. Il 21 maggio scorso si è tenuta a Roma l’Assemblea dell’associazione degli industriali e la relazione presentata dal Presidente, Emma Marcegaglia, è sicuramente il miglior documento per conoscere la visione degli industriali italiani. Molte delle affermazioni e delle richieste fatte sono condivisibili, non tutte ovviamente, perché non possiamo dimenticare che la Marcegaglia parla a nome di una lobby e che, quindi, insiste sulle posizioni che avvantaggiano i soci di Confindustria. Una è la cosa rilevante che emerge dalla relazione tenuta: la fine dell’atmosfera di “dolce accordo” che aveva caratterizziato la relazione dell’anno precedente; anzi nella fase conclusiva la Marcegaglia ha attaccato in modo diretto il presidente Berlusconi, sintetizzando così tutte le critiche sottointese nello sviluppo della relazione. Ecco l’atto di accusa: “L’Italia è una nazione bloccata dalle contrapposizioni di troppi interessi locali, corporativi, perfino personali. Non riusciamo a coagulare le nostre forze attorno all’interesse generale, che è poi quello dei nostri figli. Non riusciamo a premiare il merito. Tutto questo ha un costo enorme per i cittadini. La crisi non può essere l’alibi per non fare le riforme di cui abbiamo bisogno, ma anzi in questo momento dobbiamo mobilitare tutte le nostre energie, chiamare a raccolta tutte le forze per una grande azione di ammodernamento delle nostre istituzioni.” E conclude: “Mi rivolgo allora a Lei, Presidente Berlusconi. Il consenso che Lei ha saputo conquistarsi è un patrimonio politico straordinario. Lo metta a frutto. Usi quel patrimonio per le riforme che sono necessarie. Lo faccia adesso. Perché questa è l’ora di fare le riforme.” Parole dure, che non sono certo state scritte al momento, a seguito della “carineria” a lei indirizzata dal Premier con il suo savoir faire classico da “venditore di frullini”, come l’ha definito Montanelli. Queste relazioni sono scritte con attenzione e rappresentano la sintesi di tutte le componenti di Confindustria. Che l’appoggio di questa importante associazione verso Berlusconi stia scemando lo si è visto anche dall’accoglienza che la sala gli ha riservato: molti silenzi e pochi applausi, anche se quei pochi potevano sembrare una calda accoglienza. Analizzando la relazione, la prima cosa che viene affermata è una precisa smentita alle affermazioni del governo: la crisi è dura e non è certo finita e la Marcegaglia afferma: “Produzione industriale e commercio mondiali sono caduti negli ultimi nove mesi a ritmi superiori a quelli osservati nel medesimo periodo di tempo dopo il crash del 1929.- e più avanti –“Il pericolo di un’esplicita e precipitosa corsa al protezionismo è stato finora evitato. Ma esso resta in agguato.” Vi sono deboli segnali. “ La ripresa è cominciata in Cina. Si può sperare di vedere entro la fine di quest’anno qualche segnale di miglioramento, ma non illudiamoci: il recupero sarà difficile e richiederà tempo.” (n.d.r. non che c’è un miglioramento!) Il quadro interno è a tinte fosche:“Le imprese sono schiacciate tra la riduzione degli ordini e la difficoltà di incasso dei pagamenti.” e osserva: “Nonostante gli annunci, dagli stessi documenti ufficiali del Governo (RUEF), non risulta alcun aumento degli investimenti pubblici nel 2009. e il rifinanziamento del Fondo di garanzia per le PMI, promesso dal Governo con un preciso impegno politico, non c’è stato, così la Marcegaglia prevede che il fondo non sarà sufficiente a garantire tutte le richieste del 2009. A questo si aggiunge “La montagna di crediti delle imprese verso le pubbliche amministrazioni è una patologia insopportabile. I ritardi nei pagamenti, già gravissimi, si sono allungati.”. È grave certamente il motivo di questi ritardi, che la Marcegaglia individua così: “ lo Stato e le altre amministrazioni non possono rimborsare subito tutti i debiti pregressi. Perché ciò innalzerebbe il debito pubblico valido per i parametri europei.” Quindi solo per taroccare i conti dello Stato si mettono nei guai gli apparati produttivi, cioè quelli che producono reddito e generano gettito fiscale. Davvero strana politica del Tesoro! Anche per la Marcegaglia, non bastano i sorrisi e l’ottimismo per uscire dalla crisi. È necessario il sostegno alla domanda aggregata “fino al radicamento della crescita dei consumi e degli investimenti privati- ma non basta –“Bisogna inoltre saper impostare, fin da oggi, le necessarie misure di riequilibrio dei conti pubblici a medio termine. e le Banche devono tornare a sostenere le attività produttive e non le fantasie finanziarie. Posizioni assolutamente condivisibili, su cui il governo nulla ha fatto. Viene preso in considerazione il quadro internazionale e per la Marcegaglia, in primis, “ sono necessarie politiche estere e di sicurezza capaci di spegnere i focolai di tensione e politiche di stabile cooperazione a medio termine.” e spezza una lancia in favore dell’Europa:“Abbiamo bisogno di un’Europa forte....Un’Europa forte sulla scena mondiale riuscirà a portare avanti con successo la politica fondata sul libero commercio e sulla concorrenza non falsata da “dumping” o da impegni sproporzionati in materia ambientale.” - per Confindustria quindi la tutela dell’ambiente è una priorità a patto che i costi non ricadano sul sistema industriale.- “Si potrebbe ora dar corso al progetto ambizioso di integrare i Paesi del Mediterraneo meridionale,i Balcani, la Turchia e la Russia. Dove esiste un mercato di consumatori evoluti, pronto ad accogliere i nostri investimenti e i nostri manufatti.” È evidente che il Presidente di Confindustria parta dal presupposto che il modello capitalistico è il migliore e che non metta in evidenza quanti errori comporta quel modello se non viene fortemente tenuto sotto controllo, con una redistribuzione del reddito e la difesa delle classi minori e della libera concorrenza., che, per sua natura, il sistema capitalistico tenderebbe a eliminare, concentrando tutto nei sistemi monopolistici e oligopolistici. Quando il presidente di Confindustria parla di liberalizzazioni, si vede il limite della sua visione “liberale”; non accenna infatti agli interventi che Bersani aveva iniziato per smantellare i cartelli generati storicamente dalle lobby, che Confindustria in molti casi sostiene, ma la riduzione della presenza pubblica nella erogazioni dei servizi. Purtroppo la politica di privatizzazione non sempre ha portato a minori costi e miglioramenti dei servizi (n.d.r. vedi Poste, ferrovie, telecomunicazioni, e per ultima Alitalia). Il sostegno al reddito di chi perde il lavoro è un problema sentito anche da Confindutria, e su questo la Marcegaglia si toglie un sassolino dalla scarpa ricordando a tutti “che, negli ultimi 18 anni, la gestione della Cassa ha accumulato un saldo attivo di oltre 40 miliardi, che sono andati a finanziare i disavanzi pubblici. Anche le imprese devono però cambiare e afferma: “La crisi non solo ci obbliga a ridurre i costi e migliorare l’efficienza, ma ci impone anche di rafforzare il patrimonio delle nostre imprese che sono, nel confronto internazionale, poco capitalizzate. - e poi - Ma non c’è scampo. Le imprese italiane dovranno crescere dimensionalmente. Vi sono molti modi di farlo: intrecciare alleanze, unirsi in consorzi, puntare su aggregazioni e fusioni, non solo per non soccombere, ma anche per evitare di diventare facili prede.” specialmente abbandonando il concetto di impresa familiare. Un capitolo dell’intervento della Marcegaglia è intitolato “La legalità come fattore competitivo”. Qui riafferma la linea della lotta per la difesa della legalità: “Ribadisco la volontà di Confindustria di stroncare ogni forma di contiguità tra le imprese e le organizzazioni mafiose.” e deve ammettere che “L’attività mafiosa si sta allargando e infiltrando, attraverso il riciclaggio, anche al Nord.” Non penso che la Marcegaglia ignori la realtà del mondo mafioso, ma è indubbio che non parla, forse perché non può, degli intrecci mafia-politica–imprese come sembrano emergere dalle indagini recenti e che vedono coinvolto uno dei principali “azionisti” di Confindustria. Il rapporto tra imprese e politica è uno degli snodi fondamentali; anche Confindustria sostiene, ovviamente senza dare nell’occhio, alcuni candidati invece che altri: se si vuole combattere la mafia allora si devono sostenere candidati “puliti” e non limitarsi a una lotta contro il pizzo, che, da molti osservatori del fenomeno mafioso, è considerato oggi un mezzo obsoleto, da abbandonare. Un passo importante è riservato alla giustizia, ma anche qui la visone risulta molto diversa da quella del Governo, infatti segnala che “la giustizia permane drammaticamente inefficiente. Da troppi anni inutili divisioni ideologiche impediscono di affrontare in concreto i nodi dell’organizzazione degli uffici.” - e più avanti- Le imprese si devono districare in una giungla di leggi, regolamenti, circolari che non ha eguali negli altri paesi europei e che per giunta è spesso soggetta a differenti interpretazioni applicative. A fine 2007 le leggi in vigore in Italia erano stimate in quasi 22mila, contro meno di 10mila in Francia e 5mila in Germania. Il fiume delle nuove norme non accenna a inaridirsi. L’unità della legge e dell’amministrazione è sempre più intaccata dalla moltiplicazione degli interventi a livello regionale e locale. Non si parla di intercettazioni telefoniche, di privacy, di “toghe rosse” e “sentenze ad orologeria”, ma di efficienza e certezza. Altro intervento urgente pienamente condivisibile è la semplificazione e l’eliminazione degli enti inutili. “Questi enti costituiscono un vero scandalo nazionale.- afferma - Il loro numero è vastissimo e neppure pienamente conosciuto: circoscrizioni, comunità montane, enti parco ed enti vari. Ciascuno governato da consigli di amministrazione pletorici e onerosi” questo, oltre a costi inutili sostenuti dall’erario, comporta “che questi enti, per giustificare la loro esistenza, impongono burocrazia dannosa su cittadini e imprese”. Per la Marcegaglia, e non solo per lei, questo è il momento di sfrondare tutti questi enti. Sul “federalismo” il giudizio è sospeso: “ Quando, come e se saremo in presenza dei decreti attuativi, potremo esprimere un giudizio e valuteremo se sarà un federalismo buono o cattivo - ma aggiunge – “ Anche un buon federalismo non basta, se non si mette freno all’occupazione politica.”, ricorda poi che “ La questione dell’efficienza delle amministrazioni pubbliche si interseca con quella dell’occupazione politica e partitica di ambiti che non gli competono.” Non manca di parlare del problema meridionale e accusa la politica: “Dobbiamo prendere atto che le politiche per lo sviluppo meridionale hanno mancato l’obiettivo di innalzare la qualità dell’amministrazione pubblica, adeguare le infrastrutture, sconfiggere l’illegalità.” Se i giovani sembrano avere “un significativo cambiamento di mentalità”, la Marcegaglia, afferma “Chi investe e rischia nel Mezzogiorno ha bisogno di uno Stato che faccia lo Stato e deve godere anche al Sud di un vero e proprio diritto di cittadinanza: quello di fare impresa senza svantaggi.” e l’accusa è diritta e precisa “Prima di ogni altra cosa gli imprenditori meridionali hanno bisogno di una classe politica e amministrativa che garantisca i servizi essenziali e li difenda dall’illegalità e dalla criminalità.Oggi ciò non avviene e prevalgono logiche di intermediazione e di intromissione nel mondo degli affari.” Ecco che risulta evidente che l’azione del Governo , malgrado qualche accenno positivo è nettamente diversa da quanto è atteso dagli industriali italiani e non si tratta di semplici richieste di favori. 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