REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N 8 |
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Anno V n° 9 SETTEMBRE 2009 - FATTI & OPINIONI Da uno studio della Banca d’Italia |
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Tre sono le questioni che appaiono ineludibili: 1. b>le politiche generali devono tenere conto delle differenze territoriali, 2. si deve evitare l’eccesso di localismo e di frammentazione, 3. si devono ridurre i rischi di sovrapposizione delle competenze dei vari livelli di governo. Le politiche generali dovrebbero tenere conto delle differenze territoriali, utilizzare, dove necessario, strumenti differenti e intervenire con diversa intensità per conseguire obiettivi misurabili in modo facile. Nello stesso tempo è importante che siano definiti standard minimi uniformi nel territorio per i servizi essenziali. Bankitalia porta a sostengo della tesi due esempi concreti: i casi dell’istruzione e delle infrastrutture. Il divario nella qualità della formazione scolastica è un fattore che concorre a formare il ritardo di sviluppo del Sud. Gli strumenti per conseguire standard minimi in termini sia di apprendimento sia di tassi di abbandono hanno già un certo grado di flessibilità, grazie all’autonomia di cui godono gli istituti scolastici in relazione all’organizzazione interna e all’utilizzo degli insegnanti. In assenza di impulsi esterni, questo ha l’effetto di amplificare le differenze locali negative. Per superarlo si potrebbe agire con l’ampliamento dell’uso della meritocrazia nelle decisioni di allocazione, a livello nazionale, dei dirigenti scolastici ed anche nei livelli retributivi. Quello delle infrastrutture è un altro settore delle politiche dove l’intervento “aggiuntivo”, a favore del Mezzogiorno, ha spesso sostituito l’intervento ordinario. La spesa in conto capitale per il Mezzogiorno è rimasta praticamente costante fra il 2001 e il 2005; infatti ad un aumento dei finanziamenti europei ha corrisposto una diminuzione di circa il 20 per cento delle altre fonti. Il sud ha bisogno di investimenti addizionali in infrastrutture per evitare il circolo vizioso che, a fronte di una domanda debole nelle aree meno sviluppate si associ una minore presenza di infrastrutture, materiali ed immateriali. In questo modo le occasioni di sviluppo in tali territori diventano minori. L’intervento pubblico, in queste situazioni dovrebbe garantire non solo un livello minimo di capitale pubblico (dalle strade all’approvvigionamento idrico alla giustizia e sicurezza), ma, se si vuole colmare il divario, si dovrebbe anche porre le condizioni per il maggiore sviluppo. Anche per il sostegno all’innovazione e alla ricerca è necessario il coordinamento fra dimensione nazionale e territoriale della politica. In questo caso la domanda di agevolazioni riflette la dislocazione dei settori innovativi sul territorio e così, senza adeguati correttivi per una politica per l’innovazione omogenea, nel paese si acuiscono le asimmetrie territoriali e i divari regionali. Gli esempi a questo riguardo sono molteplici: nel 2006 i due principali strumenti di agevolazione dell’innovazione tecnologica (FIT) e della ricerca (FAR) hanno finanziato investimenti nel Centro Nord circa doppi di quelli finanziati al Sud. In questo caso l’addizionalità dell’intervento può essere rivolta sia allo sviluppo delle eccellenze, esistenti nelle aree in ritardo, sia all’attrazione in queste stesse aree di competenze e professionalità esterne. Bankitalia segnala ancora che bisogna evitare l’eccesso di localismo e di frammentazione, concentrando gli interventi su un ridotto numero di ambiti e su aspetti chiave di grande rilevanza. È necessario definire con più decisione le priorità; per una limitata dusponivbilità di risorse complessive (peraltro limitato dall’esigenza di risanamento delle pubbliche finanze) la frammentazione degli interventi fa sì che la possibilità di impiego di fondi per ciascuna iniziativa si riduca a modesta entità, con la conseguenza che anche i risultati saranno ancora più modesti senza consentire il passaggio a un differente equilibrio. Inoltre la carenza di fondi e la polverizzazione delle iniziative possono determinare la dilatazione dei tempi di realizzazione, con un inutile immobilizzo delle risorse già impiegate, come troppo frequentemente avviene nelle opere pubbliche. Lavorando su un numero ristretto di priorità, queste saranno largamente condivise dagli studiosi e dalla politica e, ad un cambio di governo, saranno difficilmente cancellate. I fattori della crescita richiedono tempi lunghi per dare frutti; se vengono abbandonati prima di avere loro dato il tempo di operare compiutamente, si eleva la probabilità di insuccesso, in particolare quando i tempi della politica sono oltremodo brevi. Gli investimenti su istruzione, sicurezza, innovazione danno frutti nel medio periodo. Infine le politiche di sviluppo spesso coinvolgono più livelli; occorre allora ridurre gli elevati rischi di sovrapposizione delle competenze e la conseguente presenza di conflitti istituzionali che allungano i tempi di realizzazione degli interventi. La conclusione che si trae è quindi che le politiche, che si sono sviluppate dal 1998 in poi, hanno fallito gli obbiettivi essenzialmente per carenze della politica nazionale,che non ha saputo, o non hanno voluto, rimuovere gli ostacoli esistenti, che si riducono a due gravissimi: mancanza di visioni strategiche e clientelismo con infiltrazioni della criminalità organizzata. Così la questione del Sud diventa sempre più grave e nello stesso tempo, a causa dello spreco delle scarse risorse, esce la questione del Nord, che cresce più delle infrastrutture necessarie a garantire un buon sviluppo. Nota: Sulla qualità dell’Amministrazione pubblica il Formez ha prodotto un indice generale di buon governo, costruito come media ponderata di diversi indici. Include, oltre alle politiche di semplificazione e alle politiche per il lavoro, anche due indici che misurano la capacità di rafforzare la competitività del territorio e di utilizzare le risorse finanziarie da parte delle amministrazioni locali. La figura riporta il valore dell’indice di buon governo e i valori del PIL pro capite 2006 per le venti regioni italiane. Tutte le regioni del Centro Nord, ad eccezione della Valle d’Aosta, sono caratterizzate da valori dell’indice di buon governo superiori alla media nazionale. Viceversa le regioni del Sud mostrano un apparato amministrativo di gran lunga meno efficiente. Da un’analisi empirica,svolta incrociando indicatori sintetici di performance delle amministrazioni pubbliche locali e alcune variabili macroeconomiche rilevanti (tasso di disoccupazione / occupazione, reddito, investimenti diretti esteri), risulta una correlazione positiva e significativa tra l’attitudine al buon governo delle pubbliche amministrazioni locali e la realtà socio-economica di riferimento. Le tabelle ed i grafici sono trattii dal citato studio della Banca d’Italia n. 50 - Quali politiche per il Sud? Il ruolo delle politiche nazionali e regionali nell'ultimo decennio (What policies do we need for southern italy? the role of national and regional policies in the last decade) di Luigi Cannari, Marco Magnani, Guido Pellegrini, luglio 2009, in Questioni di economia e finanza (Occasional Papers) torna al testo
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