ATTENZIONE  CARICAMENTO LENTO


Dalla Corte dei Conti

Requisitoria orale del procuratore generale presso la Corte dei Conti FURIO PASQUALUCCI nel giudizio sul rendiconto generale dello stato esercizio 2008




Il giudizio di parificazione sul Rendiconto Generale dello Stato, nella procedimentalizzazione che ne caratterizza lo svolgersi con le formalità della giurisdizione e con l’intervento del Procuratore Generale, rappresenta l’esplicitazione di un puntuale disegno costituzionale che lascia intravedere la duplicità di funzioni che gli articoli 100 e 103 hanno voluto intestare alla Corte dei Conti in posizione di indipendenza e neutralità. Il giudice contabile, che ordinariamente esercita le sue funzioni sui due versanti del controllo e della giurisdizione di responsabilità, nel pronunciarsi sui Conti del bilancio e del patrimonio presentati a consuntivo è chiamato ad assolvere un compito di garante imparziale dell’equilibrio economico/finanziario e della corretta gestione delle pubbliche risorse.

Al riguardo va ricordato che il giudice delle leggi ha osservato che, se al momento dell’emanazione della Costituzione non poteva non farsi riferimento al solo bilancio dello Stato, oggi la dizione costituzionale va ricondotta al bilancio complessivo di tutti gli Enti Pubblici che nel loro complesso rappresentano l’intera finanza pubblica allargata.(C. Costituzionale 179/2007)
Tale quadro ordinamentale è retto da taluni basilari ed unitari presidi quali il principio dell’equilibrio di bilancio ( art. 81) della buona e sana amministrazione (art. 97) della responsabilità dei pubblici funzionari e dipendenti (art. 28), del regolato e limitato ricorso all’indebitamento (art. 119), del rispetto del patto di stabilità e dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.

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Il giudizio di parificazione ha ad effetto un esercizio finanziario nel quale per la prima volta la Pubblica Amministrazione è chiamata ad operare su un documento contabile previsionale articolato per missioni e programmi. La nuova struttura del bilancio è caratterizzata infatti da due livelli di aggregazione, ossia grandi missioni pubbliche o istituzionali e programmi aggregati omogenei, affidati a centri di responsabilità.
Questo permette di sottolineare la connessione tra risorse stanziate e finalità perseguite e segue il passaggio da una previsione per capitoli ad una strategia di programmazione per politiche pubbliche.
La riclassificazione del bilancio si pone come principale obiettivo quello di rendere più diretta la correlazione tra risorse stanziate ed azioni perseguite al fine di agevolare analisi e revisioni della spesa pubblica e di offrire un bilancio sempre più orientato a criteri di trasparenza, efficienza ed efficacia.

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L’esercizio precedente a quello in esame ha chiuso con i seguenti dati:

  • PIL + 1,5%
  • Indebitamento netto delle Pubbliche Amministrazioni + 1,5%
  • Avanzo Primario + 3,5 %
  • Debito Pubblico 1598,97 miliardi (pari al 103,5% del PIL)

Nel commentare tali risultati la relazione di questa Procura esprimeva una valutazione moderatamente positiva, in quanto i valori relativi all’indebitamento erano risultati inferiori a quelli dell’anno precedente ed auspicava la prosecuzione di un percorso virtuoso che consentisse una progressiva sostanziosa riduzione del debito pubblico.

Gli indici relativi all’esercizio 2008 hanno purtroppo disatteso tale auspicio e deluso l’aspettativa di un miglioramento dei Conti pubblici. Il PIL ha registrato una flessione dell’1%; l’Indebitamento netto è salito a 42,9 Miliardi pari al 2,7% del PIL, l’Avanzo Primario è sceso al 2,4 % ed il Debito Pubblico ha raggiunto la cifra di 1663,65 Miliardi, pari al 105,8% del PIL.

La crisi economica, e la conseguente flessione del reddito, oltre ad alcuni sgravi fiscali hanno rallentato la crescita delle entrate fiscali (+ 1,0 per cento è la variazione rispetto al totale entrate del 2007), la pressione fiscale è calata al 42,8 per cento del prodotto, in diminuzione di 3 decimi di punto rispetto al dato relativo al 2007.
La spesa primaria corrente è cresciuta del 4,5 per cento, un tasso superiore a quello medio dell’ultimo biennio (3,4 per cento). In rapporto al prodotto, dopo essere diminuita per due anni consecutivi, è aumentata di 1,1 punti percentuali, raggiungendo un nuovo massimo storico (40,4 per cento del PIL ).
La dinamica della spesa per consumi finali è passata dal 1,7 per cento del 2007
(variazione percentuale rispetto all’anno precedente) al + 4,5 per cento nel 2008. vi hanno contribuito i redditi da lavoro dipendente, cresciuti del 4,3 per cento per effetto della concentrazione nel 2008 delle erogazioni connesse con i rinnovi contrattuali relativi al biennio 2006-2007, e l’ulteriore accelerazione dei consumi intermedi, aumentati del 5,7 per cento (+ 4,1 per cento nel 2007). Le prestazioni sociali in denaro hanno continuato ad aumentare a un ritmo sostenuto.
Le spese in conto capitale sono diminuite in un anno del 6,1 per cento ( -0,3 punti percentuali del PIL), soprattutto nel comparto degli investimenti delle Amministrazioni locali e dei contributi alle imprese. Se si escludono le dismissioni immobiliari, la spesa per investimenti, dopo l’incremento del 2,6 per cento registrato nel 2007 è diminuita del 3 per cento; in rapporto al prodotto, essa è tornata al livello del 1998 (2,3 per cento). È significativa anche la crescita della spesa per interessi (+ 4,8 per cento).

Tali dati vanno inquadrati in uno scenario economico mondiale che, come ricordato nel rapporto annuale ISTAT, è stato attraversato da una grave crisi finanziaria, i cui effetti si sono rapidamente trasmessi all’economia reale. L’acuirsi della crisi dei mercati immobiliari ha determinato forti squilibri nei meccanismi finanziari che, a loro volta, hanno dato luogo a difficoltà nell’accesso al credito delle imprese, alla riduzione del patrimonio delle famiglie e a una crescente incertezza degli operatori. Anche in Italia – seppure con intensità minore che in altri paesi – la crisi si è manifestata innanzitutto nei suoi effetti finanziari: le restrizioni al credito hanno condizionato i programmi e le aspettative delle imprese, mentre la caduta dei corsi azionari ha intaccato i risparmi delle famiglie. Gli impulsi recessivi, originatisi negli Stati Uniti e negli altri paesi avanzati, hanno investito l’economia reale e si sono propagati rapidamente attraverso i flussi di commercio internazionale.

Va peraltro, evidenziato che il PIL mondiale è comunque aumentato del 3,2 per cento e che il differenziale negativo di crescita nel complesso dell’Uem si è ulteriormente ampliato portandosi ad 1,8 punti percentuali, per cui i risultati sopra indicati non possono trovare causa esclusiva nella crisi insorta a livello mondiale.
Né le prospettive future appaiono migliori ove si consideri che secondo le previsioni più aggiornate, riportate nelle considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia, nel 2009 il PIL in Italia subirà una riduzione di circa il 5 %.

Secondo la stessa fonte i lavoratori in Cassa Integrazione e coloro che cercano una occupazione sono già intorno all’8,5 per cento della forza lavoro, con possibilità di salire ad oltre il 10 %, non completamente coperto dalla Cassa Integrazione e dall’indennità di disoccupazione ordinaria.
A fronte della situazione e delle prospettive ora riportate di tutta evidenza appare il fattore di rigidità rappresentato dal debito pubblico che lascia spazi ridotti ad una manovra anticiclica del Governo.
Diviene particolarmente difficile, come osservano le Sezioni Riunite, nella prima quadrimestrale del 2009, conservare in queste condizioni l’equilibrio fra esigenze di sostegno del ciclo economico e mantenimento della sostenibilità futura dei saldi di finanza pubblica.

I suggerimenti provenienti dagli economisti miranti ad individuare risorse utilizzabili senza aumentare l’indebitamento pubblico, indicano come possibili soluzioni un forte recupero dell’area dell’evasione fiscale, l’alienazioni di beni del patrimonio pubblico ed una più incisiva riforma pensionistica.
Trattasi di ipotesi più o meno suggestive che vanno considerate con attenzione, ma anche con doveroso realismo.

Per quanto riguarda la lotta all’evasione va ricordato che nell’apposita Relazione al Parlamento, nell’Ottobre 2007, il Ministro dell’Economia e delle Finanze dichiarava che il valore aggiunto dell’economia sommersa nel nostro Paese è quasi pari al 18 % del PIL.
In termini di gettito si tratta di almeno 7 punti percentuali corrispondenti ad oltre 100 miliardi di Euro l’anno.
Trattasi di un vero e proprio tesoro che, ove acquisito all’Erario risolverebbe non pochi problemi consentendo una sollecita riduzione del debito, una riduzione della pressione fiscale ed un incremento delle spese in conto capitale tale da rilanciare l’economia.
Non può, peraltro, nascondersi un certo scetticismo, quanto meno sulla rapidità con cui sarà possibile recuperare all’Erario l’area dell’evasione. Al riguardo, sempre nella ricordata relazione riferita al 1° quadrimestre 2009, le Sezioni Riunite di questa Corte hanno ricordato gli annosi problemi tuttora irrisolti della lotta all’evasione, consistenti nella persistente caratterizzazione di straordinarietà di un obiettivo che dovrebbe essere considerato naturale ed ordinario, nell’indebolimento dell’apparato sanzionatorio, nell’ indebolimento giuridico degli studi di settore a seguito del ridimensionamento della loro valenza dal 2007 in avanti, e nel deficit di conoscenza e di trasparenza che caratterizza l’approccio all’evasione, stante anche l’assenza di un’affidabile verifica ex post del maggiore gettito ottenuto, distinguendo quello che è effettivamente recupero da evasione dagli effetti imputabili ad altri fattori.

A ciò va aggiunta l’azione di freno costituita dalla costante diminuzione delle risorse assegnate per il funzionamento delle Agenzie fiscali a causa della riduzione degli stanziamenti dovuta al contenimento della spesa pubblica.
In conclusione, mentre va auspicato un forte impegno per ridurre l’evasione fiscale non può ritenersi che per questa via sia possibile acquisire con sollecitudine le risorse necessarie per far fronte alla crisi in atto.
Né considerazioni più ottimistiche possono desumersi dall’alienazione di beni pubblici: già nella relazione precedente è stato evidenziato il risultato poco lusinghiero delle recenti cartolarizzazioni che, a fronte di un portafogli di 129 miliardi, avevano fruttato ricavi per 57,8 miliardi con un supporto ricavi/cessioni del 44,7%.

Nel corso del 2009, poi, la Legge n. 14 del 27 febbraio relativa alla conversione del D.L. 30 Dicembre 2008 n. 207 ha previsto il ritrasferimento agli originari proprietari degli immobili ancora invenduti nell’ambito delle due operazioni SCIP 1 e SCIP 2 verso pagamento di un corrispettivo. Non può sottacersi che siamo in presenza della conclusione anticipata di un ambizioso progetto rimasto incompiuto, che ha conseguito risultati più che modesti.
Infatti:

  • risultano alienati prioritariamente gli immobili di più agevole dismissione, quali quelli già locati agli inquilini degli Enti o quelli più appetibili (di pregio) piuttosto che quelli, la cui detenzione risultava meno vantaggiosa della cessione;
  • le cessioni dei cespiti immobiliari sono avvenute solo in parte secondo criteri competitivi, essendo stata prevista l’opzione di acquisto per gli inquilini, peraltro con rilevanti sconti di prezzo ed agevolazioni per il pagamento del corrispettivo;
  • il prezzo, scontato delle cessioni, non precedute da asta, non appare, peraltro, giustificato dall’esigenza di salvaguardare le fasce più deboli, poiché la concessione degli sconti non è stata graduata all’accertamento del livello reddituale;
  • la cessione si appalesa avvenuta, come già osservato dalla Corte dei Conti , prosolvendo e non pro-soluto, come richiedeva, invece, una delle regole fondamentali della cartolarizzazione.

Quindi anche tale fonte di approviggionamento si appalesa di difficile utilizzazione e comunque poco praticabile in tempi brevi.

Resta da esaminare l’agibilità di una riforma del sistema pensionistico che potrebbe incidere strutturalmente liberando risorse da utilizzare per garantire un più adeguato sostegno al reddito per i casi non coperti ed, in prospettiva, una migliore tenuta del sistema previdenziale.

In merito non può non rilevarsi come recenti interventi normativi, lungi dal rispondere a tali esigenze profilino ulteriori aggravi del sistema pensionistico; intendo riferirmi all’art. 19 del D.L. 112/ 2008 come convertito nella legge 133/2008, relativo alla abolizione dei limiti di cumulo tra pensione e redditi di lavoro. Tale norma, pur opportuna sotto molteplici profili, è foriera di ulteriori oneri previsti, al netto degli effetti fiscali, in 290 milioni di Euro per ciascuno degli anni 2009 – 2011.
Va anche ricordato l’art. 72 della Legge 133/2008 che ha previsto per il personale della Pubbliche Amministrazioni il nuovo istituto del c.d. esonero dal servizio e disposizioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro per coloro che hanno raggiunto l’anzianità contributiva di 40 anni.
Tale misura comporterà oneri supplementari di tipo previdenziale stante la previsione di allontanamento di dipendenti pubblici.

Non ha invece avuto seguito finora la sentenza del 13 novembre 2008 con cui la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha condannato la Repubblica Italiana per aver mantenuto in vigore una legislazione in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia in età diverse a seconda del sesso di appartenenza.

Tale pronunzia, da cui consegue un preciso obbligo di adeguamento onde evitare una condanna pecuniaria adeguata alla gravità ed alla persistenza dell’inadempimento, appare l’occasione propizia per un riesame della legislazione in materia che adegui l’età effettiva di pensionamento in Italia alla media europea, nel quadro di una necessaria omogeneizzazione di sistema, i cui positivi effetti potrebbero cominciare ed evidenziarsi in tempi relativamente brevi.

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Nella precedente relazione erano indicate talune misure che, ad avviso dello scrivente, avrebbero potuto essere adottate per contenere la spesa pubblica e conseguire un miglioramento dell’azione della Pubblica Amministrazione.

In alcuni casi tali suggerimenti hanno trovato riscontro nell’azione del Governo e del Parlamento; se ne fa menzione non certo per accreditare un ipotetico nesso causale (post hoc, propter hoc), ma per sottolineare la congruenza tra un’impostazione tecnico-neutrale e l’azione politica a riprova della reciproca validità.
Si intende qui fare riferimento all’auspicio di una nuova Legge finanziaria che sfuggisse all’acquisita caratterizzazione quale legge omnibus, foriera di imprevisti ed altrimenti evitabili incrementi di spesa, all’esigenza di valorizzare e premiare il merito nella PA, prevedendo più efficaci controlli ed evitando la distribuzione a pioggia di determinate retribuzioni accessorie, all’opportunità di rivedere la pregiudiziale penale in ordine ai procedimenti disciplinari, auspici tutti che hanno trovato, o stanno trovando, un riscontro sul piano normativo.

Per quanto riguarda la Legge Finanziaria, infatti, al fine di assicurare uno stretto collegamento con il Documento di Programmazione Economica Finanziaria e con la manovra di bilancio, si è deciso di anticiparne la presentazione con il D.L. n. 112 del 25 Giugno 2008, convertito con L. 133/2008.
La nuova tempistica è stata giudicata positivamente dalla Corte, in quanto intesa ad ovviare agli inconvenienti sperimentati in relazione alla prassi precedente, quali la incertezza, protratta per l’intera sessione di bilancio, sul contenuto finale della manovra, il connesso appesantimento della legge finanziaria e degli eventuali provvedimenti collegati da una congerie di norme eterogenee ed, infine, la frettolosa approvazione della manovra attraverso una mozione di fiducia a ridosso dei termini di scadenza. Il tema è ripreso da una d.d.l. già approvato dalla Commissione Bilancio del Senato che prevede una Legge Finanziaria più leggera, ribattezzata “ Legge di stabilità”.

Un organico intervento in materia di gestione del personale pubblico si è tradotto nella legge delega n. 15 del 2009. Quest’ultima, formulando, nei vari ambiti riguardanti il settore in esame, principi e criteri direttivi per il legislatore delegato, si pone, sulla scia delle riforme intervenute negli ultimi decenni, l’obiettivo di rendere concrete l’efficienza, l’efficacia e la trasparenza nell’esercizio di funzioni e servizi pubblici. Ciò sia attraverso l’accessibilità dei dati relativi agli stessi, sia grazie a strumenti di controllo e misurazione delle prestazioni del personale e delle strutture, con conseguenti misure premiali (attraverso forme retributive legate ai risultati effettivamente conseguiti ed agevolazioni nella progressione in carriera) o sanzionatorie ( in primo luogo, nei confronti dei dirigenti, in caso di mancato esercizio dei poteri loro attribuiti, compresi quelli organizzativi).

In merito ai rapporti fra procedimento disciplinare e processo penale, l’art. 53 ter dello schema di decreto legislativo di attuazione della legge n. 15 del 2009 non ammette, per le infrazioni disciplinari di minore gravità, la sospensione del procedimento disciplinare; per quelle di maggiore gravità, è prevista una sospensione facoltativa nei casi di particolare complessità nell’accertamento del fatto e nel caso di insufficienza di elementi atti a motivare l’irrogazione della sanzione.

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Sempre nella prospettiva di una riduzione dei costi va ricordata la soppressione delle seguenti strutture in applicazione dell’art. 78 del D.L. 112/2008 convertito nella legge 6 Agosto 2008 n. 133:

  • l’Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all’interno della P.A.;
  • l’Alto Commissario per la lotta alla contraffazione;
  • la Commissione per l’inquadramento del personale già dipendente da organismi militari operanti nel territorio nazionale nell’ambito della Comunità Atlantica.

Ancora, con la stessa legge in parola sono stati soppressi:

  • L’”Unità di monitoraggio”, di cui all’art. 1, co. 724, legge n. 236/2006, finalizzata al controllo indipendente e continuativo della qualità dell’azione di governo degli enti, locali, con trasferimento della relativa dotazione finanziari, pari a 2 milioni di euro annui, ad apposito fondo del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
  • L’Agenzia per la protezione dell’Ambiente e per i servizi tecnici, l’Istituto Nazionale per la fauna selvatica e l’Istituto Centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare, facendoli confluire in un nuovo Ente, l’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA);
  • Il servizio consultivo ed ispettivo tributario (SECIT).

Va dato, altresì, atto che, nell’intento di contenere i “ costi della politica e della P.A.”, anche in attuazione di precedente normativa (art. 29, comma 1, D.L. 223/2006), un effetto molto positivo si è avuto mediante il previsto riordino degli organismi collegiali, per accorpamenti o soppressioni, con una riduzione da n. 495 a n. 396, tanto che a fronte degli impegni di spesa assunti nel triennio 2005-2007, le percentuali di risparmio ottenute sono state superiori a quelle previste, grazie ad un netto taglio degli organismi e comitati presenti all’interno degli organigrammi ministeriali. I risparmi di spesa, infatti, previsti nella misura del 14,76% per l’anno 2006 e del 30% per il 2007, sono risultati del 31% per il 2006 e del 45% per il 2007, come recentemente rilevato dalla Sezione centrale del controllo sulle amministrazioni dello Stato di questa stessa Corte con deliberazione n. 8/2009.

Non trova ancora attuazione invece l’art. 6 della citata legge 133/2008 concernente la “potatura” degli Enti Pubblici non economici con dotazione organica inferiore alle 50 Unità.
Permane, altresì, in tutta la sua gravità il problema delle Società a partecipazione pubblica che negli ultimi anni si è sviluppato particolarmente a livello locale.

In base ai dati riferiti al 2006, il complesso di tali società ammontava ad un totale di 5128.
Secondo un’analisi statistica di Unioncamere, nel 2008 tale numero è rimasto invariato per quanto riguarda i Comuni, mentre è aumentato di circa 4 punti percentuali con riferimento alle Province ed alle Regioni. Il numero di consiglieri di amministrazione nominati in dette società supera le 23.000 unità e poco più di 13.500 sono i componenti dei relativi collegi sindacali.

Nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge del maggio 2008 (A.C. n. 1063) si legge che si è assistito al nascere di tali forme societarie “al fine di una gestione clientelare e partitocratrica del consenso: questo implica da un lato, una utilizzazione meno efficiente delle risorse, parte delle quali sono dirottate sui costi della struttura, dall’altro la gestione clientelare del potere politico-amministrativo, perché gli organi di governo di tali società ( ed i posti di lavoro) sono decisi in base a logiche di appartenenza partitica”.
Con felice espressione è stato detto che il fenomeno delle partecipazioni statali si è trasferito a livello locale.
Non risultano ancora rilevazioni da cui emergano gli effetti delle varie norme emanate al fine di contenere e delimitare il fenomeno (L. Finanziaria per il 2008 art. 2 commi 12-22, art. 3 commi 27-32, L. 133/2008 artt. 18 e 23bis), anche se va notato che il regolamento attuativo di tale ultimo articolo non è stato ancora emanato: trattasi di disposizioni di particolare rilievo in quanto intese a rilanciare i principi di apertura concorrenziale nella gestione di servizi pubblici locali.

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Al termine di questo breve excursus attraverso taluni aspetti particolari della situazione economico-finanziaria, nel far rinvio alla relazione scritta per una più dettagliata analisi e per l’esame di altri temi di grande rilievo quali la spesa sanitaria, i rapporti con l’Unione Europea ed il perdurante fenomeno della corruzione (al quale è stato fatto ampio riferimento anche in sede di apertura dell’anno giudiziario), mi sia consentito esprimere l’auspicio di un pronto e strutturale superamento della difficile fase che il Paese sta attraversando, mediante misure che sappiano rilanciare l’economia e la finanza pubblica nella concreta applicazione di un principio di solidarietà nei confronti delle classi più deboli e delle generazioni future.

Non è un auspicio infondato: il Paese ha solide basi in una Costituzione portatrice di valori fondamentali ed ampiamente condivisi, in una economia non effimera in cui uno stato patrimoniale consolidato, ottenuto sommando il debito pubblico a quello delle famiglie, ci vede in una situazione migliore rispetto a molti membri dell’Unione Europea, e nell’esistenza di un’ampia massa di cittadini che non cedono alle lusinghe del guadagno facile e vogliono operare con onestà, nel rispetto delle Istituzioni.

A conclusione di queste mie considerazioni, chiedo Signor Presidente e Signori componenti delle Sezioni Riunite la pronunzia di regolarità del Rendiconto Generale dello Stato, con le eccezioni specificate nella memoria.



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