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Riflessioni leggendo Primo Levi “Decodificazione”: il fenomeno dei writers Sconveniente e inutile, spesso segno di immaturità: ieri scrivere sui muri, oggi anche in internet Di Giovanni Gelmini
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I racconti di Primo Levi mi stimolano sempre delle riflessioni sul mondo di oggi. Questo credo sia legato al fatto che Levi lavora sulla “psicologia sociale” e quindi i suoi racconti trovano riscontro anche in temi e ambienti diversi, perché l’uomo non cambia mai, almeno così io credo. Levi inizia il racconto con un'affermazione precisa: “ A base della mia coscienza e sensibilità di verniciaio proibirei la vendita di quelle fantastiche bombolette che spruzzano smalto alla nitrocellulosa e servono a ritoccare le carrozzerie danneggiate - prosegue poi - Ma non mi pare ammissibile che sia consentito il loro uso per scrivere sui muri. I nostri nonni dicevano che ‘la muraglia è la carta della canaglia’, e forse questa è una generalizzazione troppo severa. Si possono immaginare, anzi, esistono senza dubbio, stati d'animo individuali o collettivi davanti a cui ogni giudizio sul lecito e l'illecito deve restare sospeso, ma questo vale appunto, per condizioni estreme, tempestose, extraordinarie: allora tutte le regole vengono travolte, e non solo si scrive sui muri, ma si fanno le barricate. Il suo ragionamento si sofferma sul filo storico: “Prima dell'era delle bombolette, scrivere sui muri era un'impresa di certo impegno. Andare per strada col secchiello della vernice, la pennellessa che sgocciola, e il solvente per lavare la pennellessa, è faticoso e scomodo, specie se di notte; richiede un' attrezzatura vistosa e ingombrante, che si presta male ad operazioni tendenzialmente clandestine ed intralcia le fughe, sporca le mani e gli abiti, il che, oltre a tutto, rende identificabili gli operatori; infine, richiede anche un minimo di abilità manuale, se non si vogliono mettere alla luce scritte deformi, e quindi autolesive. Insomma, è un' attività che non si intraprende senza una motivazione forte, come è giusto che sia: non è bene che si arrivi in cima al Cervino, o si scolpisca una statua, o si cucini una cena, senza una certa fatica. I frutti gratis non erano buoni, come è noto, neppure nel Paradiso Terrestre; nella nostra condizione terrestre attuale, che non è più paradisiaca, conducono ad un nocivo appiattimento dei valori e dei giudizi, e ad una proliferazione di manufatti che, se non proprio nociva, è almeno fastidiosa.” Secondo Levi, quindi, il diffondersi dell'abitudine di scrivere sui muri cose più o meno insulse, come “SARA TI AMO”, è legato alla facilità con cui questo può avvenire: una bomboletta di vernice, magari trovata nel garage di casa, fa scattare la voglia di lasciare un segno di se stessi, o di scaricare la propria insoddisfazione su un muro, su una pietra o, peggio, su una lapide, su un monumento. Come dice Levi, raramente queste scritte sono in grado di suscitare interesse o ilarità; in genere rappresentano solo lo spirito di chi le ha scritte e il giudizio che si può trarre da queste opere in genere è abbastanza negativo. Solo qualche volta strappano almeno il sorriso, come una scritta che ho trovato a Venezia nel 2006: Cercasi Papa disponibile da subito.
Levi, attraverso il racconto, quasi un'indagine da Sherlock Holmes, alla ricerca di chi avesse fatto delle croci uncinate sui paracarri di una strada con uno spray verde, ci illustra quella che ritiene la tipologia del writer negli anni ’70: giovane, non troppo intelligente, “ uno studente… "di buona famiglia", emotivamente instabile, introverso, tendente alla sopraffazione ed alla violenza ”. La sua indagine lo porta a scoprire il colpevole, figlio di “ un assicuratore, buongustaio e bellimbusto, un po' fanfarone, scettico e credulone insieme, maldicente più per leggerezza che per malvagità ” e il figlio è un quindicenne “ neppure un introverso tipico, perché parla parecchio: è piuttosto un lamentoso, uno di quelli che tendono a vedere il mondo come una vasta rete di cospirazioni al loro danno, e se stessi al centro del mondo, esposti a tutti i soprusi ”. È profondamente insicuro, insoddisfatto di sé, non si occupa di politica, con la scuola che non va e lasciato dalla ragazza, con l’idea di fare il magistrato “... così, per fare giustizia. Perché la gente paghi; ognuno paghi i suoi conti ”. Questo è il writer scoperto da Levi. E lo scrittore verniciaio chiude il racconto con alcune riflessioni.
Molti decenni sono passati da quando Levi ha scritto queste cose.
Una parte del mondo dei writer ha dimostrato di essere composto non da semplici imbrattatori e alcuni di loro si sono affermati come artisti di primo piano al punto che il PAC, sotto la spinta dell’assessore Sgarbi, ha dedicato loro una mostra (Street art, sweet art - Dalla cultura hip hop alla generazione “pop up” per non parlar del Leonka in Spaziodi Magazine Anno III n°3 - MARZO 2007); altri vengono chiamati a “imbrattare” i muri di cemento grigio per dare colore alla città o decorare locali di ritrovo e negozi, ma questi restano comunque casi “che confermano la regola”.
Recentemente si è manifestato un altro tipo di writer: l’imbrattatore nella rete e a questa tipologia raramente appartengono giovani. Per imbrattatori in rete non intendo ovviamente chi apre un blog (o altro) e scrive quello che ritiene opportuno, questa è una libertà che credo sia da difendere, ma chi va a scrivere sui blog altrui frasi senza alcuna ragione.
Argomenti: #arte , #arte contemporanea , #cultura , #internet , #primo levi , #psicologia , #racconto , #writers Leggi tutti gli articoli di Giovanni Gelmini (n° articoli 506) il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo |
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