Un Mezzogiorno in recessione, colpito particolarmente dalla crisi nel settore industriale, che da sette anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord, cosa mai avvenuta dal dopoguerra a oggi. Un’area periferica da cui si continua a emigrare, dove crescono gli anziani ma non arrivano gli stranieri, dove esistono le realtà economiche eccellenti ma non si trasformano in sistema né si intercettano stabilmente investitori e turisti stranieri: questa la fotografia che emerge dal Rapporto sull’economia del Mezzogiorno 2009 presentato a Roma giovedì 16 luglio. I porti meridionali perdono inoltrecompetitività per la mancanza di una adeguata integrazione tra traffico portuale e terrestre, particolare è la carenza delle ferrovie.
Nel 2008 il Pil del Sud è calato dell’1,1%, con una minima percentuale
di differenza rispetto al Centro-Nord (-1%). Il PIL per abitante è pari a
17.971 euro, il 59% del Centro-Nord (30.681 euro), con una riduzione però del
divario di oltre 2 punti percentuali dal 2000, dovuta solo alla riduzione relativa
della popolazione.
Un altro indicatore rende l’idea della situazione stagnante: nel 1951 nel Mezzogiorno veniva prodotto il 23,9% del Pil nazionale. Sessant’anni dopo, nel 2008, la quota è rimasta sostanzialmente immutata (23,8%). Dal 1951 al 2008 il Sud è cresciuto circa agli stessi ritmi del Centro-Nord, ma non è riuscito e non
riesce a recuperare il gap di sviluppo.
A livello regionale la Campania mostra nel 2008 una diminuzione del Pil
particolarmente elevata (-2,8%), mentre le altre regioni meridionali presentano
perdite più contenute. Meno colpita dalla crisi la Puglia (-0,2%).
A livello settoriale l’agricoltura meridionale ha tenuto molto più di industria e
servizi e ha invertito il trend negativo iniziato nel 2005. In particolare, molto positiva
è stata la performance della Basilicata, con una crescita del prodotto agricolo
nel 2008 rispetto al 2007 di ben il 24%.
A fare le spese maggiori della crisi l’industria, con un calo del valore aggiunto
industriale nel 2008 del 3,8%, mentre le produzioni manifatturiere hanno
segnato un calo di oltre il 6%. A tirare giù l’industria meridionale soprattutto macchine
e mezzi di trasporto (-10,5%), settore dei metalli e chimico-farmaceutico (-
7,1%). In controtendenza invece il settore energetico.
Perdita più contenuta nel settore dei servizi, dove, dopo quattro anni di forte
crescita, nel 2008 il Pil è sceso dello 0,3%, con un calo quasi del 3% nel comparto commercio.
Due le cause principali dell’andamento recessivo: investimenti che rallentano,
famiglie che non consumano. Queste ultime infatti hanno ridotto al Sud la
spesa dell’1,4% contro il calo dello 0,9% del Centro-Nord. Mentre gli investi-
menti industriali sono scesi del 2,1% annuo dal 2001 al 2008, tre volte tanto rispetto
al Centro-Nord (-0,6%), anche a seguito della riduzione o abolizione di alcune
agevolazioni (credito d’imposta, legge 488).
Il mezzogiorno cenerentola d’europa
Il quadro diventa sconsolante se confrontato con le dinamiche economiche
degli altri paesi europei. In dieci anni, dal 1995 al 2005, le regioni meridionali
sono sprofondate nella classifica europea, situandosi in posizione comprese tra
165 e 200 su un totale di 208.
Un processo in decisa controtendenza con le altre aree deboli Ue, che
sono cresciute mediamente del 3% annuo dal 1999 al 2005, mentre il Sud si è
fermato a +0,3%.
La disoccupazione cresce di più al centro-nord, ma per il sud il problema è la disoccupazione giovanile
Nel 2008 il tasso di occupazione meridionale è sceso al 46,1%. Gli occupati
sono cresciuti al Centro-Nord di 217 mila unità, mentre sono scesi di 34
mila nel Mezzogiorno.
A livello regionale, risultati positivi per il terzo anno consecutivo per Molise
(1,6%), Puglia (0,3%) e Abruzzo (3,2%). Crollano gli occupati soprattutto
in Campania (-2,2%) e Calabria (-1,2%), mentre flessioni più contenute si
rilevano nelle Isole (-0,6% e –0,3% in Sicilia e Sardegna).
A livello di settori la domanda di lavoro in agricoltura continua a scendere
soprattutto al Sud (-2,8% contro il -1,5% del Centro-Nord). In calo anche
l’industria, che segna -2,4% al Sud (dopo il +2,9% del 2007) e -1,1% nell’altra
ripartizione. La dinamica dell’occupazione industriale è sensibilmente negativa
in tutte le regioni del Sud, con l’eccezione del Molise, dove cresce del 4% per
il forte boom del settore delle costruzioni (+16,4%) e della Sicilia, dove flette
soltanto dello 0,7% perché l’incremento delle costruzioni (2,7%) compensa in
larga parte la flessione dell’industria in senso stretto (-4,2%).
Positivo solo il terziario, che registra comunque un rallentamento rispetto
agli scorsi anni: +0,2% al Sud (era crescita zero nel 2007) e +0,7% al Centro-Nord
(+1,5% nel 2007).
Nel 2008 i disoccupati sono aumentati più al Centro-Nord (+15,3%)
che al Sud (+9,8%). Nella classe di età 15-24 anni la disoccupazione è arrivata al
14,5% al Centro-Nord e al 33,6% al Sud. Qui crescono anche i disoccupati di lunga
durata (sono il 6,4% del totale, erano il 5,9% nel 2007).
All’Italia spetta il non invidiabile primato del tasso di disoccupazione giovanile
più alto in Europa, di cui è responsabile soprattutto il Mezzogiorno.
Al Sud cresce la zona grigia della disoccupazione, che raggruppa scoraggiati
e lavoratori potenziali: 95mila persone in più l’anno scorso. Dal 2004 al
2008 infatti i disoccupati impliciti e gli scoraggiati sono aumentati di 424mila unità.
Considerando anche questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo
del Sud salirebbe a oltre il 22%.
In calo il sommerso, ma al sud e’ in nero 1 lavoratore su 5
Cala il lavoro nero nel 2008, con 22mila unità irregolari in meno, per effetto
anche della campagna di regolarizzazione dei lavoratori stranieri, soprattutto
nel settore edile. Qui ad esempio nel Sud il tasso di irregolarità è sceso dal
29,7% del 2001 al 18,6% del 2008.
Nel 2008 in Italia i lavoratori in nero sono stimati in 2 milioni 943 mila,
l’11,8% del totale. I settori di maggiore diffusione sono l’agricoltura e i servizi.
Nel 2008 al Sud è irregolare 1 lavoratore su 5, pari in valori assoluti a 1 milione
300mila persone, con tassi di irregolarità del 12,8% nell’industria e del 19%
nelle costruzioni.
A livello territoriale la regione più “nera” è la Calabria, con il 26% di
manodopera irregolare, che sale a quasi il 50% in agricoltura e al 40% nelle costruzioni.
A seguire, la Basilicata (20,3%), con un forte peso del settore industriale,
Sicilia (19,8%), Sardegna (19,5%) e Puglia (17,4%).
Il più alto numero di lavoratori in nero in valori assoluti spetta alla Campania
(329mila persone), che dal 2000 ha però perso il 19,4% (79mila unità).
In dieci anni 700mila via dal sud, a parte i pendolari
Caso unico in Europa, l’Italia continua a presentarsi come un Paese spaccato
in due sul fronte migratorio: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo
interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla
con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni.
I posti di lavoro del Mezzogiorno sono in numero assai inferiore a quello
degli occupati. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all’emigrazione.
Tra il 1997 e il 2008 circa 700mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno.
Nel 2008 il Mezzogiorno ha perso oltre 122mila residenti a favore delle
regioni del Centro-Nord a fronte di un rientro di circa 60 mila persone. Riguardo
alla provenienza, oltre l’87% delle partenze ha origine in tre regioni: Campania,
Puglia, Sicilia. L’emorragia più forte in Campania (-25 mila), a seguire
Puglia e Sicilia rispettivamente con 12,2 mila e 11,6 mila unità in meno.
Nel 2008 sono stati 173.000 gli occupati residenti nel Mezzogiorno ma
con un posto di lavoro al Centro-Nord o all’estero, 23 mila in più del 2007
(+15,3%). Sono i pendolari di lungo raggio, cittadini a termine che rientrano a casa
nel week end o un paio di volte al mese. Giovani e con un livello di studio me-
dio-alto: l’80% ha meno di 45 anni e quasi il 50% svolge professioni di livello elevato.
Il 24% è laureato. Non lasciano la residenza generalmente perché non lo
giustificherebbe né il costo della vita nelle aree urbane né un contratto di lavoro a
tempo. Spesso sono maschi, singles, dipendenti full time in una fase transitoria
della loro vita, come l’ingresso o l’assestamento nel mercato del lavoro.
Le regioni che attraggono maggiormente i pendolari sono Lombardia,
Emilia-Romagna e Lazio. Da segnalare però la crescita dei pendolari meridionali
verso altre province del Mezzogiorno, pur lontane dal luogo d’origine:
60mila nel 2008 (erano24mila nel 2007).
Una curiosità: la crisi ha colpito anche i pendolari meridionali. Se infatti
il movimento Sud-Nord è cresciuto nei primi sei mesi del 2008, con l’aggravarsi
del quadro economico 20mila persone sono rientrate al Sud, soprattutto donne.
Rispetto ai primi anni 2000 sono cresciuti i giovani meridionali trasferiti al
Centro-Nord dopo il diploma che si sono laureati lì e lì lavorano, mentre sono calati
i laureati negli atenei meridionali in partenza dopo la laurea in cerca di lavoro.
In vistosa crescita le partenze dei laureati “eccellenti”: nel 2004 partiva il
25% dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la
percentuale è balzata a quasi il 38%.
La mobilità geografica Sud-Nord permette una mobilità sociale. I laureati
meridionali che si spostano dopo la laurea al Centro-Nord vanno incontro a
contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il
50% dei giovani immobili al Sud non arriva a 1000 euro al mese, mentre il 63% di
chi è partito dopo la laurea guadagna tra 1000 e 1500 euro e oltre il 16% più di
1500 euro.
Un sud in cui non mancano aree di dinamismo
In base a una serie di indicatori la SVIMEZ ha analizzato i 325 distretti del
Mezzogiorno dividendoli in sette tipologie diverse da cui emerge un Sud fortemente
differenziato.
Aree delle opportunità consolidate: qui la popolazione è in crescita, gli abitanti hanno un livello di studio elevato, il tasso di occupazione è in linea con la media nazionale o addirittura superiore al Centro-Nord (come a Olbia e alla Maddalena,
52%), il tasso di disoccupazione basso (7%), il livello di reddito (19.400 euro pro capite) è superiore alla media del Mezzogiorno (14.500). Fanno parte di questo
gruppo sette sistemi locali dell’Abruzzo (tra cui Avezzano, Celano, Giulianova e
Teramo) e alcune importanti realtà turistiche della Sardegna (Arzachena, La Maddalena, Olbia, Santa Teresa Gallura e San Teodoro) e di altre regioni (Capri e Lipari).
Aree urbane: qui viene prodotto il 60% del Pil meridionale, ma si spazia dalle
zone con un terziario molto forte e un’occupazione in forte crescita (Benevento,
Avellino, Bari, Monopoli, Putignano, Lecce, Alghero, Sassari, Macomer, Nuoro,
Cagliari e Oristano) ad altre concentrate nel manifatturiero, che arrancano, con
una crescita senza occupazione (Caserta, Nola, Taranto, Gioia Tauro, Porto Empedocle e Gela) ad altre in piena crisi. In quest’ultimo caso i tassi di attività e occupazione
sono più bassi, la disoccupazione più alta (Foggia, Brindisi, Catanzaro,
Reggio Calabria, Vibo Valentia, Trapani, Palermo, Messina, Agrigento, Caltanissetta, Enna, Catania e Siracusa).
Aaree delle opportunità distrettuali e industriali: Qui prevalgono attività manifatturiere
piccole e medie ma anche realtà industriali più forti non sostenute da un terziario
avanzato. Sono zone da cui si emigra, che sembrano offrire opportunità di
lavoro non qualificato, come denota il tasso di attività superiore alla media meridionale
unito alla diffusione di titoli di studio medio-bassi. Fanno parte di questo
comparto i distretti di Pineto, Penne, Solofra, Altamura e Calangianus, Atessa,
Termoli, Grottaminarda, Melfi e Pisticci.
Aree delle opportunità turistiche: sono zone di significative potenzialità turistiche
che non riescono però a sfociare in livelli di reddito e occupazione superiori alla
media. Qui troviamo ad esempio Sant’Agata dei Goti, Amalfi, Maiori, Telese
Terme, Sapri, San Giovanni Rotondo, Barletta e Gallipoli, Diamante, Praia a Mare,
Scalea, Soverato, Castelvetrano, Taormina, Capo d’Orlando, Acireale.
Aree dinamiche: sono le aree di eccellenza, in crescita, più ricche, con una forte
capacità attrattiva, a vocazione soprattutto turistica (Forio, Ischia, Sorrento, Ostuni,
Tropea, Cefalù, Castelsardo, Bosa, Orosei e Muravera).
Aree della crisi: poche aziende, scarsa offerta di lavoro e reddito modesto. Si
concentrano soprattutto in Puglia, Calabria e Sicilia.
Aree marginali:la struttura produttiva è debolissima e il reddito medio pro capite
il più basso d’Italia (8.600 euro). Sono le aree più interne e periferiche, scarsamente
abitate, della Sicilia, Calabria, Campania, Sardegna.
Banche, più difficile l’accesso al credito per le aziende
Tra il 1990 e il 2001 il numero di banche presenti nell’area si è ridotto
del 46% contro il 20% del Centro-Nord. Il numero di banche meridionali indipendenti,
sia Spa che Banche popolari, è crollato da 100 del 1990 a 16 del 2004;
negli stessi anni le banche di credito cooperativo (BCC) si sono più che dimezzate
(da 213 a 111). Mentre resta forte la dipendenza del sistema bancario
meridionale dal Centro-Nord: nel periodo in questione le banche appartenenti
a gruppi dell’altra ripartizione sono salite da 0 a 21, con una forte diffusione in Basilicata, Calabria e Sardegna
Resta il grande problema dell’accesso al credito: al Sud dal 2004 al
2006 il 9,3% delle imprese ha lamentato difficoltà, contro il 3,8% del Nord.
Dal 2007 al 2008 inoltre il tasso di crescita annua dei prestiti alle imprese è crollato al Sud dal 14,9% al 7,9% contro il calo più contenuto a livello nazionale (da 12,4% a 10,2%).
Continua il calo della spesa pubblica al sud
La spesa pubblica pro capite nel Mezzogiorno è stata nel 2008 pari a
10.490 euro, inferiore rispetto ai 12.300 euro pro capite del Centro Nord . Per
di più, nel Mezzogiorno, c’è una tendenza all’incremento delle spese correnti che
invece si riducono nel Centro Nord e a una diminuzione di quelle per investimenti,
che invece aumentano in misura doppia nelle zone più sviluppate del Paese.
La quota del Mezzogiorno sulla spesa in conto capitale è stimata nel 2008
al 34,9%, una percentuale ben più bassa del 41,1% del 2001 e lontanissima
dall’obiettivo del 45%, che ormai appare come una chimera. Ha inciso su tale
riduzione il ridimensionamento dei trasferimenti di capitale per agevolazioni alle
imprese, che non è stato sostituito, come nei programmi, da un maggior impegno
per la dotazione di infrastrutture.
Strade, ferrovie, porti, aeroporti, acqua, rifiuti
Fra tutte le regioni del Sud le autostrade a tre corsie sono presenti solo in
Campania e in misura minore in Abruzzo, mentre la Sardegna è tuttora priva di
autostrade.
Solo il 7,8% delle linee ad alta velocità, cioè il tratto campano Roma-
Napoli, entrato in funzione nel 2005, risulta localizzato nel Mezzogiorno. La situazione più critica in Sardegna, dove mancano completamente linee elettrificate.
L’offerta di servizi ferroviari è particolarmente modesta al Sud, dove le percorrenze dei treni (treni-km) sono soltanto il 17% del totale per le merci e il
23% per i passeggeri, un valore non diverso dalla situazione di dieci anni fa.
La maggior parte dei porti è di piccola dimensione e orientata al transito
passeggeri. Nel Mezzogiorno l’indice di dotazione dei centri intermodali è pari
ad appena un ventesimo del totale nazionale.
Il livello degli aeroporti nelle regioni meridionali (per numero di strutture,
piste e dimensioni) è accettabile, pur mancando scali in Molise e Basilicata. La
criticità più forte è data ancora una volta dalla carenza di collegamenti. Nessun
aeroporto del Mezzogiorno, ad eccezione di Palermo, ad esempio è collegato
con una stazione ferroviaria.
A livello nazionale circa 1/3 dell’acqua immessa in acquedotto viene dispersa.
Nel Mezzogiorno la situazione si fa ancora più critica, con il 37% dell’acqua
sprecata. In testa alla poco invidiabile classifica la Puglia, con oltre il 46% di dispersione, seguita da Sardegna (43%) e Abruzzo (41%). Praticamente in Puglia su
308 metri cubi d’acqua pro capite (dati 2005) immessi nelle tubature solo 165 arrivano a destinazione, in Sardegna su 385 ne arrivano 219, in Abruzzo 415 su
245.
Se a livello nazionale solo il 3,2% della popolazione non dispone di acque
depurate, la percentuale sale al Sud, arrivando al 7% in Calabria e addirittura
all’11,5% in Campania. In Sicilia il 3% della popolazione è priva di fognature,
il 3,6% in Puglia, mentre tale servizio è presente in tutte le altre regioni.
Interessante notare che la diffusione delle fonti rinnovabili vede il Sud in
testa rispetto al Centro-Nord, con punte eccezionali in Molise, Calabria, Basilicata e Puglia.
Rifiuti – In dieci anni, dal 1997 al 2008 la produzione di rifiuti urbani è cresciuta nelle regioni meridionali di 1,5 milioni di tonnellate, raggiungendo quota
10,6. A produrre più rifiuti Calabria (+35%, media nazionale +22%), Abruzzo e
Puglia (+27%). Nel 2007 ogni cittadino del Sud ha prodotto in media 508 kg di
rifiuti (Sicilia 536, Molise 414).
Differenziata – A fronte di una medi a nazionale del 27,5% (con il Nord a
42,4%), il Sud resta lontano anni luce, fermo all’11,6%. Ma non tutto: la Sardegna
è al 27,8%, con punte superiori al 50% nel Medio Campidano e nell’Ogliastra. Anche
l’Abruzzo non è da meno, con Teramo che realizza il 30%.
Ma il problema vero sono i costi, dovuti a una cattiva gestione del ciclo: la raccolta e il trasporto dell’indifferenziato costa al Sud 80 euro a tonnellata contro
i 65 del Centro-Nord. Il trattamento e smaltimento spazia dai 45 euro a tonnellata
della Calabria ai 99 della Campania.
Situazione ancora peggiore per la differenziata: al Centro-Nord, dove si recuperano maggiori quantità di materiali, il costo medio è di 124 euro a tonnellata,
al Sud poco meno del doppio, 220 euro.
Logistica
Nel 2008 nel Mezzogiorno i volumi di traffico container sono scesi di
quasi il 4% a fronte della crescita del 3% del Centro-Nord. A trainare il segno
meno Cagliari (-53,2%) e Salerno (-14%). I porti meridionali perdono inoltre
competitività per la mancanza di una adeguata integrazione tra traffico portuale
e terrestre. Ad esempio infatti soltanto il 2% dei container al Sud viene instradato via ferrovia, rispetto al 18% del Centro-Nord (il 14% a Livorno, il
18% a Ravenna, il 23% a La Spezia e appena l’1,4% a Gioia Tauro). Nonostante
la diversa dotazione portuale Nord-Sud, il 48% del totale di container è
movimentato nel Centro-Nord e il 52% nel Sud, con un trend che vede il Sud dal
2002 perdere quote di traffico.
Il rapporto integrale è disponibile sul sito http://www.svimez.it/
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