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Riflessioni leggendo Primo Levi

“Le nostre belle specificazioni”, cioè: “L’ingegnere perfetto”

Dalle “specifiche” per i prodotti tecnici si arriva alle specifiche per tutto, persino per l’uomo, ma è possibile definire una persona con misure? L’assurdo non è mai lontano dalla realtà

Di Giovanni Gelmini


Certamente vi sarà capitato di conoscere una “bella testa d’ingegnere”. Questa è un tipo particolare di deformazione dei valori indotta da una disciplina insegnata in specie nelle facoltà di ingegneria. È evidente che non tutti coloro, che raggiungono l’agognato titolo di dott. ing., ottengono dal loro percorso di studio una deformazione così singolare, ma molti si avvicinano a quella perfezione che ho trovato descritta nel racconto di Primo Levi in “vizio di forma” che ha dato origine a questa mia riflessione.

Le specificazioni: sono una delle più belle “fisse” delle teste da ingegnere. Leggendo il racconto, anche se Levi non cita specificatamente la laurea del personaggio chiave, il cavalier Peirani, mi sono convito che quello è il perfetto Ingegnere.

Qual è il problema?
Nell’organizzazione di un’attività produttiva, per garantire il corretto funzionamento di tutto l’apparato è necessario che i prodotti utilizzati siano conformi a delle specifiche che definiscono se il prodotto è adatto ad essere usato o no. Un materiale dovrà, a secondo del suo utilizzo, avere certe purezze, certe concentrazioni, non contenere delle impurità che lo rendono inadatto o rispondere a delle caratteristiche meccaniche.
Fino a qui tutto normale; è un’ottima prassi verificare che il prodotto abbia le caratteristiche necessarie, altrimenti va respinto al fornitore e questo sicuramente garantisce risparmio e qualità dei prodotti. La cosa però va usata dove effettivamente le caratteristiche del prodotto, usato nella lavorazione, possono incidere sulla qualità o sulla facilità d’uso.

Il racconto ci parla di un giovane, Renaudo, che all’inizio della carriera è messo a validare queste specifiche; lavoro noioso se vogliamo, ma non peggiore di tanti altri.

Nel racconto troviamo una prima avvisaglia di anomalia nell’uso delle specifiche quando Renaudo se ne trova una sulle scope; sì, sulle scope di saggina, quelle che servono per spazzare i pavimenti. “Il suo misterioso predecessore, pensò Renaudo, doveva essere un anormale o un umorista: la definizione di 'scopa' occupava quattordici righe, e altrettante la descrizione dell'impiego. Erano previsti un massimo e un minimo per il peso complessivo, per la lunghezza e il diametro del manico, per il numero delle saggine; un carico di rottura minimo per il manico stesso; una prova di resistenza all'abrasione per lo strumento nella sua interezza, da eseguirsi su di un esemplare scelto a caso su cento, nelle condizioni di fornitura".

Al giovane impiegato la cosa sembra assurda: perché far perdere tempo “al Servizio Collaudi” per verificare una scopa? Il giovane va a chiedere lumi sul comportamento da tenere al suo superiore il cavalier Peirani. La riposta che riceve è appunto da “ingegnere perfetto” eccola:

Vede, giovanotto, queste cose è difficile capirle all'inizio della carriera, e io me ne rendo conto: tutti i giovani amano le scorciatoie. Ma una specifica è una cosa seria, anzi fondamentale. Se lei ci fa caso, il mondo d'oggi riposa sulle specifiche, e cammina bene se queste sono rigorose, male se non lo sono, o se mancano affatto. Non ha mai avuto il dubbio che l'evidente divorzio fra le dottrine tecniche e quelle morali, e l'altrettanto evidente atrofia di queste ultime, siano dovuti proprio al fatto che l'universo morale manca finora di definizioni e tolleranze valide? Il giorno in cui non solo tutti gli oggetti, ma anche tutti i concetti, la Giustizia, l'Onestà, o anche solo il Profitto, o l'Ingegnere, o il Magistrato, avranno la loro buona specifica, con le relative tolleranze, e ben chiari i metodi e gli strumenti per controllarle, ebbene, quello sarà un gran giorno. E neppure dovrebbe mancare una specifica delle specifiche: ci sto pensando da tempo. Ma mi mostri ancora un momento quel foglio.

Cosa contiene quel foglio che Renaudo non abbia diligentemente notato? La sigla di chi l’ha predisposto: V.A.P., ovverosia Vittorio Amedeo Peirani, “il suo misterioso predecessore” altri non è che il suo capo servizio.

Predisporre una specifica dettagliata per una semplice scopa di saggina lascia sconcertati, ma alla fine non è cosa anomala che si possa pensare di fissare specifiche per un prodotto simile. È sbagliata da un punto economico organizzativo, ma concettualmente è ammissibile; infatti, è sufficiente che nessuno poi faccia verifiche inutili. In effetti, per sapere se l’acquisto è giusto o no è sufficiente chiedere a chi le usa e lui saprà dare la risposta corretta senza alcuna difficoltà, provandola.

Ma il Peirani ha fatto un enunciato preoccupante, la ripeto per sottolinearla: “Il giorno in cui non solo tutti gli oggetti, ma anche tutti i concetti, la Giustizia, l'Onestà, o anche solo il Profitto, o l'Ingegnere, o il Magistrato, avranno la loro buona specifica, con le relative tolleranze, e ben chiari i metodi e gli strumenti per controllarle, ebbene, quello sarà un gran giorno.” Ecco la “testa da ingegnere”: pensare che tutto possa essere definito e risolto attraverso dei test, delle tolleranze, delle definizioni, cioè che tutto sia conosciuto e definibile con valori aritmetici, tanta resistenza, tanto peso, tanto volume, che tutto sia “analizzabile” con apparecchiature precise.

So che a molti questo appare impossibile, ma non ad un “ingegnere perfetto”. Ecco che infatti poco più avanti il diligente Renaudo incappa in una specifica veramente incredibile:
Era arrivato alla Specifica 366478, Uomo. Proprio cosi, semplicemente: uomo. Seguiva la consueta premessa, un po' meno concisa del solito, in cui si definiva che cosa si abbia ad intendere per essere umano. In appendice si ricordava che l'articolo in questione veniva approvvigionato a cura del Servizio Personale, non mediante acquisto bensì mediante assunzione; che tuttavia, trattandosi di materiale in entrata, il Servizio Normalizzazione era indubbiamente competente al suo inquadramento ed alla definizione delle norme di accettazione. Renaudo saltò all'ultima facciata, e non fu stupito di trovarvi la sigla V.A.P. …
Troviamo così:
- Tolleranze dimensionali: statura, da 1500 a 2050 mm, peso a vuoto, da 48 a 140 kg, sezioni massime e minime, due figure schematiche con le sagome di riferimento a livello della fronte, del torace, del bacino e dei polpacci;
- Prove di collaudo; per fortuna che in nota si legge “Ove possibile sono da raccomandarsi le prove di collaudo di tipo non distruttivo ”.
- Resistenza al calore e al freddo";
- resistenza alla fiamma;
- prova di resistenza all'alcool etilico;
Queste sono le caratteristiche che Levi ci racconta.

Ecco così il “prodotto uomo” classificato e con tutte le prove per vedere che corrisponda a quanto necessario, così da non sbagliare nelle assunzioni del personale.
Credo che sia ben evidente l’assurdità di una tale pretesa e lascio a voi, se volete leggere il racconto, scoprire come Levi risolve quest’assurdo problema.

So che c’è chi dirà “solo fantasie”, purtroppo non è così; Primo Levi, come molti che scrivono “fantascienza”, ha solo anticipato quello che nella realtà è avvenuto, anche se non in una forma così evidente. Parlo del sistema della Certificazione della Qualità, pura invenzione da ingegneri.

L’istituto della “certificazione” è stato inventato dalle forze armate statunitensi per meglio garantire le loro forniture.
Si tratta di un sistema di operazioni completamente codificate, che devono essere applicate nella gestione dell’azienda da chi vuole poter fornire le forze armate USA. È evidente lo scopo: ridurre a livelli minimi la fornitura di prodotti “fuori specifica”. Questo è piuttosto ragionevole su grandi forniture. Ha quindi una logica stringente per prodotti che devono rispondere a specifiche molto rigide, è molto utile certamente per tutti i semilavorati e la componentistica, ma… ovviamente ci sono dei ma e dei se!

Per prima cosa si deve ricordare che la “certificazione di qualità” non implica automaticamente che il prodotto, a cui si applica, sia di qualità, ma vuol solo dire che la qualità dichiarata è probabilmente vera, perché i procedimenti usati sono controllati in modo rigido.

Se da una parte l’applicare procedure rigide di gestione genera certezza nelle aziende grandi, dall'altra crea anche un super lavoro, spesso inutile, nelle piccole e risulta inapplicabile nelle micro-aziende, ma per gli “ingegneri” è il massimo della perfezione, così lo ritengono necessario anche per le scope di saggina. Però la cosa purtroppo non si ferma qui.

Come nel racconto di Levi, gli “ingegneri” pensano che il loro metodo fatto di misurazioni sia applicabile a tutto, perfino ai “concetti, la Giustizia, l'Onestà…” come recita Peirani.
E così dopo averlo applicato alle produzioni industriali, hanno convito la gente ad applicarlo anche ai servizi. Ecco che i Comuni si sono sentiti in dovere di certificare i loro sportelli, come l’ufficio tecnico o l’anagrafe, con costi sopportati sicuramente eccessivi rispetto ai risultati raggiunti.
Certamente la nostra burocrazia necessita di attente analisi sulle procedure usate, ma queste dovrebbero servire per mettere in evidenza le distorsioni da correggere; il passaggio successivo della certificazione, fase abbastanza onerosa, anche perché va rinnovata periodicamente, può tranquillamente essere evitata.

Ma il massimo della follia dello schematismo ingegneristico l’abbiamo toccato con la certificazione delle scuole. Qui è evidente che il fattore determinate nel loro funzionamento è il docente, cioè l’uomo e quindi inevitabilmente si devono scrivere le specifiche anche per il “fattore produttivo” insegnate, come Primo Levi aveva immaginato.
L’assurdo non è mai lontano dalla realtà.

Argomenti:   #cultura ,        #primo levi ,        #racconto ,        #riflessioni



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